19 Maggio 2017
Emmanuel Macron ha nominato il suo primo governo, composto da 18 ministri e 4 segretari di Stato. La parità di genere è perfetta (11 uomini e 11 donne), così come il bilanciamento tra politici e società civile. Il nuovo presidente vara quindi la fase due in maniera coerente: il Partito della Nazione tratteggiato in campagna elettorale prende forma, resta da capire se reggerà alla prova dei fatti e delle riforme.
Un governo fatto per durare
L’11 e il 18 giugno ci sono le elezioni legislative, e i francesi sceglieranno la nuova Assemblea Nazionale, la camera che dà la fiducia al governo. Per questo le ragioni e il metodo con cui è stato formato il governo è a noi italiani poco familiare e allo stesso tempo inedito per la repubblica francese.
È a noi italiani poco familiare perché non risponde a dei rapporti di forza elettorale e trae la sua legittimità dalla sola investitura del presidente della repubblica. In questo senso è improprio definirlo un “governo di larghe intese”, perché le larghe intese sono tali a seguito di un voto popolare che non esprime maggioranza: c’è bisogno di un accordo tra partiti, lunghe trattative, equilibrismi vari per non scontentare le varie anime che decidono di lavorare insieme. Il governo è in questo caso formato a poco più di una settimana dall’elezione del presidente e prescinde dalla formazione della maggioranza dell’Assemblea Nazionale, da cui pure dovrà ottenere la fiducia.
È inedito per la repubblica francese perché per la prima volta da quando Presidente e Assemblea sono eletti in maniera contestuale non è ancora chiaro se il partito che esprime il presidente otterrà la maggioranza. Emmanuel Macron ha candidato, infine, 522 persone su 577 seggi, lasciando libere delle circoscrizioni chiave occupate sia da repubblicani di peso, come quello del ministro dell’Economia Bruno Le Maire, sia da ex ministri della presidenza Hollande giudicati compatibili con il macronismo, come Stéphane Le Foll e Myriam El Khomri. Un governo con queste personalità è pensato a immagine e somiglianza del presidente, certo, ma anche per avere il consenso largo che può ottenere in Parlamento. Sui tecnici non c’è nulla da dire, il “regalien” cioè il comparto dei ministeri della potenza dello Stato è affidato a uomini e donne del centro e della sinistra stimati anche dalla destra, l’Economia è interamente nelle mani della destra.
La squadra è pensata per mettere in pratica il programma con cui è stato eletto il presidente: le politiche vengono messe in atto dalle persone, e la scelta di questi profili risponde più a questa esigenza che ai, pur necessari, equilibri politici . Ad esempio, la visione economica liberale, sempre rivendicata, sarà bilanciata dal dialogo sociale e dalla volontà di protezione dei lavoratori. In questo senso la scelta di Bruno Le Maire all’Economia (repubblicano) è bilanciata da Muriel Pénicaud al Lavoro (dirigente d’azienda e funzionaria pubblica, famosa per i suoi ottimi rapporti con il sindacato).
Insomma a meno di un colpo di scena, e cioè di una vittoria (sia essa relativa o assoluta) dei repubblicani alle legislative di giugno, questo governo è pensato per poter attirare una parte della galassia della destra moderata, che si è già detta pronta a poter lavorare in maniera costruttiva con il presidente a seguito del risultato delle legislative.
Il governo
Di seguito i nomi di tutti ministri con un piccolo ritratto, in modo da avere più chiaro chi fa parte dell’esecutivo, alla fine della lunga lista si trova invece una piccola analisi: chi ha già letto abbastanza sui nomi e il passato della squadra guidata da Édouard Philippe può scorrere.
Édouard Philippe, primo ministro, ha 46 anni . Ha un profilo molto compatibile con il nuovo presidente della repubblica: muove i primi passi in politica da giovane rocardiano, la corrente più liberale del partito socialista, ma crescendo scopre che “la libertà ha un peso più importante dell’uguaglianza” e decide di iscriversi al RPR, il movimento gollista, alla fine degli anni ’90. Molto vicino al sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, di cui è stato portavoce durante la campagna elettorale per le primarie dei repubblicani di novembre 2016, è considerato come “il ponte” tra En Marche!, pur sempre un movimento dove gli ex socialisti sono egemoni, e la parte più ragionevole della destra. Suo il ruolo di guidare il governo e soprattutto, nel mese di campagna elettorale, la maggioranza presidenziale alle elezioni legislative dell’11 e 18 giugno.
