Giustizia
«Archiviazione dossier “mafia-appalti” messaggio rassicurante verso l’esterno»
Lo dice, con voce vibrante e decisa l’avvocato Fabio Trizzino, ospite di “Radio1 In Campo”, il programma di Rai Radio1 condotto da Anna Maria Caresta e Gianfranco Valenti.
E nella mattinata del 19 luglio, anche grazie alle interviste realizzate da Rita Pedditzi andate in onda sabato 17 luglio nel corso della puntata di “Inviato Speciale” dedicato alla strage di via d’Amelio, riproposte alle 9:30, finalmente il servizio pubblico riprende il ruolo che dovrebbe essere primario, dopo anni di silenzi e di presentazioni parziali dei fatti, soprattutto relativamente alle stragi di Capaci e a quella di via d’Amelio.
Tra gli ospiti in diretta c’è stato l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del dottor Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Durante l’intervista, l’avvocato ha criticato la recente relazione presentata dalla Commissione Antimafia della regione Sicilia, presieduta da Claudio Fava e pone l’accento sull’archiviazione del dossier “mafia-appalti” e sui rapporti che insistevano all’interno della Procura di Palermo, allora retta dal Procuratore Giammanco, quella Procura che lo stesso Paolo Borsellino defini’ “un covo di vipere”.
Al microfono della Caresta, Trizzino ha dichiarato: «Vorrei partire dalla dichiarazione di Fiammetta, mia cognata, che dice “Un paese che vive nella menzogna è un paese che non ha futuro”.
Vorrei far capire che, dietro alla frase di Fiammetta, c’è quella dimensione collettiva del diritto alla verità, cioè la strage di via d’Amelio, anzi, il momento delle stragi, è uno dei momenti più tragici della recente storia repubblicana e la conoscenza di quello che accadde a tutto tondo, costituisce un presupposto indispensabile per avviare un processo di conciliazione da una parte e un rafforzamento delle stesse istituzioni democratiche che dimostrano di non fermarsi davanti alle realtà più scabrose.
Abbiamo cercato di capire e ci siamo fatti un’idea che, in qualche modo, diverge da quella che è stata la narrazione unica. Vorrei fare un riferimento al lavoro della Commissione Antimafia della Regione Sicilia che è stato pubblicato recentemente. Un lavoro certamente lodevole ma che riproduce una narrazione che noi riteniamo incompleta di quello che accadde nei 57 giorni (tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio, ndr) e prima della morte del giudice Borsellino, nonostante il grande lavoro di approfondimento realizzato con la relazione. Credo che sia indispensabile da questo punto di vista, allora, polarizzare la nostra attenzione anche su aspetti che vengono normalmente non raccontati.
Uno degli aspetti fondamentali che va riconosciuto al lavoro della Commissione Fava, è che sia l’unica che si è attivata giacché la Commissione Nazionale, al momento, non ha ancora deciso di dare continuità al lavoro della Commissione Bindi, ma nella relazione non è efficace, ad esempio, la polarizzazione e la focalizzazione dell’attenzione sull’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, il dottor Giammanco, nonostante l’ampio capitolo che lo riguarda. Mi dispiace parlare di una persona che non c’è più essendo io un fan dell’integrità del contraddittorio, mi dispiace dovendo dire delle cose molto gravi sulla figura del Procuratore e questi non può difendersi ma tant’è il tempo gioca a favore della verità e il tempo che è passato senza che sia stata attenzionata la condotta del procuratore Giammanco è uno dei prezzi che dobbiamo pagare. Ci sono degli episodi legati alla figura del Procuratore che avrebbero, secondo noi, dovuto attirare l’attenzione degli organi inquirenti che al tempo. Faccio, ad esempio, riferimento alla gestione burocratica dell’informativa dei Ros che informavano, appunto, il Procuratore Giammanco che era arrivato a Palermo il tritolo per Borsellino. A tal proposito c’è un’informativa del 19 giugno 1992. Questa informativa arriva alla Procura di Milano e il dottor Borrelli avverte il dottor Di Pietro. Di fatto il dottor Di Pietro viene salvato e il dottor Borsellino no. Borsellino sa di questa informativa per caso dall’allora ministro alla Difesa Andò, per averlo incontrato all’aeroporto di Fiumicino il 28 giugno 1992. Borsellino rientrava da un convegno a Giovinazzo, in provincia di Bari e solo per caso si trovò a Fiumicino nello stesso momento in cui c’era il ministro. Il giorno dopo, il 29 giugno, Borsellino va nell’ufficio di Giammanco e ha con lui un alterco violentissimo, cosa che la vedova Borsellino racconta il 23 marzo 1995 davanti alla Corte d’Assise del processo “Borsellino uno” ».
