Se il Primo ministro fa l’influencer il momento non è solenne
Che si lasci il live streaming sui social ai cittadini, ai giornalisti, a tutto coloro che vogliono farci sapere come stanno e come si vive al tempo del Coronavirus. E che, invece, le istituzioni parlino con una sola voce, attraverso i canali istituzionali e le testate giornalistiche. La sensazione, ancor prima dell’annuncio di Giuseppe Conte nella tardissima serata di sabato scorso, era che il Primo ministro stesse sempre di più vestendo i panni dell’influencer, volendo aumentare grandemente il suo seguito sui social. Incurante degli effetti distorsivi di una comunicazione istituzionale così sui generis.
E difatti, da un articolo di Elisa Serafini di Tpi.it leggiamo che Giuseppe Conte, in attesa che si manifestasse in diretta streaming dalla sua pagina pubblica Facebook – con ben un’ora di ritardo rispetto a quanto annunciato sempre dalla sua pagina personale Fb – ha guadagnato “Mezzo milione di nuovi follower personali” e sempre la giornalista aggiunge che il Primo ministro “in poche ore riesce ad aumentare i suoi fan del 35 per cento, una strategia che con tecniche di inserzioni Facebook a pagamento sarebbe costata tra i 500.000 e il milione di euro”.
Tra le altre cose, non si comprende davvero la necessità di tenere sul filo della tensione l’intero Paese per comunicare un decreto che era già nell’aria e che, cosa ancor più importante, non sarebbe entrato in vigore l’indomani. Mancando, quindi, gli elementi che avrebbero giustificato la tempestività dell’informazione. E non pochi hanno vissuto in quell’ora di attesa una leggera sensazione di panico, paura e terrore. Tanto più che, in quel frangente, l’Adnkronos pensava bene di diramare una delirante lettera di Capitano Alfa, ex comandante del Gis – adesso in pensione – che aveva tutto il sapore dell’invito al golpe. Un’ora di follia nazionale, durante la quale Giuseppe Conte e il suo staff hanno tenuto col fiato sospeso tutta la cittadinanza in isolamento coatto.
Viene difficile pensare ad una strategia di comunicazione così cinica in un momento tanto delicato. Ma allora, sarebbe opportuno che il Primo ministro spiegasse perché ha deciso di diramare un messaggio al Paese in quelle modalità. Perché ha scelto di farlo attraverso la sua pagina personale Facebook. Perché ha ignorato le più elementari regole di comunicazione istituzionale. Perché lui, avvocato del popolo – e si presume buon conoscitore delle sottili sfumature di significato a seconda della forma – ha optato di fare ciò che avrebbe fatto un qualsiasi influencer voglioso di aumentare i suoi like sulla propria pagina Facebook. Tanto più che leader ben più spericolati di Conte non si sognerebbero mai di divulgare comunicazioni istituzionali tramite i propri account personali, da Donald Trump sino ad arrivare a Boris Johnson. Anche perché il momento è solenne, proprio perché i cittadini stanno rinunciando alle proprie libertà individuali per raggiungere un fine superiore: superare l’emergenza Coronavirus. Ma di fronte a questa comunicazione istituzionale fatta in modalità influencer, la solennità fatica a imporsi.
È pur vero che oramai gran parte dell’audience, dopo anni di becera comunicazione politica fatta sui social, non è in grado di apprezzare la differenza tra un canale di comunicazione istituzionale e uno personale, ma proprio in virtù di tale ignoranza generalizzata, sarebbe il caso di ricordarcelo tutti e di farlo presente a chi sottostima l’inopportunità di un tale comportamento. Al di là del fatto che un annuncio univoco dalla propria pagina social non permette ai giornalisti di porre domande. E di interrogativi ve ne sarebbero stati da porre, tanto più che il Decreto “serra tutto” è la risultante di una trattativa tra il governo da una parte e i sindacati e Confindustria dall’altra. E ancor oggi permangono dei dubbi circa le attività che devono chiudere e quelle che invece possono restare aperte.
Non vi sono segnali che fanno sperare in un’inversione di tendenza da parte di Conte e il suo staff. Non è certo il caso di nutrire la speranza che l’istituzione della Presidenza del consiglio possa aver accolto un certo disagio da parte dei cittadini rispetto alle sue modalità spericolate di comunicazione. Perché, in fondo, anche in piena emergenza sanitaria, con un Paese serrato e con una cittadinanza chiusa in casa, pare che valga sempre la stessa maledetta legge della giungla mediatica: apparire e farsi vedere. Lo sa bene Conte, lo sa ancor meglio il suo staff, così come il Ministro degli esteri Luigi Di Maio che trasmette – anche lui – dalla sua pagina Facebook, gli arrivi all’aeroporto di Pratica di Mare dei cargo degli aiuti sanitari provenienti dall’estero (ieri dalla Cina, oggi dalla Russia), con la malcelata finalità di intestarsi l’esclusivo merito.
Nella comunicazione la forma è sostanza. Specie nella comunicazione istituzionale.
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