Mattarella, il M5S e il vicolo cieco (presunto)
Lo ammetto. Oggi mentre pranzavo, ascoltando le interminabili dirette di Radio Radicale – un mio vizio nei momenti politicamente complicati – ho spento la radio, infastidito dal tono, dal linguaggio e persino dalla voce del presidente Sergio Mattarella. Spero questa ammissione non pregiudichi la mia percezione dall’esterno come cittadino onesto, paziente e tollerante.
Preciso che non si tratta, tra l’altro, di una critica all’operato del Presidente della Repubblica, di cui non mi permetterò mai di contestare l’operato per una semplice ragione: ha più dati ed esperienza di me, persona comune, nel valutare la situazione che ieri, e nei giorni precedenti, gli è stata presentata davanti. È semplicemente stupido pretendere di essere in grado di conoscere tutte le ragioni e sfumature in base a cui Sergio Mattarella abbia rifiutato di avallare l’ipotesi di governo presentata in modo congiunto da Lega e Movimento Cinquestelle.
Il Parlamento elegge il Presidente della Repubblica allo scopo di prendere una decisione in momenti come questo. Sono regole condivise alla base del funzionamento civile di questa nazione. Magari migliorabili, per via democratica, ma al momento si tratta delle regole in vigore; e in base a quelle si gioca.
Mettere in discussione la buona scelta o l’onestà intellettuale del presidente Sergio Mattarella è sciocco perché la quasi totalità di noi non è e non sarà mai nella sua posizione. Gli innumerevoli commenti sulla vicenda che stanno intasando i social network in questo momento vanno presi alla stregua di sfoghi individuali, carichi di un’emotività e di aspettative (forse irreali), scontratesi di fronte a una realtà che evidentemente tiene conto di altri elementi (mercati, ecc…) che per noi cittadini comuni sono qualcosa di lontano e indistinto.
Fatta questa premessa – che mi ha portato via troppe righe, ma pazienza – l’esercizio di ginnastica dei neuroni che mi permetto di suggerire è quello di non ignorare quella sensazione di fastidio. A me l’ha suscitata la voce del Presidente della Repubblica, dicevo, e non nego che questo sia legato per quanto riguarda alla mia reazione alla sua decisione di ieri. Ma potrebbe essere diverso per ciascuno.
Al di là delle regole condivise (parte razionale del nostro cervello), tutti noi viviamo e ci comportiamo in base alle emozioni, a cui la vulgata comune – a maggior ragione nei dintorni della cabina elettorale – attribuisce ormai una connotazione negativa. Se voti “di pancia”, allora stai votando male. Quasi che esistesse invece la possibilità per ciascuno di noi di seguire un corretto percorso di ragionamento, scevro da ogni inquinamento da parte delle deprecabili emozioni, che conduca a votare nientemeno che il miglior candidato possibile che porterà pace e prosperità nella galassia. Poi nella realtà succede che gli unici che votano davvero con il cervello sono quelli che hanno interessi specifici; mentre noi anime belle ci affidiamo a promesse ideali e generiche su un luminoso e solidale futuro.
[Sul fatto che le decisioni non siano disgiunte dalle emozioni rimando a questo libro.]
Sono convinto che come classe media, discretamente istruita e lettrice, abbiamo perso la capacità di leggere la realtà nel momento in cui abbiamo cominciato a bollare come irrilevante o (eccoci) populista ogni opinione che esca dal seminato. La sparo grossa: l’intera etichetta di “analfabeti funzionali”, ormai tanto di moda, altro non è che l’ennesimo modo per evitare di metterci in discussione. Meglio ancora, di ignorare il grido d’allarme di persone diverse da noi, per posizione sociale o minore educazione, che già stanno sperimentando problemi finora ignoti. Vedi alla voce, ma non solo: stipendi inadeguati alle pressioni sociali capitaliste; reti sociali sempre più chiuse in se stesse; incapacità di ottenere dai nostri rappresentanti politici risposte al passo con i tempi. E lo so che a volte chi ha minore conoscenza, tende a uscirsene con lamentele e invettive gratuite o proposte irreali. Siamo certi che questo valga sempre?
Anche il fastidio, e lo sconcerto per quanto sta avvenendo in Italia in queste ore, sono energia. Possiamo spenderla intasando i social network di piagnistei. Oppure provare a mettere qualche sassolino negli ingranaggi di un sistema che ormai sembra troppo grande per noi. Di certo, abbiamo lasciato che lo diventasse mentre eravamo distratti.
