L’Italia batterà anche i pugni sul tavolo in Europa, come dice spesso il premier Matteo Renzi, contro il «complotto» ai suoi danni. Ma oggi, lunedì 15 febbraio, il Governo ha clamorosamente perso un’ottima occasione per farlo, e nella sede opportuna: un tavolo fra i ministri dell’Industria dei Paesi Ue produttori di acciaio e la Commissione Europea. In gioco è l’acciaio, di cui l’Italia è il secondo produttore in Europa, un settore che da noi soffre decisamente, come (e non solo) ci ricordano quotidianamente le cronache sull’infinita vicenda dell’Ilva di Taranto. All’appuntamento Federica Guidi, la titolare del Ministero dello Sviluppo economico (Mise), incredibilmente non si è presentata. E ha pure sbagliato a mandare il sostituto, che è stato tagliato fuori dall’incontro.
Questo 15 febbraio era giornata clou per l’acciaio europeo. A Bruxelles si è tenuta la Conferenza d’alto livello con la Commissione Europea proprio sull’acciaio. Migliaia di addetti al siderurgico di varie nazionalità hanno sfilato nelle strade adiacenti i palazzi delle istituzioni Ue contro la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, che imporrebbe una drastica riduzione dei 37 dazi di protezione proprio di questo comparto, con pesanti ricadute per i nostri produttori.
L’Italia, peraltro, è anche uno dei sette firmatari – insieme a Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Gran Bretagna e Polonia – di una missiva inviata il 5 febbraio a Bruxelles in cui si afferma che «l’Unione Europea non può restare passiva mentre l’incremento della perdita di posti di lavoro e le chiusure di fabbriche di acciaio mostrano che vi è un significativo e incombente rischio di collasso del settore europeo del settore» (che in effetti ha perso un quarto della forza lavora dal 2009, mentre in Italia la produzione è crollata dell’8,8% solo tra gennaio e settembre 2015). I sette nella lettera chiedono «alle istituzioni europee di usare ogni mezzo utilizzabile e intraprendere un’azione in risposta a questa nuova sfida».
E invece Roma che fa? La ministra Guidi, cofirmataria della lettera, diserta l’incontro di Bruxelles, adducendo non meglio precisati «impegni improvvisi». Ma quali altri impegni potevano impedire a un ministro dell’industria di andare a Bruxelles, in una giornata chiave per l’acciaio europeo, e di riflesso anche per molte imprese italiane, a cominciare dalla malandata Ilva? Fonti ufficiali del ministero italiano parlano di «sopraggiunti e rilevanti impegni istituzionali che l’hanno trattenuta in Italia». Gli altri grandi paesi produttori di acciaio e firmatari della lettera c’erano tutti.
In sostituzione della ministra, l’Italia ha mandato un alto funzionario: il direttore generale per la Politica industriale, la competitività e le Pmi, Stefano Firpo, un tecnico. Peccato che l’inviato del ministro si sia visto impedire l’accesso al tavolo di alto livello sull’acciaio perché riservato ai rappresentanti politici. L’Italia, insomma, è rimasta fuori.
Come al solito male informati sulle vicende e sui meccanismi di Bruxelles, a Roma ancora una volta hanno creduto che un alto funzionario bastasse: sarebbe stata sufficiente una telefonata per capire come stavano le cose. Aggiungiamo un’altra perla: il migliore “sostituto” per la Guidi sarebbe stato Carlo Calenda, tuttora in carica come il vice ministro allo Sviluppo economico, dunque il numero due dello stsso ministero. Uno che ha fatto della questione Cina e della battaglia contro la concessione dello status di economia di mercato a Pechino una priorità assoluta. Ora, è vero che Calenda è stato nominato nuovo rappresentante permanente d’Italia presso l’Ue, ma l’incarico scatta da marzo, e la sua funzione di vice ministro è ancora valida.
Perla delle perle: a quanto si apprende, Calenda in questa giornata all’insegna dell’acciaio era proprio a Bruxelles, per preparare il suo arrivo da rappresentante permanente. Dunque si sarebbe trattato di spostare qualche appuntamento per partecipare al tavolo di alto livello sull’acciaio. Cosa oltretutto che gli sarebbe stato utilissima per il suo futuro di ambasciatore dell’Italia presso le istituzioni europee. Invece, Calenda risulta non pervenuto. E qualche maligno sostiene che c’entrerebbero i non proprio idilliaci rapporti con la Guidi.
Sia come sia, l’Italia perde, ancora una volta, un’occasione importante per far pesare i propri interessi in Europa al momento opportuno e nelle sedi adeguate, facendo carta straccia degli slogan di Palazzo Chigi e dintorni. Siamo proprio sicuri che se perdiamo le nostre le battaglie europee è colpa dei “complotti” anti-italiani e della Germania cattiva?