A tal proposito, nella relazione citata dall’avvocato Trizzino, manca anche qualcos’altro. Non si capisce, ad esempio, come mai durante l’audizione del dottor Scarpinato nessun membro della commissione gli abbia chiesto nulla a proposito del dossier “mafia-appalti” e soprattutto sulla sua celere archiviazione che, oltre a quella del dottor Lo Forte, porta anche la sua firma. Non tace invece su quest’argomento l’avvocato Fabio Trizzino, il più spinoso, quello che la narrazione unica di cui ha parlato ha sempre cercato di minimizzare, il dossier “mafia-appalti”, forse anche perché proprio chi ha deciso la sua archiviazione è diventato un alfiere della narrazione unica, una narrazione che taccia di negazionismo tutti quelli che ritengono, ma lo fanno basandosi su dati oggettivi, che la cosiddetta trattativa “stato-mafia” imputabile ai Ros, per la quale è in corso a Palermo il processo di appello, non sia stato l’accelerante della morte del dottor Borsellino ma sia stata, eventualmente, una concausa e che forse l’uso stesso del termine trattativa è parte di una narrazione che non tiene conto delle realtà e dei contesti investigativi.
«Ripartiamo dal comportamento dell’allora Procuratore Giammanco allorché Borsellino lascia la Procura di Marsala e arriva a Palermo, il 1 marzo 1992. Per la prima volta, lo dicono diversi dei sostituti in quel momento applicati a Palermo, Giammanco fa una circolare che definisce una prassi particolarmente rigorosa per la divisione del lavoro. Molti sostituti si lamentano perché a Borsellino vengono assegnati Trapani ed Agrigento quando, essendo stato uno degli estensori dell’ordinanza del maxi-processo, era un profondo conoscitore della mafia palermitana. Ma il motivo per cui Paolo Borsellino non si deve occupare di Palermo è perché Palermo, in quel momento, gestisce il dossier “mafia-appalti”. Dovete sostanzialmente ricordare la telefonata del 19 luglio 1992 alle 7:30 del mattino. Dopo la grande litigata del 29 giugno, i rapporti tra Borsellino e Giammanco erano particolarmente tesi, anche se Borsellino ha sempre sostenuto un certo galateo istituzionale salvo abbandonarsi una volta, lo abbiamo saputo nel 2009 a seguito di un’affermazione che dimostra che sia quello il fulcro. Lo fa quando definisce il suo ufficio un “nido di vipere”. Allora è li’ che bisogna andare a cercare qual’era il clima di quella Procura. Perché ostacolarono Borsellino e fecero addirittura carte false per non fargli sentire Mutolo ma lo stesso Mutolo si impose per poter dire le proprie verità solo a Borsellino (come gli aveva consigliato il dottor Falcone, ndr) . La narrazione unica di questi anni ha dimenticato quello che Borsellino ha subito prima di essere ucciso e nei 57 giorni. Quello è il punto vero, il “nido di vipere”. Si parla tanto dell’urgenza e dell’accelerazione dell’uccisione di Borsellino ma non si parla dell’urgenza e dell’accelerazione dell’archiviazione del dossier “mafia-appalti”. Il corpo di Borsellino era ancora caldo quando fu ratificata l’archiviazione, una procedimento per il quale, normalmente, ci vogliono sei o sette mesi. In quindici giorni il dossier viene archiviato e lo sa parchè? Era un messaggio di rassicurazione all’esterno. Bisognava mandare un messaggio all’esterno dicendo “attenzione, io sto facendo quello che debbo fare” perché Giammanco è