È evidente, nella scelta fatta ieri dal Presidente della Repubblica, che ormai l’economia, i mercati, l’interconnessione tra le nazioni europee (e mondiali) influenzino in modo quasi schiacciante le scelte che un governo nazionale è in condizione di fare (o non fare). La più grande menzogna di questi tempi è però che possano esistere solo due poli opposti.
O accetti una realtà turbocapitalistica inumana, per cui siamo numeri; oppure vai ad abbracciare gli alberi (perché, magari, qualcun altro in famiglia procaccia il pane per te).
O accetti la realtà ufficiale, viziata dallo status quo che chi detiene il potere vorrà sempre conservare, anche manipolando l’informazione; oppure credi nelle scie chimiche, nei rettiliani, in una qualunque delle realtà fittizie e consolatorie, utili giusto a chi le propaga, magari lucrandoci.
La realtà, maledizione, è dannatamente più complessa. Ciò che fa più arrabbiare me è il modo in cui molti di noi si sono tenuti volutamente lontani dagli strumenti del cambiamento, che pure c’erano, in bella vista. Al netto di inevitabili limiti strutturali, il Movimento Cinque Stelle ha saputo in questi anni raccogliere molte voci nuove e di dissenso. Ha lavorato alacremente fino ad arrivare in un tempo relativamente breve a un successo elettorale notevole.
Ho esperienza diretta, amici e persone a cui voglio bene – il tono sentimentale è perché ormai, io per primo, considero reale solo ciò che sperimento in prima persona, scusatemi – che, con qualche pregiudizio in meno di me, hanno cominciato a darsi da fare sotto l’etichetta “pentastellata”. L’impatto delle loro iniziative si vede oggi e si vedrà domani. O magari sarà irrilevante, chi lo sa. Erano tutti esperti, quando hanno cominciato? No. Sono tutti in buona fede? Lo sono, chi più chi meno, come qualunque altra persona che si occupa della cosa pubblica. Con virtù, slogan, limiti e potenzialità. Accettare questo è già un punto di partenza. Il Movimento Cinque Stelle è uno strumento di rappresentanza politica e dovrebbe essere solo uno dei tanti. Peccato che non sia così.
Tutti noi che ce ne siamo tenuti fuori, a distanza, pretendendo di “votare bene” affidandoci a un potere costituito che troppo spesso segue percorsi conservatori, viziati da pressioni economiche e di gruppi di potere… ebbene, è colpa nostra. Che non ci abbiamo provato, nel nostro piccolo, a cambiare le cose. Per distrazione, snobismo o chissà che altro, ma abbiamo evitato di giocare e ora, con l’ennesima riconferma di un potere economico globale, più forte del nostro diritto di voto, vediamo i risultati.
Ancora una volta, da domani, ci sarà chi ci proporrà soluzioni semplici a problemi complessi. Chi minerà le basi stesse del nostro sistema democratico, impugnando una decisione del Presidente della Repubblica come un danno ai nostri diritti. Ovviamente facendo finta che la decisione medesima non sia stata presa tenendo conto di una serie di equilibri complicatissimi. E proponendoci, mentendo, di sovvertire quegli stessi equilibri quando la cosa non è, tecnicamente, possibile. A meno che non vogliamo andare tutti ad abbracciare gli alberi e mangiare radici, chiaro. Ma agli imbonitori – come a chi vende i libri su deliranti pseudorealtà complottiste di cui sopra – interessano i soldi/il potere, mica provare, faticosamente, combattendo, a migliorare le condizioni di vita nostre e degli altri, in modo possibile e sostenibile. Che è poi l’unico atteggiamento utile, e possibile.
Capire è difficile, lo sappiamo bene. Richiede impegno, studio, pazienza, volontà di mettersi in discussione. Accettare per buone le narrazioni ufficiali, con i loro ricatti economici, è senz’altro semplice. Perdersi nelle paranarrazioni complottiste lo è altrettanto. Quello che spero per il futuro è che in sempre di più, condividendo e comprendendo, riusciremo a evitare entrambi gli estremi. E a schivare tutti gli imbonitori che tentano di farci credere che i due estremi siano le sole alternative possibili.
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