2 Marzo 2015
«Non siate burocrati né protagonisti», questa frase del neo-eletto presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accanto alla nuova legge approvata dal Parlamento sulla responsabilità civile dei magistrati, porta a fare un riflessione sul ruolo che la magistratura deve avere in Italia.
Chiunque di noi – anche senza svolgere la professione di avvocato penalista, come la sottoscritta – è a conoscenza, per via diretta o indiretta, di casi di “mala giustizia” e sa quanto male può fare al cittadino l’essere coinvolto in una causa totalmente infondata.
Un processo privo di fondamento molto spesso pregiudica lo stato di salute della persona coinvolta, ne compromette lo sviluppo professionale, lede gravemente le relazioni personali ed affettive di colui che è coinvolto nella vicenda giudiziaria. Ciò accade senz’altro nel caso di processi penali ma si può verificare anche in relazione a vicende giudiziarie di natura civilistica.
Nessuno, purtroppo, può restituire alla vittima di una “giustizia ingiusta” ciò che ha perso ma ritengo che, a volte, purtroppo, risulta evidente come tanta sofferenza sarebbe potuta essere risparmiata attraverso un comportamento maggiormente orientato ad una rigorosa applicazione della legge, senza sovrastrutture ideologiche o pericolosi atteggiamenti personalistici. In questo contesto ritengo, pertanto, che una più efficace disciplina della responsabilità civile dei magistrati fosse non solo opportuna ma necessaria.
La legge appena approvata in via definitiva dal Parlamento, che modifica, in parte, l’attuale normativa vigente (L. 13 aprile 1988, n. 117, la cd. Legge Vassalli), qualificata addirittura come “atto intimidatorio” da una parte della magistratura, si inserisce in un solco europeo che non poteva essere ignorato, né dal quale ci si poteva discostare: sulla materia pende, infatti, una procedura d’infrazione in sede europea per la quale l’Italia rischiava di pagare una multa stimata in 37 milioni di euro.
Nessuno vuole criminalizzare la magistratura – è ovvio – né sminuirne il ruolo fondamentale e ampiamente riconosciuto in uno Stato di diritto come il nostro. Ritengo, però, che sia corretto offrire al cittadino la possibilità di ottenere un risarcimento danni da parte dello Stato se si dimostra che fu vittima di un macroscopico ingiusto esercizio della funzione giurisdizionale.
La legge Vassalli necessitava di alcune modifiche che la rendessero più efficace; i numeri dimostrano come questa legge non abbia mai trovato concreta applicazione, basti pensare che dal 1988 ad oggi su oltre 400 ricorsi promossi dai cittadini, solo 7 si sono conclusi con un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento.
Gli operatori del diritto e la prevalente dottrina hanno individuato nel fatto che fosse necessaria una valutazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso lo Stato da parte del tribunale distrettuale, una delle cause deflative che hanno ridotto al minimo le possibilità per il risarcimento per i cittadini; per questo motivo la nuova disciplina abroga la previsione di tale filtro di ammissibilità. Anche in questa materia – come in ogni altra causa di risarcimento danni – pertanto saranno i Tribunali a valutare, nel merito, la fondatezza della richiesta risarcitoria.
Né ritengo che la nuova legge possa rendere concreto il rischio dello svolgimento di una “funzione giurisdizionale difensiva” da parte dei magistrati, pendendo su di essi una sorta di “spada di Damocle” alla stregua dei medici.
Le condizioni previste dalla legge per l’accertamento della responsabilità civile dei Magistrati appaiono, infatti, molto stringenti, sicuramente più stringenti dei principi a fondamento dell’accertamento della colpa professionale da parte dei medici.
Prima della riforma la condanna a carico del magistrato era prevista per i casi di svolgimento della funzione giurisdizionale con “dolo o colpa grave”. La Corte di Giustizia Europea ha introdotto il principio per cui anche un’errata interpretazione delle norme giuridiche o un’errata valutazione dei fatti o delle prove avrebbero dovuto essere previste come cause di risarcimento.
Così ha fatto il legislatore italiano, ma inserendo ben precisi paletti normativi ed interpretativi. Accanto alla già prevista responsabilità per “dolo” o “colpa grave” è stato, infatti, sancito che il cittadino ha diritto ad ottenere risarcimento nel caso in cui venga accertato che egli sia stato vittima di un comportamento o di un provvedimento giudiziario conseguente a “diniego di giustizia”.
È stato, inoltre, stabilito che costituiscono fattispecie di “colpa grave”: la “violazione manifesta della legge”; il “travisamento del fatto o delle prove”; l’adozione di un provvedimento cautelare reale fuori dai casi previsti dalla legge o senza motivazione.
Alle preoccupazioni suscitate dalla nuova ipotesi di travisamento del fatto o delle prove, ritengo che sia giusto replicare che già nella Relazione della Commissione Giustizia della Camera è stato precisato come, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata, costituisca travisamento la “affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento” o dalla “negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento”. E’ chiaro, dunque, che l’unico travisamento rilevante ai fini delle responsabilità civile del magistrato possa essere quello macroscopico, evidente, che non richiede alcun approfondimento di carattere valutativo o interpretativo.
Non ritengo, quindi, che la nuova disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati possa in alcun modo comprometterne l’autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l’imparziale interpretazione delle norme di diritto. Ciò che si vogliono colpire sono valutazioni manifestamente abnormi del dato normativo o macroscopici ed evidenti stravolgimenti di quello fattuale, con conseguente indebita distruzione della vita privata e pubblica di un cittadino.
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giustizia, magistrati, responsabilità civile dei magistrati
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Giustizia