Il regalien, cioè la potenza pubblica:
–Jean-Yves Le Drian all’Europa e agli Affari Esteri, ha 69 anni. È Bretone, è stato ministro della difesa molto apprezzato durante la presidenza di Hollande, ed è stato uno dei pochi ministri a sostenere apertamente Emmanuel Macron prima del primo turno. Governa anche nella sua regione, dov’è presidente ininterrottamente da tre mandati. È stato scelto per la sua profonda conoscenza dei dossier di politica estera, e in particolare per la familiarità con gli alleati francesi in Medio Oriente (in particolare i paesi del Golfo).
–Marielle de Sarnez agli Affari Europei, ha 66 anni. Dovrà lavorare a stretto contatto con Le Drian, visto che il suo ministero è nominato “presso il ministro dell’Europa e degli affari esteri”; è eurodeputata dal 1999 e iscritta al movimento centrista MoDem (il partito di François Bayrou). È uno dei tre posti che Macron ha riservato al partito di Bayrou.
–Sylvie Goulard al Ministero degli Eserciti, ha 52 anni. Eurodeputata ex MoDem, ha raggiunto En Marche! fin dalla fondazione, nel 2016, ed è stata a lungo tra i papabili per la poltrona di primo ministro. Germanofona, europeista convinta, è alla testa di un ministero fondamentale anche in virtù del suo peso europeo: la Francia ha il più grande esercito dell’eurozona, ed è potenza atomica, il nuovo ministro dovrà quindi occuparsi di una maggiore integrazione tra gli eserciti europei da una posizione di relativa forza.
–Gérard Collomb agli Interni, ha 69 anni. È il sindaco di Lione, uno dei primi politici di peso ad aver sostenuto Macron a inizio 2016, eredita un ministero prestigiosissimo e fondamentale visto lo stato d’emergenza e la continua minaccia terroristica. Come Le Drian è considerato molto vicino al presidente, che evidentemente ha voluto degli uomini di fiducia nei posti chiave.
–François Bayrou alla Giustizia, ha 65 anni. È il solo alleato politico di Macron: la sua decisione di non candidarsi alle presidenziali per allearsi (e non sostenere, appunto) con il leader di en Marche! è stata decisiva per la conquista dell’Eliseo visto che Macron è immediatamente passato dal 19% al 24% nei sondaggi dopo l’annuncio, a febbraio. Al centro dell’accordo tra Macron e Bayrou c’era una legge sulla moralizzazione della vita pubblica da approvare nei primi sei mesi del mandato: il nuovo ministro sarà quindi subito al lavoro su questo tema.
I radicali
–Annick Girardin ai Territori d’Oltre Mare, ha 52 anni. Iscritta al partito radicale di sinistra, è l’altro ministro di François Hollande confermato oltre a Le Drian. È originaria di Saint-Pierre et Miquelon, uno dei domini d’Oltre Mare, appunto, ed è stata sostenitrice di Macron da prima del primo turno. Dovrà occuparsi dei territori lontanissimi dalla Repubblica, spesso dimenticati e in condizioni economiche molto precarie.
–Jacques Mézard all’Agricoltura, ha 70 anni. Eletto senatore nel 2008, è membro del partito radicale di sinistra e molto conosciuto per aver contribuito ad abrogare la legge che vietava il riconoscimento del genocidio armeno. Sostiene dal 2016 Emmanuel Macron e si occuperà di uno dei ministeri meno “famosi” ma più importanti: la Francia è il primo paese agricolo d’Europa, Mézard dovrà risolvere i grandi problemi di competitività di chi lavora nel settore, negli anni sempre più attratto dal messaggio del Front National.
I fedelissimi di En Marche!
–Richard Ferrand alla Coesione Territoriale, ha 54 anni. È un ministero molto importante vista la frattura elettorale ampiamente raccontata tra la Francia delle città e la Francia delle campagne/periferie. Era il segretario di En Marche!, “il primo dei marcheurs” come lo ha definito il Monde, ed è una delle persone più vicine a Macron. Si occuperà anche degli alloggi pubblici.
