Giustizia
Avvocati last second e arresti per un po’ di fumo: una mattina in “direttissima”
Milano – I processi per direttissima sono circa 2.000 l’anno, a Milano. Fate voi il calcolo di quanti ce ne stanno, dunque, in una mattina come tante al Tribunale di Milano – e di quanto questi “processi” siano veloci. Ecco. Questa è la cronaca, appunto, di quella che può essere una mattina come tante al Tribunale di Milano, piano terra lato San Barnaba. Sono le 10.40 circa, siamo nell’aula 2, e la prima “direttissima” sta per cominciare.
Il primo a fare ingresso è un ragazzo con le manette ai polsi, scortato da due agenti. Quella che sta per cominciare è la prima di una serie di udienze dette “di convalida”. Così si chiamano le udienze in cui gli ‘arrestati della sera prima’, sorpresi in flagranza di reato o rei confessi, vengono portati davanti al giudice perché questo (o meglio, questa, dato che per le udienze che abbiamo seguito il giudice di turno era sempre una donna) accerti i fatti convalidando l’arresto e disponendo, a seconda delle circostanze, misure cautelari quali la custodia in carcere, il divieto di dimora, l’allontanamento o l’espulsione – tutto ciò, in nome del diritto alla difesa e del principio di ordine pubblico che sono alla base del nostro ordinamento.
L’arrestato è un giovane, sorpreso dalla polizia con pochi grammi di hashish e alcune pastiglie di Rivotril in tasca. Indossa un busto ortopedico e cammina con difficoltà. Gli agenti lo conducono nella ‘gabbia’ chiudendo la porta a chiave (a domanda: la procedura è obbligatoria? Ci viene risposto di no. Però, al Tribunale di Milano, questa è la prassi). L’udienza è aperta, cominciano le domande di rito per la convalida. A parlare sono il giovane, l’avvocato d’ufficio, il giudice e l’interprete. Il ragazzo si chiama Amid (il nome è di fantasia), è nato in Marocco nel 1998. E’ in Italia qualche anno, dorme in un letto rimediato in una casa comune. Aveva un figlio, ma è morto. Lavora in nero come imbianchino, o meglio, lavorava. Poco tempo fa, Amid è caduto dalle scale durante un turno e si è rotto tre costole. Da allora non lavora più. “Il Rivotril è mio, di queste sostanze faccio uso io” insiste, incensurato. “Me l’hanno dato i medici, è la mia terapia”. Il PM chiede la misura cautelare del divieto di dimora. “E’ evidente che non può stare in carcere, le condizioni psicofisiche non sono adatte. Deve lasciare Milano.”. L’avvocato d’ufficio si avvicina all’assistito e chiede: “Lei sa dove andare?” – Amid viene condotto fuori dall’aula.
Entra un nuovo arrestato. E’ algerino, nato nel 2002. La sera prima il ragazzo è stato sorpreso con una bustina di cocaina. Lavora in nero per mantenersi, per sopravvivere a volte spaccia e lo ammette. Vive qui con sua moglie, ha una figlia di un mese. “Un mese e cinque giorni!”. L’arrestato ha dei precedenti, c’è il rischio che spacci di nuovo. Il PM chiede l’espulsione. Il ragazzo si mette a piangere, l’avvocato d’ufficio chiede la restituzione nei termini. Oggi è in sostituzione di un collega, è stato avvisato pochi minuti prima dell’inizio dell’udienza. “Con le direttissime è così, bisogna avere una grande prontezza”.
Cambiamo aula, ora siamo nell’aula 1. E’ il turno di un ragazzo italiano di 21 anni, arrestato per aver aggredito la madre. Si parla di stalking, atti persecutori, problemi psichiatrici conclamati. “Gli posso parlare?” chiede la madre. “No, signora”. Il ragazzo si dice pentito, è incensurato. L’avvocato chiede la custodia cautelare in comunità, per tutelare la sicurezza della madre e il diritto alla salute del ragazzo. “Il mio assistito in carcere non può stare. Ha bisogno di cure psichiatriche e sostegno psicologico. Il posto giusto è la comunità, e ne abbiamo già individuata una che sarebbe disponibile a prenderlo in carico”. La madre si offre di pagare le spese per la casa di cura. Il giudice accoglie la richiesta. Il ragazzo andrà nella comunità di cui ha parlato l’avvocato.
