25 Febbraio 2015
Chi sbaglia paga (ma i cocci di chi sono?). Si avverte nell’aria quel sentimento di vendetta q.b., quella goccia di bava che pende da un labbro, nei confronti di una casta, la casta dei magistrati, che per troppo tempo si è sentita fuori, o per lo meno esterna ai processi della società civile, che contemplano onori, certo, ma anche gli oneri conseguenti. E tra gli oneri, appunto, quel principio sacro secondo cui il colpevole di un errore “sensibile”, che dunque ricade sulle spalle di un cittadino, dovrà essere economicamente sanzionato. Da qui la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati appena approvata a larga maggioranza.
È forse utile, in questi casi, avere almeno un po’ di memoria. Non ci si spinge sino alla stra-abusata “onestà intellettuale”, espressione che ormai non vuole significare più nulla. Restiamo alla memoria e restiamo a noi giornalisti, che di questa legge sulla responsabilità dei magistrati stiamo scrivendo anche con toni aulici, come se, con questo passaggio, la civiltà di un Paese avesse raggiunto uno dei punti più alti della sua storia. Di cosa ci lamentiamo da anni, noi cronisti senza protezione? Semplicemente del fatto che rispetto a un tempo piuttosto lontano, la capacità intimidatoria da parte di soggetti terzi, ch’essi siano molto potenti economicamente, potenti politicamente, insomma decisamente più forti di noi moschini (e ormai poco protetti anche dai nostri giornali), si è fatta praticamente legge. La legge del più forte. Onde per cui la ben nota “Azione temeraria” è diventata norma all’interno dei rapporti tra cronista e soggetto che crede di aver subito un torto. Lo strumento di questa azione temeraria, si sa, è la querela, ma il meccanismo ha come sempre il suo punto centrale nei soldi, nel famoso risarcimento richiesto. Spesso, molto spesso, decisamente sproporzionato rispetto all’oggetto del contendere. Il fine ultimo è «mettere paura», nè più nè meno.
Nel caso di questa nuova legge sui magistrati, la visione si ribalta. Considerando casta i medesimi, e dunque colpevoli per definizione, il fenomeno “intimidatorio” potrà anche rivelarsi dal basso – oltre che naturalmente da tutti quelli che hanno possibilità economiche. Mettendo in mano a chiunque la possibilità di arrivare a un risultato economico, la legge apre una giostra straordinaria che non è avventato definire infinita. Perché infinita? Perchè nel nuovo impianto è compresa «l’interpretazione di norme o la valutazione del fatto o delle prove». Un ginepraio assoluto, al solo insorgenere dei sostantivi “interpretazione” e “valutazione”. Luigi Ferrarella inzia il suo pezzo sul Corriere evocando i medici. «Proprio quando è ormai diffusa la consapevolezza di quanto costi ai cittadini la “medicina difensiva” indotta nei medici dal rischio di vedersi trascinare continuamente in giudizio, la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati rischia di sospingere le toghe ad assumere una mentalità burocratico-impegatizia e a praticare una “giustizia difensiva” potenzialmente non meno perniciosa per i cittadini».
E giusto per restare in tema sanitario, non paia stravagante il richiamo ai Pronto Soccorsi sparsi nel Paese, che vengono letteralmente presi d’assalto dai cittadini anche per bagattelle risolvibili con una cremina trovata in una armadietto della casa. E che altri Paesi hanno risolto mettendo in carico al medico di base la responsabilità numerica di mandare un paziente al Pronto Soccorso. Anche questa, in un certo senso, è un’azione temeraria, qualcosa cioè che non guarda per nulla all’interesse collettivo, ma solo al proprio orticello.
Si legge che il vice ministro alla Giustizia, Enrico Costa, valuta come “fiore all’occhiello” l’eliminazione del filtro per l’ammissibilità delle domande di risarcimento. Beato lui. In realtà, è il vero elemento di debolezza, ma lui evidentemente ha dato uno sguardo ai dati numerici di questi anni, dalla legge Vassalli in poi, quindi 27, e ha realizzato che si dovesse cambiare: solo 7 su oltre 400 ricorsi sono stati ammessi. Su questi numeri da “Casta”, e cioè magistrati che difendono altri magistrati, si è ragionato in termini di purissima vendetta. Ah sì, e adesso domanda libera! Insomma, una legge che era attesa, giusta nei suoi principi cardine, è stata fatta coi piedi. Qualcosa di buono si ritrova, quando, per esempio, le nuove norme tolgono al carcere il segno identificativo di un torto subito da un magistrato. Era un moloch da abbattere, perché in molte altre situazioni, che non comprendono la carcerazione, i giudici sbagliano con dolo e devono essere sanzionati. E quindi «viene estesa la risarcibilità del danno non patrimoniale anche al di fuori delle ipotesi di privazione della libertà personale».
Foto di copertina tratta da Flickr, Glamismac, Creative Commons
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magistrati, Responsabilità civile
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Giustizia, Legislazione