Con 80 euro vinci le elezioni ma, gratta gratta, il Paese muore lo stesso
Matteo Renzi ha annunciato l’introduzione di un bonus per le neo-mamme a partire dal 2015: l’ormai mitica cifra di 80 euro al mese, per tre anni, non rappresenta tuttavia una novità. Corre alla memoria il bonus bebè, per un valore di circa mezzo miliardo di euro, introdotto da Berlusconi nel 2006, e divenuto celebre per il pasticciaccio delle 8000 famiglie che si videro costrette a restituirlo (si trattava di 1000 euro, più una sanzione amministrativa di 3000) a causa della comunicazione poco chiara dei requisiti richiesti. Il limite di reddito dei 50 mila annui, sotto il quale si aveva diritto all’assegno, si riferiva alla cifra lorda: peccato che si potesse accedere al bonus semplicemente con un’autocertificazione e molte famiglie avanzarono la richiesta senza averne effettivamente diritto.
Lo shock una tantum dell’allora governo Berlusconi prevedeva anche l’abolizione dell’ICI , per circa 1.5 – 2 miliardi di euro, e la detassazione degli straordinari, per altri 2 miliardi, con un’aliquota secca del 10% su straordinari e tredicesima.
Oltre all’inconcludenza di quest’ultima misura, si sommarono gli effetti perversi della prima, con una complicazione del quadro normativo che, prima, si è tradotto nell’introduzione dell’IMU e, ora, nel ginepraio a prova di pazienza di TASI e TARI.
Il bonus bebè, per tornare su un tema, dunque, nient’affatto originale, fu confermato con un investimento simile a quello del governo Berlusconi da Prodi nel 2007.
A proposito di manovrine stimola-consumi, poi, il ministro Tremonti, nel 2008, introdusse la social card, un contributo al reddito per 1 milione e 300 mila persone: over 65 e famiglie con bambini piccoli (fino a 3 anni) con un reddito base fino a 6 mila euro. L’esborso dello Stato, per questa misura, era di 450 milioni di euro, e su di esso vale ancora l’opinione autorevole di Corrado Guzzanti.
Dopo la pausa del governo Monti, con manovra lacrime e sangue per ridurre lo spread, il governo Letta annunciò un intervento teso a rilanciare i consumi stanziando la roboante cifra di 2,7 miliardi di euro (roboante senza virgolette per rispetto dell’ironia, n.d.a.), con un incremento salariale, per i lavoratori interessati, di 100 euro annui: la manovrina dei 10 euro al mese.
La scorsa primavera, poi, è stata la volta di Matteo Renzi, con i circa circa 8 miliardi di euro stanziati per 10 milioni di lavoratori a tempo indeterminato con reddito fino a 26 mila euro lordi: gli 80 euro al mese, appena confermati nella Legge di Stabilità e che, secondo le stime di Confcommercio, non hanno prodotto alcun effetto apprezzabile sui consumi delle famiglie italiane, inchiodate a un +0,1% rispetto a maggio. L’indice della fiducia, dopo un lieve aumento proprio ad aprile-maggio, è tornato infatti a scendere a luglio(104,6 rispetto a 106,2 di maggio) con un PIL fermo al palo e le ultime stime che lo vedono in flessione di 0.4 punti percentuali nel 2014 (S&P).
Se sommassimo tutti gli interventi appena citati (e tralasciamo qui la controversa proposta del Tfr, con relativo ammontare) che sono solo alcuni degli innumerevoli tentativi messi in atto dagli innumerevoli governi per risolvere gli innumerevoli problemi che bloccano questo paese, otteniamo la cifra di circa 17 miliardi di euro.
Vien da chiedersi: perché non concentrare, come il buon Keynes di certo avrebbe apprezzato, un unico intervento concreto e massiccio, su un’economia che langue in sala di rianimazione?
Da che mondo è mondo, il mercato e i consumatori hanno bisogno di un segnale forte, potenzialmente stabile: tutto il contrario di piccoli interventi una tantum e frazionati che vengono giustamente scontati dalle persone come oboli estemporanei e immediatamente tradotti in maggiore risparmio.
Il moltiplicatore fiscale, intanto, se la ride per il solletico avvertito negli ultimi 8 anni, e il governo Renzi sembra tanto giocarsi la fortuna con questo schema dei micro-shocks, certo sperando nel terno al lotto di un en plein elettorale dei consumatori che, magicamente, possa invertire le sorti della nave alla deriva, magari la prossima primavera. Il rischio è che, però, un bel giorno, il premier si guardi indietro e possa rimpiangere questo periodo: “se non avessi giocato tutte quelle schedine, ora sarei milionario”. E i cittadini italiani vanno avanti, intanto, in speranzosa attesa, davanti alla lotteria che estrae sempre il numero 80.
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