Governo

Il governo Amanda Lear

1 Giugno 2018

Da uomo con riferimenti saldamente ancorati al ‘900, mi tengo accuratamente lontano da Spotify o consimili diavolerie moderne, e ascolto la radio. Probabilmente è solo un pregiudizio. Sia come sia, il problema della radio (strumento meraviglioso) è che poi devi trovare la stazione giusta in mezzo ad un centinaio di altre per cui la musica è solo un’interruzione della pubblicità. Lo sforzo è tale che, quando la trovi, la fidelizzazione è –almeno per me- immediata. Da un po’ di tempo in Toscana trasmette una stazione, Radio Mitology (l’inglese corretto Mythology fa probabilmente snob), totalmente dedicata alla riproposizione della musica degli anni ‘70 e ’80 (“30 minuti di anni 70, 30 minuti di anni 80, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno: cosa si può volere di più?” ripete periodicamente il jingle). E’ un perfetto sottofondo musicale, e le sorprese –sotto forma di canzoni imprevedibili che tratteggiano un’epoca- non mancano mai. Come dice una mia amica, il revival di Radio Mitology farebbe impallidire la “recherche” proustiana. Noto anche che Radio Mitology si sta diffondendo in molti degli esercizi commerciali dove sono solito andare a fare una bevuta o comprare qualcosa che mi interessa; il che mi fa sospettare che io sia ormai prigioniero in un girone del presente in cui sono rinchiusi tutti i quarantenni, senza alcuna possibilità di fuga, né di contatto con il mondo dei giovani –pardon, millennials- o di coloro che devono purtroppo fronteggiare la Legge Fornero.

Insomma, Radio Mitology e i suoi evergreen mi tengono parecchia compagnia mentre mi concentro su problemi di lavoro, e magari tento di risolverli. Però quando all’improvviso arriva la canzone imprevedibile (i dj della radio sanno il fatto loro), il mio cervello stacca dal lavoro e per colpa dei pensieri associativi -come direbbe Battiato- finisce inevitabilmente a riflettere su qualcos’altro. Oggi, per esempio, me ne stavo tranquillo ascoltando Mitology nella mezz’ora dedicata ai ’70, quando la radio ha cominciato a trasmettere Tomorrow, una canzone di Amanda Tapp, più conosciuta come Amanda Lear. Sono rimasto realmente stranito. E, chissà perché, mi è venuto in mente il nuovo governo giallo-verde, meglio detto “governo del cambiamento”.

La prima strofa di Tomorrow recita: “Voulez-vous/a rendez-vous/tomorrow? We could try/to say goodbye/tomorrow”. Amanda Lear la canta con una voce scura, impostata per essere sensuale e vagamente stonata. Ed è facile pensare alle centinaia di meeting che Salvini, Di Maio e compagnia cantante hanno fatto negli ultimi giorni. Ce li vedo a chiedersi l’un l’altro se sia utile fare l’ennesima riunione, per limare il contratto del governo del cambiamento, per parlare del premier, dei ministri; Savona si-forse no-meglio di no-ma non cediamo a Mattarella-e allora si! si cambia; e poi magari la strategia politica impone di dirsi addio, ma per 24 ore soltanto, sia chiaro. A notte fonda, con luci forse a Led (alla camera avranno le luci a Led?), la voce deve essere per forza impastata. “Where are you? Can I see you?” canta ancora Amanda Lear, e la riunione si aggiorna a domani. Magari c’è anche il Professore Conte, finalmente libero dagli impegni accademici e di avvocato cassazionista. Non ho capito se si sposti sempre con la sua amata Jaguar.

Certo, questo governo pone diverse domande a noi che non li abbiamo votati, che crediamo a cose del ‘900 come il riformismo e quella faticosa necessità di migliorare la società per dare risposte a chi sta peggio, con l’idea banale che è bello stare tutti meglio. In primis perché diverse cose che in politica ci sembrano da anni assolutamente efficaci e financo astute, chissà perché non funzionano mai. Il PD, partito a cui do il voto dal 2008, oggi farà una grande manifestazione per difendere Mattarella e le Istituzioni dagli atti eversivi dei populisti nostrani; peccato che nelle stesse ore i ministri del governo del cambiamento giureranno nelle mani serene e sicure del Presidente Mattarella, che ha difeso le istituzioni con semplice, cortese e fermo rifiuto, una cosa tipica delle persona serie. Ed è solo l’esempio più recente di surrealismo politico perseguito dalla cosiddetta sinistra responsabile. Figuriamoci quella radicale.

Si, il “governo del cambiamento” ci pone delle domande. La prima è se vogliamo continuare a ignorare snobisticamente che una parte della società ha realmente paura dei cambiamenti che negli ultimi anni l’hanno attraversata. Se vogliamo continuare a non studiare più niente della realtà che ci circonda, ma (nel caso migliore) applicare ad essa modelli politici con cieca fiducia, incuranti se la realtà si faccia interpretare o no. Oppure se vogliamo tornare ad interessarci alla realtà per quello che è, anche con le sue storture e meraviglie; e con questo mostrare empatia profonda per i nostri simili, comunicare con i gesti ancor prima delle parole. A sinistra non abbiamo molto bisogno di gente pensosa e sarcastica, né di politici col piglio carismatico del leader; sbaglierò, ma secondo me si potrebbe ricominciare da gente che sorrida al prossimo. E qualche ragionamento di buonsenso di contorno.

“You are the one I pick, you are f-a-fantastic!” La voce di Amanda Lear poi diventa una specie di sussurro; ricorda una ragazza che si risvegli su un divano nel mezzo di una festa e chieda dove è finito il suo fidanzato. Io ho l’impressione che la divertente, anzi divertentissima, commedia di questi 80 giorni in attesa di governo sia molto più Pop di quanto si creda. E molti fenomeni pop, compresi gli zii pugliesi del Professore Conte devoti di Padre Pio, arrivano al cuore delle persone molto più di molti discorsi complicati.  In effetti –senza provare alcun snobismo- sono affascinato da tutto quello che è successo. Trovo fantastica, ad esempio, la trovata di Salvini di fare dirette facebook da un terrazzo di un condominio, con le antenne e il cielo grigio sullo sfondo. Lui è arrabbiato contro le istituzioni e lo dice da un terrazzo.

Guardate, mi piacerebbe che a questo punto il governo del cambiamento arrivasse a suo pieno compimento, abbandonando quelle residue vestigia da burocrazia parastatale che ancora contiene, così ben rappresentate dagli azzimati completi grigi o blu del duo Di Maio/Conte, pochette inclusa. Li vedi e pensi subito che nelle loro macchine l’arbre magique non mancherà mai. No, il governo del cambiamento, oltre a comprendere una serie innumerevole di eminenti professori che nessuno conosce, dovrebbe essere capitanato da un leader seduttore dal fascino inquietante.

Amanda Lear, per esempio, andrebbe benissimo. E forse vedendo la nascita del governo Amanda Lear, il PD e tutta la sinistra riuscirebbero a capire che, al di là della competenza e dello storytelling, sono risorse anche l’empatia e la fantasia.

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