–Christophe Castaner portavoce del governo e Sottosegretario di Stato ai rapporti con il parlamento, ha 51 anni. Castaner era uno degli uomini più mediatici di Macron, spesso in televisione a difendere le idee di En Marche! e incaricato di aprire tutti i comizi di Macron al sud. Ha un ruolo importantissimo: la maggioranza in Parlamento sarà difficilmente assoluta, ma anche se lo fosse sarà composta da quasi la metà di novizi, persone che non hanno mai esercitato un mandato elettivo; a lui fare da tramite, oltre a dover gestione dei delicati rapporti con la stampa.
–Mounir Mahjoubi sottosegretario di Stato al digitale, ha 33 anni. Figlio di immigrati marocchini è stato a capo del Conseil national du numérique, la commissione creata da François Hollande per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche in materia di innovazione e tecnologia digitale. Ha raggiunto En Marche! occupandosi della campagna dal punto di vista digitale a gennaio 2017, e ha contribuito a sventare l’attacco informatico di cui è stato vittima il comitato elettorale alla vigilia delle elezioni.
I repubblicani
–Bruno Le Maire all’Economia, ha 48 anni. Ex candidato alle primarie dei repubblicani, ha fatto il ministro dell’Agricoltura con Sarkozy. In un rimpasto di governo doveva essere ministro dell’economia proprio con Sarkozy ma all’ultimo non se ne fece nulla, esperienza che l’ha profondamente marcato e “incattivito”. Aveva abbandonato la campagna di François Fillon al rifiuto di ritirare la candidatura a seguito della messa in esame a causa del PenelopeGate, e si era detto disposto a collaborare con Macron dopo il primo turno.
–Gérald Darmanin ministro dell’azione pubblica e dei conti pubblici, ha 33 anni. È un ruolo fondamentale visto che deve fare da arbitro con gli altri ministri per il budget. Molto interessante che sia repubblicano, e quindi completa una sorta di occupazione della destra del settore economia/budget al palazzo di Bercy. È stato portavoce di Sarkozy e poi direttore della sua campagna elettorale, entra proprio nel ministero del suo mentore, inquilino di Bercy dal 1993. È anche sindaco di Tourcoing, una piccola città del nord est della Francia, ed è stato deputato dal 2012 al 2017. Si occuperà anche della Funzione Pubblica, visto che il relativo ministero è stato soppresso.
La società civile
–Nicolas Hulot alla transizione ecologica, 62 anni. È uno dei “colpi di genio” del governo, come l’ha definito l’ecologista Daniel Cohn-Bendit. Hulot è un militante ecologista molto conosciuto per le sue idee radicali (è contro il nucleare e ha sostenuto Jean Luc Mélenchon nel 2012) ma molto apprezzato da tutti i partiti politici. Il ministero dell’ambiente gli era già stato offerto da Jacques Chirac nel 2002, da Nicolas Sarkozy nel 2007 e da François Hollande nel 2012, ma non lo aveva mai accettato. È il profilo che suscita più curiosità: come riuscirà ad andare d’accordo con il primo ministro, noto sostenitore del nucleare e con gli inquilini di Bercy, non molto sensibili ai temi ambientali?
–Jean-Michel Blanquer all’Educazione Nazionale, ha 52 anni. Era direttore dell’Essec, una delle migliori grandes écoles del paese, oltre ad essere stato direttore generale dell’insegnamento scolastico dal 2009 al 2013. Il progetto di Emmanuel Macron ha al centro una riforma del sistema scolastico ed universitario nazionale, secondo il nuovo presidente “una priorità” del suo mandato. In Francia l’éducation è un tema molto politicizzato che genera grandi tensioni tra i partiti, sarà quindi interessante vedere quanto il ministro riuscirà a pesare nel dibattito pubblico che inevitabilmente le riforme proposte dal governo genererà.
