Governo

Fari spenti sulla Commissione d’inchiesta Banche: qual è l’agenda del Governo?

11 Luglio 2018

Ben quattro sono state le relazioni finali della Commissione, una di maggioranza e tre di minoranza (del centro-destra, del Movimento 5 stelle, di Liberi e Uguali & Sinistra Italiana). Relazioni che, pure nelle differenze di analisi sui sette istituti bancari andati in crisi e sulle differenti soluzioni adottate per gestirle, tutte con impiego di soldi pubblici e perdite per i risparmiatori – quattro banche poste in risoluzione (Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti), due liquidate e successivamente acquisite (le due banche venete Popolare Vicenza e Veneto Banca), una ricapitalizzata con l’intervento dello Stato (MPS) – hanno avanzato proposte e indicazioni a Parlamento e Governo per risolvere i problemi emersi e prevenire crisi future, imparando dall’esperienza passata.

Dopo palcoscenico e fanfare, fari spenti sulla Commissione d’inchiesta Banche

Eppure, nessuno ne parla più, e pochi forse hanno letto le 390 pagine del rapporto finale della Commissione, disponibile dai primi mesi del 2018. Dalle quali si traggono molte utili indicazioni per interventi, al minimo necessari ma spesso urgenti, sul settore bancario-finanziario  –  italiano ed europeo – che presenta ancora problemi e criticità. E poiché, come diceva Molière, «gli errori più brevi sono sempre i migliori», proviamo qui ad assumere un’ottica rivolta al futuro, tralasciando le responsabilità dei vigilati (cattiva governance dei vertici delle banche, pratiche errate quando non dolose di concessione del credito, conflitti di interesse, ecc.) e dei vigilanti (ritardi/inefficienze nelle ispezioni, scarso o nullo coordinamento, insufficiente tutela del risparmio da parte dei regolatori, ecc.), e a comporre un quadro d’insieme delle proposte più rilevanti che emergono dalle quattro relazioni, perché si possano correggere al più presto gli errori passati adottando le misure di intervento necessarie nel programma del nuovo Governo e nell’attività legislativa del nuovo Parlamento.

Su queste pagine si tratteranno a seguire: correzioni all’attività di vigilanza, requisiti di suitability dei vertici delle banche e problemi di governance degli intermediari, interventi sui conflitti di interesse nel sistema finanziario, misure per rafforzare la tutela del risparmio.

Autorità di vigilanza: poteri, coordinamento, efficacia e tempestività dei controlli

Tutte le relazioni, con toni più o meno severi, hanno evidenziato inefficacia, ritardi, scarso coordinamento e insufficiente comunicazione tra Banca d’Italia e Consob. L’attuazione in Italia della Direttiva comunitaria Mifid II ha già previsto un rafforzamento dell’interazione tra la Banca d’Italia e la Consob in tema di reciproca comunicazione delle ispezioni disposte. L’aggiunta nel TUF (riformulazione dell’attuale art. 4) dell’obbligo di trasmissione tempestiva dei verbali integrali delle rispettive ispezioni consentirebbe alle due autorità di disporre di una base dati comune di ispezioni svolte e relativi esiti e impedirebbe alle banche vigilate di eludere nei prospetti informativi sull’emissione di strumenti finanziari, sulla cui correttezza e trasparenza vigila la Consob, le prescrizioni rese dalla vigilanza della Banca d’Italia.

Ancora più drastica e più direttamente operativa appare la proposta del M5s di costituire un’autorità di coordinamento per la vigilanza micro-prudenziale (che metta insieme Banca d’Italia, Consob, MEF, Ivass, Covip, Agcom): potrebbe riferire ad una commissione parlamentare dedicata e permanente, che avrebbe il compito di verificare l’adeguatezza normativa nazionale e proporre rimedi per le lacune rilevate, abolendo il segreto di ufficio tra autorità di vigilanza, tra autorità di vigilanza e autorità giudiziaria (d’ora in poi AG), tra autorità di vigilanza e PA, e dando pubblicità ai rapporti/incontri tra autorità di vigilanza e soggetti vigilati.

Vertici capaci e buona governance

Grande e meritoria enfasi è stata posta da parte della relazione di maggioranza sulla necessità dell’emanazione rapida del decreto MEF di modifica dell’art. 26 del Testo Unico Bancario (d’ora in poi TUB) per il recepimento delle regole europee sul fit & proper (paradossalmente, a ben vedere, visto che i ritardi lamentati sono interamente imputabili al governo di cui gli estensori della relazione erano emanazione in commissione).

La governance delle banche è un tema caldo e rilevante ai fini del buon funzionamento del sistema bancario; stupisce sul punto l’assenza di richiami e sottolineature nella relazione del M5s, che pure aveva dimostrato grande sensibilità all’argomento in altre occasioni. La Direttiva europea CRD IV (del giugno 2013) fissa norme severe sui requisiti tecnici e morali dei banchieri (il c.d. fit & proper), da rispettare in sede di auto-valutazione (da parte degli stessi intermediari) e controllo/verifica (da parte degli organismi di vigilanza) dell’adeguatezza (suitability) degli organi di management e controllo delle banche.

