Mistero Orlandi: Capaldo e la frottola del patto con la Gendarmeria vaticana

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17 Luglio 2024

Giovedì 18 la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori ascolterà in audizione il magistrato in pensione anticipata Giancarlo Capaldo, che in qualità di procuratore aggiunto si è occupato dell’ultima inchiesta giudiziaria sul mistero Orlandi. Inchiesta durata dal 2008 al 2015 e comprensiva delle bufale delle “rivelazioni” del “reo confesso” Marco Fassoni Accetti. Per questa audizione c’è molta attesa.

L’attesa è dovuta a frasi ambigue di Capaldo e loro libere interpretazioni avvalorate col solito clamore da Pietro Orlandi secondo il quale a suo tempo c’è stata una vera e propria trattativa tra il magistrato, il capo e il vicecapo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani e Costanzo Alessandrini. Trattativa in base alla quale il magistrato avrebbe fatto traslocare dalla basilica di S. Apollinare la sepoltura dell’asserito “boss della banda della Magliana” Enrico De Pedis e i due della Gendarmeria gli avrebbero fatto sapere che fine ha fatto Emanuela.

Capaldo in realtà, contrariamente a quanto insiste a ripetere Pietro Orlandi, non ha mai detto che con i due dirigenti della Gendarmeria vaticana aveva raggiunto un vero e proprio accordo “io faccio traslocare la sepoltura di De Pedis dalla basilica di S. Apollinare e voi mi dite che fine ha fatto Emanuela Orlandi”. Quando i due della Gendarmeria sono andati a chiedergli il trasloco della salma lui ha buttato lì più o meno scherzosamente la frase “E voi cosa mi date in cambio?”. Dopodiché è nato un cazzeggio da bar del tipo “Mi dite che fine ha fatto Emanuela?”, con i due ufficiali della Gendarmeria che anziché offendersi per la grave insinuazione contenuta nella domanda e rispondere a tono hanno preferito glissare diplomaticamente ed evasivamente con un “Vediamo”.

Cazzeggi ed esagerazioni a parte, ci sono da fare alcune considerazioni. E a Capaldo ci sarebbe da fare qualche domanda, che raccomando alla Commissione.

1) – Capaldo NON poteva ordinare nessun trasloco della sepoltura di De Pedis per il semplice motivo che si trattava di una proprietà privata della vedova, Carla Di Giovanni. La quale da un bel pezzo gli aveva chiesto di disporre il controllo del contenuto della bara per porre fine al demenziale delirio scatenato con la telefonata “anonima” di “Chi l’ha visto?”, mandata in onda nel settembre 2005. La vedova voleva poter trasferire la salma in un cimitero senza che poi venisse accusata di averla trasferita senza controlli per fare sparire il cadavere della Orlandi.

2) – La sepoltura di De Pedis in S. Apollinare era già stata oggetto di una inchiesta del magistrato Andrea De Gasperis condotta dal 1995 al 1997. E conclusa con una archiviazione perché NON c’era nulla di irregolare, illegale o sospetto. Capaldo chissà perché ha preferito comportarsi a mo’ di gatto che gioca col topo, in questo caso la vedova. Ha tirato per le lunghe – col solo risultato, voluto o meno, di farsi pubblicità – una vicenda già controllata e archiviata dalla magistratura e resuscitata da una telefonata che oltretutto non risulta partita con certezza dall’esterno della Rai. Telefonata mandata in onda monca perché se trasmessa intera si sarebbe capito subito che era una goliardata. Come è stato chiaro quando finalmente, dopo vari anni e a danni fatti, “Chi l’ha visto?” l’ha mandata in onda per intero.

3) – Domanda quindi d’obbligo: perché Capaldo ha aspettato così tanto tempo per ordinare il controllo della bara?

4) – Altra domanda d’obbligo: perché Capaldo NON ha tenuto in nessun conto il lavoro del suo collega magistrato Andrea De Gasperis, vale a dire l’inchiesta durata dal 1995 al 1997? Inchiesta che aveva appurato come nel trasferimento della salma De Pedis dal cimitero del Verano alla basilica di S. Apollinare benché fosse un fatto decisamente insolito non c’era assolutamente nulla di illegale, irregolare, strano o sospetto. Oltretutto, poiché la salma veniva trasferita dal territorio dello Stato italiano alla basilica, territorio anche quello dello Stato italiano dotato però di prerogative proprie afferenti a un altro Stato, qual era ed è il Vaticano, il contenuto della bara era stato sicuramente controllato. Era stato cioè sicuramente constatato che nella bara c’era solo ed esclusivamente la salma di De Pedis e NON anche quella di Emanuela Orlandi e/o di Mirella Gregori.

