Governo
Il dibattito sulle aperture domenicali e il fallimento della terza via
Si discute molto dell’ultima proposta di Di Maio di porre fine alla liberalizzazione totale delle aperture dei negozi, soprattutto per quanto riguarda le domeniche e i giorni festivi. Questa vicenda, a mio parere, si presta ad essere un case study (studio di caso o caso di studio?) per contribuire a spiegare perché la Terza Via ha fallito.
La Terza Via, o il riformismo come piace ad una certa parte politica italiana, era in semplicissime (e non esaustive) parole la sintesi tra socialismo e liberismo. Implicava il riconoscimento da parte della sinistra del ruolo essenziale del mercato come istituzione e del meccanismo della concorrenza come motore di crescita. Questa la prima parte, che la distingueva dal socialismo, e ci sarebbe dovuta essere una seconda parte, per distinguerla dal liberismo, nella quale lo stato si impegnava a rimanere parte attiva per regolamentare e redistribuire parte di quella ricchezza generata dai mercati resi più concorrenziali. Non era sbagliata in linea di principio, era anche affascinante. Sono un’economista e la teoria l’ho studiata.
Poi qualcosa è andato storto, siamo (i paesi) cresciuti molto anche se alcuni settori più di altri ma quando qualcosa si è rotto alcuni gruppi di cittadini ci sono andati di mezzo più di altri e ci siamo accorti che non avevamo messo in piedi, con parte di quella torta che cresceva, un sistema di tutele per tutti.
Ora questi cittadini sono un pochino arrabbiati con chi non li ha tutelati e sembra aver fatto gli interessi degli altri, dove gli altri a torto o a ragione sono i ricchi, i potenti, le banche e le multinazionali e che spesso hanno sottratto la loro fetta di torta al sistema fiscale. E non ne vogliono più sapere di mezze misure, e compromessi, e ragionevolezza.
Tornando all’esempio in questione, la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi doveva essere solo la prima parte di una scelta politica da “terza via” la seconda era preoccuparsi (prima) che i lavoratori di quei settori fossero tutelati e che avrebbero beneficiato anche loro della crescita del settore. Invece non si sono posti limiti e oggi sui giornali si trovano esperienze di vario tipo riguardo ai lavoratori della GDO. C’è chi è felice, chi può scegliere, chi è costretto, chi è compensato per l’oggettiva scocciatura, chi racimola solo pochi euro in più e chi può riposare almeno un altro giorno fisso in settimana. Direi che in epoca di populismi sarebbe miope derubricare l’uscita di Di Maio a una stupidaggine perché l’ha giustificata con l’unità della famiglia, piuttosto sarebbe l’occasione per rimettere un po’ d’ordine e preoccuparsi di alcuni lavoratori che appartengono sicuramente alla fasce più deboli.
Io onestamente non lo so quale sarebbe la perdita di fatturato se si arrivasse a limitare le aperture domenicali, e però mi ha molto colpito l’allarme di molte persone che si definiscono di sinistra e progressiste. Tutti a difendere il diritto a consumare (che è diverso dal diritto alla salute o alla sicurezza), anche a scapito dei diritti dei lavoratori. Di sicuro mi sembra che la Germania o la Svizzera prosperino anche senza le aperture dei negozi 24/7 o non mi sembra che in Gran Bretagna Amazon soffra a causa delle aperture continue.
Credo che governare i processi sia la scelta migliore sebbene più complicata, e che quindi la strada giusta sia la tutela dei lavoratori e non la chiusura forzata. Ma bisognerebbe abbandonare quell’atteggiamento TINA (there is no alternative) e di ineluttabilità di fronte alle forze di mercato. E ricordarsi che la politica può e deve essere più forte dei mercati, e che a volte davanti ad una critica “ma è antieconomica!” si risponderà “sì, e allora?”.
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