Giustizia

Il “diritto alla difesa” di chi un difensore non ce l’ha

20 Febbraio 2024

Stiamo lavorando a una formazione specifica per gli avvocati d’ufficio in materia di immigrazione. Questo non perché i nostri assistiti siano tutti immigrati, ma perché le problematiche poste da un caso in cui è coinvolto uno straniero sono molto complesse, e vanno affrontate con cura” comincia così il nostro confronto con l’avv. Antonella Calcaterra, coordinatrice della commissione Difesa d’Ufficio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, che incontriamo oggi per farci spiegare come funziona l’istituto della difesa d’ufficio – così come abbiamo imparato a conoscerla, in questi giorni, assistendo ad alcune udienze dei procedimenti per direttissima. L’avv. Calcaterra è anche criminologa, esperta in diritto penitenziario e membro dell’Osservatorio carcere dell’Associazione Antigone: è lei che ci aiuterà a fare un po’ di chiarezza su alcuni aspetti legati a questo istituto che, previsto dall’art. 24 della Costituzione, nasce per tutelare il “diritto a un giusto processo” di coloro che si trovino, per qualsiasi motivo, davanti a un tribunale senza un difensore accanto. E’ per evitare che ciò avvenga, appunto, che il nostro sistema giuridico prevede che sia dovere dello Stato fornire a chi si trovi sprovvisto di un avvocato “di fiducia”, un difensore detto “d’ufficio”, che possa assisterlo nel processo facendo valere i suoi diritti. Questo, appunto, proprio come nei casi di cui abbiamo avuto esperienza diretta assistendo alle “direttissime” di cui sopra – procedimenti questi che vedevano coinvolti, come abbiamo raccontato, oltre che alcuni cittadini italiani, diversi giovani stranieri.

“Ad esempio: come si esercita il diritto alla difesa dei trattenuti nei Cpr? Come fare in modo che le garanzie fondamentali in materia di giusto processo siano tutelate, nel rispetto del diritto italiano e internazionale, in situazioni così delicate? Come fare in modo che uno straniero, che a stento capisce la nostra lingua, agisca in modo consapevole per la tutela dei propri diritti, in un ordinamento complicato come quello italiano? Queste cose, un avvocato abituato a lavorare su questioni di diritto civile o penale ‘nostrano’ non le sa e non le può sapere, dal momento che non è stato formato per questo.”

Ma andiamo con ordine. Chi sono gli avvocati d’ufficio? Come lo si diventa, chiunque può farlo? Ci spiega l’avv. Calcaterra: “Si diventa difensori d’ufficio con un corso biennale, organizzato dalla Camera penale di Milano. A questo corso possono partecipare tutti gli avvocati interessati, civilisti e penalisti. Il corso va a coprire diverse aree del diritto, sostanziale e procedurale, funzionali per il lavoro che si andrà a svolgere. Alla fine del corso c’è un colloquio, che serve per verificare l’idoneità deontologica. In questo ambito della professione, i profili di deontologia sono molto importanti: per questo è necessario valutarli con cura. Superato il colloquio, l’avvocato (o l’avvocata, e anzi, specifichiamo: anche quando invece di distinguere scegliamo di usare soltanto la forma maschile, lo facciamo più che altro per esigenze di ‘metrica’ e prosa; come sempre, infatti, ci rivolgiamo a uomini, donne, e in generale a chiunque eserciti la professione) viene iscritto ad un’apposita lista, nella quale i difensori d’ufficio sono divisi per materia. A questo punto, per chiunque abbia bisogno di un avvocato d’ufficio trovarne uno è semplice – o almeno, così dovrebbe essere: basterà recarsi in Tribunale, all’apposito ufficio, chiedendo di consultare i registri e scegliendo il difensore adatto al proprio caso.”

E nei procedimenti per direttissima, invece, come funziona? “Dal momento che vengono stabiliti dei turni, gli avvocati per quei giorni devono essere sempre disponibili. L’autorità giudiziaria ha a disposizione un call center, e non appena avrà notizia dell’arresto di qualcuno avviserà l’avvocato d’ufficio disponibile invitandolo a presentarsi la mattina seguente in aula per assistere all’udienza – sempre che l’arrestato non abbia già nominato un suo avvocato di fiducia, chiaramente.”

