Leggo con grande, grandissima amarezza le disposizioni del DPCM per la nuova chiusura degli esercizi commerciali e delle attività; se mi permettete entro in dettaglio rispetto ad alcuni numeri e proprio in virtù di questi stessi (anche se dietro ai numeri ci sono sempre le persone, non dimentichiamolo per carità): dal 15 giugno al 10 ottobre in Italia ci sono stati 2782 spettacoli con la presenza di pubblico. Sono stati stimati circa 350mila spettatori e c’è stato un solo contagio.
Non ho in testa altro, da qualche ora. Tanto basta per capire che, a mio modestissimo parere, questa chiusura era ampiamente evitabile (e si può fare ancora qualcosa, spero). Sono stati fatti sacrifici enormi da parte di questo settore. E mi sembra che la risposta sia evidente nei fatti e nei numeri. Un contagio su trecentocinquantamila persone. Uno. Non 10, non 100. Uno. Perdonatemi, ma non si può chiudere un settore intero che conta per un contagio.
Riaprire la cultura deve essere un dovere morale per un Paese come l’Italia, che oltre alle fabbriche ha anche un altro grande volano economico ed è altrettanto essenziale per gli introiti e le casse statali. Negarlo e ripugnarlo con aggettivi come “non essenziale” (per chi non è essenziale, poi? chi ha deciso questa disparità e questa distinzione pericolosissima?) è quanto di più sbagliato. C’è un mondo, c’è un’economia che si è adattata ed ha prodotto un solo contagio in tutti questi mesi. La Cultura in Italia produce miliardi e posti di lavoro, letteralmente. Credo sia giunto il tempo di guardare ad essa come una categoria di tutti e per tutti, non ad una mesta proposizione per chissà quale borghesia o élite del centro.
E, senza offesa per nessuno, ma qualcuno potrebbe spiegarmi la differenza tra una chiesa ed un cinema o un teatro? Le distanze, il gel, le mascherine, non dovrebbero essere le stesse? Perché questa differenza?
Permettetemi anche una digressione su questo concetto assolutamente sbagliato di “essenzialità” del lavoro. Il lavoro di tutti è essenziale, anche se si tratta di un singolo lavoratore, di una singola bottega in un piccolo borgo o in una grande città. Lavoro è dignità ed ognuno è essenziale per diversi motivi. Ci sono intere categorie ignorate in questo terribile 2020, non dimentichiamolo e non fomentiamo la disparità con queste distinzioni di “essenzialità” assolutamente assurde, fuori luogo e contesto. Non si può spegnere con un decreto la Cultura. Riaprirla è un dovere.
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mi dispiace dover ammettere che ha ragione, perché mi piace Conte, e continua a piacermi ma anche lui è un essere umano e stavolta forse per stanchezza ha permesso che alcuni isterici o decerebrati che purtroppo siedono nelle stanze dei bottoni infilassero nel DPCM delle regole assurde, inutili e dannose come questa o come quella che penalizza i ristoratori che hanno investito molto per poter continuare ad operare. Ho la speranza che le rettifichi: è un uomo intelligente e coraggioso fino al punto da non aver paura di ammettere di aver commesso degli errori (…il che è un fatto più unico che raro tra i nostri politici…)