5) – DOPO il trasloco della sepoltura Capaldo ha chiesto al giornalista Pino Nicotri, cioè  a me, un contatto[1] con la Segreteria di Stato: PROVA CERTA, dunque, che lui con la Segreteria NON aveva e NON aveva avuto nessun contatto: era rimasto fermo al cazzeggio coi due della Gendarmeria. Che in ogni caso NON avevano nessun potere di trasmettergli eventuali notizie e documenti sulla Orlandi perché, SE esistenti, sarebbero stati di competenza NON del loro ufficio, ma della Segreteria di Stato. Dalla quale non avrebbero quindi potuto prelevarli e neppure averli su richiesta per trasmetterli a un altro Stato, quello italiano, compito semmai di competenza della sola Segreteria, che equivale infatti a un ministero degli Esteri.

6) – Il Vaticano, Gendarmeria e/o Segreteria di Stato, NON aveva nessun titolo per condurre indagini sulla scomparsa della Orlandi perché la denuncia era stata fatta, da Natalina Orlandi il 23 giugno ’83, SOLO ED ESCLUSIVAMENTE alla polizia italiana, cioè dello Stato italiano, e NON anche alla Gendarmeria, organo di un altro Stato, quello del Vaticano, sovrano quanto lo Stato italiano. La denuncia alla Gendarmeria è stata fatta solo qualche anno fa – nel 2017 – SOLO ED ESCLUSIVAMENTE perché una ben precisa persona del Vaticano ha preso Pietro Orlandi per il bavero e gli ha letteralmente urlato in faccia “Perché anziché diffamare e accusare a vanvera il Vaticano non ci hai mai fatto neppure te qui la denuncia?”.

7) – Infine: come mai nella sua requisitoria Capaldo ha definito più volte De Pedis “boss della banda della Magliana” nonostante De Pedis sia sempre stato assolto in via definitiva dall’accusa di averne fatto parte sia pure come semplice gregario? De Pedis quando è stato ucciso NON aveva neppure carichi pendenti ed era infatti in regolare possesso della patente e del passaporto. Ed è stato ucciso non per chissà quale suo losca regolamento dei conti tra criminali della famosa e sovrastimata banda, ma per vendetta perché Carla di Giovanni come condizione per sposarlo gli aveva imposto di troncare qualunque rapporto ambiguo e/o di aiuto di qualunque tipo coi malavitosi conosciuti in carcere o anche prima.

L’articolo 27 della Costituzione italiana, l’articolo 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e un articolo della Carta dei Diritti dell’Uomo adottata dall’ONU stabiliscono tutti che in assenza di condanne passate in giudicato una persona sia da considerare innocente. Anche De Pedis quindi. Avvalorare invece l’immagine di De Pedis come boss della banda della Magliana ha purtroppo contribuito e facilitato uno dei vari depistaggi – il più famoso, amato dal grande pubblico e duro a morire – fatti subire alle indagini sul mistero Orlandi dai vari sensazionalismi e colpi di scena uno più fasullo dell’altro.

Quando gli ho fatto notare l’esistenza delle assoluzioni di De Pedis, delle citate tre leggi e del suo conseguente avere commesso il reato di diffamazione, se non di calunnia, nei confronti dello stesso De Pedis, Capaldo ha reagito andando su tutte le furie e ha voluto troncare qualunque rapporto con me.

8) – Perché Capaldo non ha fatto nulla quando il giornalista Pino Nicotri – cioè il sottoscritto – il 4 ottobre 2011 gli ha consegnato la registrazione di due sue telefonate all’avvocato Egidio, legale storico degli Orlandi, in una delle quali si sentiva Egidio essere già al corrente del fatto che il magistrato Martella aveva detto a Nicotri: “Sica ha indagato poco o niente perché era convinto che fosse una storia tra Emanuela Orlandi e suo zio Mario Meneguzzi”. Telefonata della quale ho raccontato con l’articolo a questo link[2].

9) – Infine, se fosse vero quello che Pietro Orlandi racconta dell’”accordo” di Capaldo con i capi della Gendarmeria vaticana, il magistrato avrebbe commesso dei gravi reati perché:

– avrebbe dovuto arrestare i due per complicità o favoreggiamento o come testi reticenti riguardo la fine di Emanuela;

– ha nascosto l’incontro e il “patto” al suo capufficio Giuseppe Pignatone e alla collega Simona Maisto, che conduceva le indagini con lui;

– ha peccato di omissione d’atti d’ufficio perché della vicenda non ne ha accennato neppure nella sua requisitoria finale presentata al procuratore della repubblica Pignatone.

 

CONCLUSIONE I commissari avranno il coraggio di affrontare la questione come di dovere? O saranno morbidi e compiacenti? Non è detto che lo sapremo subito perché l’audizione di Capaldo potrebbe venire secretava.

 

 

 

[1] https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-nuovo-tentativo-di-rilanciare-il-caso-dopo-il-romanzo-scritto-dallex-magistrato-capaldo-3434283/
[2] https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-cosa-pensava-il-giudice-sica-40-anni-fa-e-capaldo-domande-senza-risposta-3555305/

TAG: caso orlandi
CAT: Giustizia

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