–Muriel Pénicaud al Lavoro, ha 62 anni. La riforma del lavoro sarà una delle prime del mandato di Macron, che ha già chiarito che userà lo strumento della delega legislativa per metterla in atto. Pénicaud dovrà quindi dialogare con le parti sociali, ed è forse proprio per questo che è stata nominata: ha ricoperto per anni la direzione delle risorse umane di Danone dov’è stata promotrice della copertura sanitaria per tutti i dipendenti della multinazionale a livello mondiale; ha lavorato a stretto contatto con la CGT (la CGIL francese) durante la presidenza Sarkozy per presentare uno studio sul miglioramento delle condizioni di sanità psicologica sui luoghi di lavoro; Ha già lavorato al ministero del lavoro, occupandosi per il ministro Martine Aubry della formazione professionale tra il 1991 e il 1993. Insomma un profilo gradito al Medef, la Confindustria francese, ma stimato anche dalle parti sociali.
–Françoise Nyssen alla Cultura, ha 66 anni. Nata in Belgio, è presidente della società editoriale Acte Sud, editore indipendente molto conosciuto in Francia per scommettere su giovani promesse e scrittori poco conosciuti oltre che premi nobel (due negli ultimi dodici anni) e Goncurt (tre negli ultimi dieci). Il settimanale L’Obs è stato entusiasta della nomina: “finalmente un vero ministro della Cultura”, ha scritto. La reazione della stampa è stata in generale di grande favore per un ministero a cui il presidente ha detto di tenere molto.
–Agnès Buzyn alla Sanità, ha 56 anni. Ematologa di fama mondiale, è professoressa all’università parigina Pierre et Marie Curie. Ha diretto per cinque anni l’Istituto nazionale del cancro e dal 2015 era alla testa della Alta Autorità Sanitaria, prima donna a ricoprire l’incarico.
–Frédérique Vida all’Insegnamento Superiore e all’Innovazione, ha 53 anni. È una famosa studiosa di genetica, e rappresenta come altri ministri un’esponente della società civile che ha avuto costanti rapporti con il mondo politico durante la sua carriera: è stata per quattro anni membro del Consiglio Nazionale della ricerca scientifica e membro dell’Osservatorio della Costa Azzurra, un polo scientifico che gestisce e finanzia le attività di ricerca della regione. Nel 2013 è stata insignita della Legione d’Onore, la più alta decorazione francese.
–Élisabeth Borne ai Trasporti, ha 56 anni. È stata sinora presidente della RATP, la società di trasporti parigina, ma ha una lunga carriera nella funzione pubblica. Società civile sì, quindi, ma con una conoscenza quasi perfetta di come funziona un ministero: consigliere prima al ministero dell’istruzione e poi presso il primo ministro con Lionel Jospin è stata anche direttrice del gabinetto ministeriale di Sègoléne Royal dal 2014 al 2015.
–Laura Flessel allo sport, ha 47 anni. È una schermitrice molto famosa, ha vinto due ori olimpici e sei mondiali, e ha sostenuto Emmanuel Macron tra il primo e il secondo turno firmando un lungo appello con altri sessanta sportivi. Non è del tutto nuova alla politica: ha fatto parte nel 2010 del consiglio economico, sociale e ambientale e nel 2013 del consiglio nazionale dello sport.
–Marlène Schiappa Segretario di Stato alla parità di genere, ha 33 anni. È una delle promesse mantenute a metà di Emmanuel Macron, che aveva promesso un ministero di primo piano per lottare contro “l’inaccettabile disparità di genere” che esiste in Francia e invece concede solo un segretariato di Stato. Schiappa si autodefinisce la lobbista delle madri che lavorano, ha un blog molto seguito, ha scritto quindici libri sulla parità di genere e lavorato con l’amministrazione comunale socialista di Le Mans.
–Sophie Cluzel, Segretario di Stato incaricata delle persona handicappate. È presidente della federazione nazionale delle associazioni al servizio degli allievi che presentano una situazione di handicap, insignita della legione d’onore, si occuperà di un tema molto caro a Emmanuel Macron, che durante il dibattito del secondo turno con Marine Le Pen lo aveva come argomento a piacere di cui parlare nella conclusione.
Un governo politico ma con dei profili molto autonomi
L’aveva promesso e la promessa è stata mantenuta: metà dei componenti del governo proviene dai mestieri. C’è sempre una dose di società civile negli esecutivi in quasi tutte le democrazie occidentali, ma un così alto tasso di tecnici in un governo che invece è squisitamente politico è inedito e ha una ragione ben precisa, oltre alla volontà di attirare “i migliori”: evitare che i mestieri vengano messi ai margini dalle parti più politiche della governo. Avere parità numerica in questo senso è molto importante.