Recentemente, sia l’European Banking Authority (EBA) che la BCE hanno emesso linee-guida operative per la concreta applicazione di queste norme in ambito europeo.  La direttiva è stata recepita in Italia due anni dopo e ha modificato l’articolo 26 del TUB.

Tuttavia, non è ancora applicabile in Italia perché il recepimento del 2015 prevedeva che le nuove norme sarebbero entrate in vigore solo dopo un decreto attuativo da emanare da parte del MEF (e che sarebbero state applicate solo alle nomine post decreto). Questo decreto è andato in consultazione pubblica a settembre 2017, ma ad oggi non è stato ancora emanato.

Le norme prevedono requisiti articolati e stringenti che i componenti dei consigli di amministrazione (d’ora in poi cda) e degli organi di controllo delle banche (nonché i board nel loro complesso) devono possedere in tema di:

  • professionalità, definita come conoscenze tecniche, competenze e esperienza;
  • onorabilità, declinata come reputazione, onestà, integrità;
  •  indipendenza, intesa sia come assenza di conflitti di interesse (fattispecie dettagliate analiticamente), che come indipendenza di giudizio (independence of mind), che le Guidelines EBA-ESMA (2017) definiscono mirabilmente così: «Acting with independence of mind includes having the courage, conviction and strength to effectively assess and challenge the proposed decisions of other members of the management body, to ask questions to the members of the management body in its management function where the member judges it appropriate in the light of the issues and risks involved, and to be able to resist ‘group-think»;
  • disponibilità di tempo e adeguatezza dell’impegno, fissando limiti al cumulo di incarichi sugli stessi soggetti (ormai prassi diffusa).

Di recente l’European House Ambrosetti ha lanciato l’allarme: tra i 271 consiglieri delle 19 principali banche italiane quotate (il 99% della capitalizzazione totale), ben 63 non avrebbero i nuovi requisiti di competenza (il 23%, in media tre per cda). Dall’analisi dei singoli ruoli si scopre che il 25% dei consiglieri esecutivi, il 22% di quelli non esecutivi e il 75% dei presidenti non esecutivi non rispetterebbero i requisiti di esperienza. Se si guarda alle singole banche, solo un istituto avrebbe il cda in regola con i requisiti, mentre nella banca meno allineata, i due terzi dei consiglieri mostrerebbero livelli di esperienza non adeguati. E la verifica ha riguardato solo il requisito della professionalità e non gli altri. Ignazio Angeloni, componente del Consiglio di Vigilanza della BCE, ha sottolineato come l’attuale situazione di stallo in Italia ponga limiti stringenti alla BCE nell’esercizio dei propri poteri in materia di verifica dei requisiti di professionalità e onorabilità dei membri degli organi di amministrazione delle banche in Italia, sottolineando che «una rapida e piena attuazione delle disposizioni di legge favorirebbe una maggiore coerenza di approccio fra l’Italia e il resto dell’unione bancaria».

Stupisce che su questo fronte l’adagio “ce lo chiede l’Europa” che tanto spesso in altri ambiti di politica economica è stato richiamato dai governi passati per giustificare misure e politiche impopolari, non abbia ricevuto in questo caso nessuna attenzione.

Altre indicazioni utilissime emergono dalle relazioni su questo versante. Ne riportiamo alcune:

  • processi aperti e trasparenti di raccolta e selezione delle candidature per i consigli di amministrazione (almeno per i componenti indipendenti del cda e per i componenti degli organi di controllo-sorveglianza);
  • valutazione effettiva e non più formale dei requisiti da parte della vigilanza (europea e nazionale), superando una volta per tutte l’approccio dell’autovalutazione (spesso condotta in maniera puramente formale) da parte del vigilato e facendo invece ricorso a strumenti diretti, quali:
    ·       lettura dei verbali dei board da parte delle autorità di vigilanza, europea e nazionale;
    ·       partecipazione ai cda di osservatori dei vigilanti (BCE o BdI);
    ·       interlocuzioni tra consiglieri indipendenti e autorità di vigilanza, soprattutto per requisiti difficili da verificare formalmente (independence of mind, impegno di tempo, ecc.);
  •   no alla partecipazione degli imprenditori ai board (per gli ovvi conflitti di interesse nell’erogazione del credito);
  •  responsabilità dell’erogazione dei fidi di ammontare elevato in capo al management (responsabile crediti), al direttore generale e all’AD e non al cda tutto (a cui resterrebbe la responsabilità sulle politiche generali di erogazione del credito e sul sistema dei controlli);
  •   requisiti più stringenti e severi per i cda delle banche in crisi, che hanno beneficiato di soldi pubblici.

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(fine prima puntata – serie di tre articoli)

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