Colpisce davvero, delle “direttissime”, la velocità. La velocità in cui, in pochi minuti, sono prese decisioni sulla libertà delle persone. Velocità inevitabile, del resto, oltre che necessaria: dalle cancellerie ci dicono che i procedimenti per direttissima, che si celebrano ogni giorno davanti al Tribunale di Milano, sono in aumento rispetto agli anni precedenti – o almeno così sembra dai numeri del gennaio 2024.
Sono le 11.20, avanti altri due. Sono uno straniero del 1992, e un italiano poco più adulto. Sono entrambi incensurati. Il primo è stato arrestato per il furto di una giacca in un negozio di via Torino, al quale è seguito un battibecco con la security e un tentativo di fuga. Il secondo è stato sorpreso dalla polizia durante un festino in un appartamento, tracce di droghe sintetiche sul tavolo. Il primo non ha i documenti: “Ho chiesto alla questura il passaporto, ho fatto domanda ma non l’ho ancora ottenuto”. Due anni in Italia, senza fissa dimora. Non ha né moglie né figli, si mantiene facendo il cameriere. Anche per lui, il PM chiede l’allontanamento da Milano. Il secondo è celibe, incensurato. Anche lui ha lavorato come cameriere, ora è disoccupato e si prostituisce tramite le app di incontri. E’ durante uno di questi incontri, appunto, che è stato sorpreso dalle forze dell’ordine, ed è per trascorrere questi incontri, dice, che saltuariamente fa uso di droghe. “La droga è per uso personale, la consumo io.”
Dall’inizio della mattinata non è passata neanche un’ora; entra in aula un’altra coppia di giovani. Sono due ragazzi peruviani, un lui e una lei. Sono stati arrestati per il furto di uno zainetto contenente un portafogli e poco più. Sono fidanzati e vivono insieme, in una stanza presa in affitto in una camerata fuori Milano. Non hanno un contratto di affitto, ma pagano il posto letto a una signora italiana. Vanno a scuola, lei lavora come badante. E’ italiana. Lui non è italiano, dice che non riesce a prendere appuntamento per il permesso di soggiorno con la Questura. Dice che i tempi di attesa sono lunghissimi, e nel frattempo non può lavorare. E’ per pagare l’affitto che hanno rubato lo zainetto. Il ragazzo parla a stento l’italiano, e l’interprete in questo momento è impegnata a tradurre in un’altra aula: oggi c’è solo un traduttore per le tre aule di processi. C’è un agente di polizia che ridacchia, sottovoce si rivolge al ragazzo come al “ladro”. Poi prende in mano lo smartphone, lo sfondo è una foto di Maradona. Il PM chiede l’obbligo di firma. L’avvocato d’ufficio raggiunge il giovane e gli porge il suo biglietto da visita. “Non preoccuparti, poi ti spiego io che cosa devi fare.”
“In genere trattiamo furti, rapine, e reati legati agli stupefacenti. Gli arrestati? Le direi che, in linea di massima, si tratta di giovani – italiani e stranieri. Forse c’è una prevalenza di stranieri, soprattutto per gli stupefacenti. Però va detto che, nel traffico di droga, i giovani ragazzi stranieri sono più esposti all’arresto rispetto agli altri membri del commercio – che sono spesso italiani e si muovono dietro le quinte. Qui arrivano solo i “galoppini.”” Ci spiega una giudice durante la breve pausa. “Poi, un altro reato molto comune è il possesso di documenti falsi. E per questo, è ovvio che si arrestano più stranieri, molti fermati durante i viaggi.”
Quasi a confermare la giudice, è il turno di un altro arrestato. E’ l’ultimo della mattinata. E’ un giovane marocchino, arrestato nella banchina della M1, fermata Duomo, con in tasca un passaporto contraffatto. La polizia lo ha fermato perché il ragazzo, alla vista degli agenti, si è spaventato e ha cominciato a correre. “Avevo paura che mi trovassero i documenti falsi, perché è già successo una volta. Non mandatemi via dall’Italia. Per favore, non fatemi andare via.”
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