Ai non-politici non sono affidati ministeri di secondo piano, come paventavano alcuni alla vigilia. Sanità, Lavoro e Istruzione sono punti rilevanti del programma di Emmanuel Macron e la scelta di affidarli a tecnici non è casuale. Sono tecnici che innanzitutto conoscono cosa vuol dire l’amministrazione: i tre neoministri hanno avuto molte esperienze, talvolta decisionali, con il potere pubblico. Nascondono, forse, la volontà di Emmanuel Macron di depoliticizzare il dibattito su queste tre riforme che ha detto di voler portare avanti e potrebbero costituire un problema a lungo termine: tutte queste persone sono molto autonome e all’apice delle loro carriere, particolare che potrebbe portarle a sbattere la porta e dimettersi piuttosto che fare compromessi se dovessero esserci divergenze importanti nell’esecutivo.
Continua l’evocazione delle forze armate
Emmanuel Macron ha impostato i suoi primi giorni da Capo dello Stato anche da Capo delle forze armate. Per far questo il presidente ha moltiplicato i segnali e i simboli per far passare un messaggio che evidentemente ritiene cruciale. Prima il saluto su un veicolo militare il giorno del suo insediamento, poi la prima visita ufficiale non prevista dal protocollo del passaggio dei poteri all’ospedale militare dove ha ritrovato dei soldati feriti in Mali e in Afghanistan, infine la nuova denominazione del ministero della difesa, ormai “Ministère des Armées”, ministero degli eserciti, terra, aria e mare.
La scelta del nome non è casuale, era la denominazione del ministero durante gli anni di de Gaulle e il nome fu cambiato nel 1969 sotto la presidenza di Georges Pompidou e del suo primo ministro “moderno” Jacques Chaban-Delmas. Macron, che esplicitamente si vuole rifondatore della repubblica come lo fu de Gaulle. Infine, il dicastero più regalien di tutti è andato ad una donna, segno che la parità tanto decantata durante la campagna elettorale è stata portata fino in fondo.
Le incognite
Sono principalmente due: la prima è la cosiddetta “dottrina Juppé”. Ci sono alcuni ministri anche candidati alle legislative, e l’Eliseo ha chiarito che in caso di perdita del collegio dove sono candidati dovranno dimettersi in automatico, come successe ad Alain Juppé nel 2007 che, nominato ministro dell’ecologia, fu costretto a dimettersi dopo aver perso le elezioni contro la socialista Michèle Delaunay. In particolare le posizioni sensibili sono quelle di Christophe Castaner, nominato in un ruolo delicatissimo e candidato nel collegio Alpes-de-Haute-Provence, una circoscrizione dove Emmanuel Macron è arrivato terzo al primo turno e ha vinto al secondo di pochissimi voti, e Bruno Le Maire, ministro dell’Economia candidato alla successione di se stesso nella prima circoscrizione dell’Eure; in questo collegio Marine Le Pen è arrivata in testa al primo turno con il 29,2% dei voti. Sono impegnati alle legislative anche Marielle de Sarnez, Richard Ferrand, Annick Girardin (PRG) e Mounir Mahjoubi (quest’ultimo a Parigi contro il segretario del Partito Socialista, Jean Christophe Cambadélis). È chiaro che una o più sconfitte alle legislative potrebbero scatenare un effetto domino e costringere presidente primo ministro a cambiare completamente la squadra di governo.
La seconda è la compatibilità: i ministri hanno idee politiche e percorsi personali molto diversi, è la prima volta che un esecutivo si presenta così composito. È vero che tutti i nominati hanno dichiarato più volte di essere consapevoli che la Francia ha bisogno di riforme e politiche condivise finora non portate a termine a causa del settarismo, ma le opinioni diverse esistono e pesano. Il rischio è che su alcuni dossier più sensibili, specie quelli imprevedibili, possano esserci scontri molto duri e compromessi molto difficili. A questo va aggiunta la grande eterogeneità della maggioranza parlamentare, perché le candidature targate En Marche! replicano lo schema del governo: sinistra, centro e destra affiancati dalla società civile. La coesistenza virtuosa è l’ennesima grande scommessa di Emmanuel Macron.
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