Così, una volta in Tribunale, l’avvocato d’ufficio avrà accesso al fascicolo del suo assistito, avendo a disposizione, per studiarlo, solitamente poco più di una manciata di minuti. Tempo nel quale il difensore deve, oltre che capire in quali circostanze sia avvenuto l’arresto (cosa di per se’ non banale, dal momento che, almeno per tutte le udienze cui abbiamo assistito, le versioni degli arrestati e degli agenti di polizia non erano soltanto dissimili, ma diametralmente opposte), elaborare una strategia difensiva in grado di tutelare al meglio la posizione del suo assistito, oltre che il suo inviolabile diritto a un giusto processo – diritto che, come abbiamo visto, può essere messo a repentaglio nel caso in cui l’arrestato sia un soggetto che vive in condizioni di emarginazione sociale caratterizzate da precarietà e fragilità psicologica, condizioni che lo rendono di per loro particolarmente “esposto” a contesti di illegalità e a conseguente facile arresto (arresto da cui purtroppo talvolta derivano, come abbiamo visto in udienza, diversi trattamenti da ”colpevole già accertato”).

Si capisce, dunque, come la difesa d’ufficio sia un compito affatto banale. Per questo, alla commissione Difesa d’Ufficio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, si insiste sulla formazione. “Ci sono soprattutto tre elementi su cui un difensore d’ufficio deve essere preparato, perché tre sono i profili di fragilità che egli ritroverà, probabilmente, nel suo assistito: la salute mentale, la dipendenza da sostanze e l’assenza di fissa dimora – circostanze queste, purtroppo, spesso facilmente cumulabili” continua Calcaterra “e questo anche, e anzi, spesso, nel caso in cui l’assistito sia un soggetto portato davanti al giudice in un procedimento per direttissima.” L’assistito tipo dell’avvocato d’ufficio? “Direi, un giovane” Attenzione: quando parliamo di giovani, ricordiamoci che ci troviamo ora davanti al Tribunale di Milano, che è una cosa diversa rispetto al Tribunale dei Minori. Quindi, i giovani di cui stiamo parlando hanno indicativamente tra i 18 e i 25 anni – e dunque non sono, per intenderci, quei ‘ragazzini delle baby gang’ di cui paventava il decreto Caivano “Un giovane, a volte straniero – ma non sempre, che può avere problemi di dipendenza derivanti da sostanze, da cui deriva fragilità psichiatrica.”

E sono queste, del resto, le caratteristiche che emergono dall’ultimo comunicato dell’Associazione Antigone sulla visita presso la Casa circondariale di San Vittore, pubblicato lo scorso venerdì 9 febbraio: stando al rapporto, a oggi, un terzo dei detenuti del carcere milanese ha meno di trent’anni, e di questi soggetti – con percentuali tutte in crescita – 200 hanno una diagnosi psichiatrica di carattere maggiore, altri 200 hanno un disturbo di personalità o una doppia diagnosi, 450 sono in carico al Serd per le cure con terapia metadonica e degli 8 decessi che si sono verificati negli ultimi 12 mesi 5 sono stati suicidi (con un caso ancora in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria).

“Spesso, nei processi in Tribunale non si riescono a intercettare le problematiche che riguardano la salute mentale e le dipendenze. E questo è un grave problema, perché influisce non solo sulle valutazioni dei giudici in merito ai reati, ma anche sulla tipologia di pena che viene comminata” insiste Calcaterra, ribadendo quanto sia importante che gli operatori giudiziari, a partire dagli avvocati, d’ufficio e non (“ma anche i giudici, i magistrati e gli agenti di polizia dovrebbero farlo” precisa) garantiscano un’adeguata tutela dei soggetti chiamati a processo che comprenda anche gli aspetti relativi alla sfera psicologica e psichiatrica. “Non si può mettere un soggetto con problemi psichiatrici in carcere, si va solo ad aggravare una situazione già critica causando sofferenza.”

Per questo, insieme all’Ordine degli Avvocati di Milano, la commissione sta lavorando per l’apertura di uno sportello Uepe presso il Tribunale di Milano (al Tribunale di Torino, per esempio, c’è già), da affiancare al già in funzione sportello Serd – che si occupa di garantire assistenza nella riabilitazione degli assistiti a rischio di, o che abbiano sviluppato una dipendenza.

“Quando lavoriamo su questi temi, ricordiamoci che il Tribunale non fa che da amplificatore delle tendenze della città: mai come oggi, le aule della giustizia sono una cartina al tornasole dell’enorme fragilità e precarietà diffusa tra le fasce più giovani, che si trovano spesso a essere marginalizzate oltre che provate da condizioni di vita complesse – condizioni che possono diventare difficilissime, nell’ipotesi di giovani migranti che hanno raggiunto l’Italia in situazioni estreme. Lavorare sugli istituti è importante, e noi facciamo la nostra parte. Ma non dimentichiamoci che è dalla società che deve partire il cambiamento, ed è fuori dalle aule dei Tribunali che, ogni giorno, si decide il futuro di chi è più giovane e, mai come in questo momento, in cerca della possibilità di un futuro meno incerto.”

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