preoccupato e ha paura anche lui di saltare in aria. Quella è una mnaccia al corpo giudiziario perché li’ io vedo la paura di un ufficio giudiziario che vuole mandare messaggi di rassicurazione all’esterno, perché non si spiega, sulla base delle quattro notazioni che precedono il rapporto dove viene compendiato perfettamente uno scenario dove c’è il coinvolgimento dei massimi sistemi nazionali nel sistema della gestione degli appalti insieme ai mafiosi, la fretta di un’archiviazione di questo tipo tant’è che il 14 luglio Borsellino chiede a Lo Forte, perché Scarpinato era assente (la richiesta di archiviazione del 13 luglio 1992 porta la firma del dottor Lo Forte e del dottor Scarpinato, ndr), perché il dossier avesse avuto poco respiro e gli tace del fatto che il 13 (il giorno prima, ndr) avevano firmato la richiesta di archiviazione. E allora è lì che bisogna anche guardare. Non dico che le altre ipotesi sono (da scartare, ndr), ma lì si è guardato a tutto tondo ma c’è qualcuno che ha un interesse in conflitto perché la propria posizione in qualche modo, anche in buona fede, viene riferita a quel “nido di vipere” di cui parla il giudice Borsellino la cui immagine è desolante, un uomo seduto da solo che legge un fascicolo perché ha paura del suo ufficio. Convoca Mori e De Donno il 25 (giugno, ndr) alla caserma Carini perché non si fida dei suoi colleghi. Questo non è mai stato sviscerato a sufficienza, secondo noi, perché chi parla di certe cose è stato protagonista di quella stagione, di quella gestione del dossier e quindi ha un interesse in conflitto con una ricostruzione a tutto tondo che invece noi reclamiamo con forza».
E ancora, l’avvocato Trizzino sgombra il campo da uno slogan appartenente alla narrazione unica, quello slogan che riguarda la presenza di una doppia informativa del Ros e, a supporto della scelta di archiviazione, si è spesso detto che l’informativa archiviata il 13 luglio 1992 fosse incompleta e quindi sarebbe stato imossibile alcun approfondimento investigativo.
«La teoria della doppia informativa, che ho visto essere riportata in una relazione che apprezzo per il resto, è un falso storico. Non è vero che esistano due informative quanto è vero che i magistrati hanno archiviato con un’urgenza inusitata e soprattutto che non trova riscontro nella corposità e nella difficoltà di quelle indagini, ma non è vero che nel rapporto dei Ros del febbraio ’91 non ci fossero tutti gli elementi per potere proseguire ancora nelle indagini. Pensate alle parole di Di Pietro, pensate a quello che stava succedendo, pensate ad un Italia stretta in una morsa tra Milano e Palermo nella definizione del sistema del finanziamento illecito ai partiti, dell’aggiudicazione degli appalti con la grande variabile, in Sicilia, della presenza di Toto’ Riina».
L’avvocato Trizzino pone poi l’accento sul ruolo di Toto’ Riina, non solo “capo dei capi” di Cosa Nostra ma vero e proprio “deus ex machina” delle stragi.
«E’ lui che decide di uccidere Paolo Borsellino, non la mafia. Totò Riina si assume la responsabilità, e ciò è oramai accertato. Nessuno voleva la morte di Borsellino, nessuno in quel momento, attenzione, in quel momento, ma Riina dice “me ne assumo la responsabilità” perché Riina dagli anni ’80 era coinvolto nel sistema degli appalti e c’era Raul Gardini e Buscemi Antonino, l’uomo di Riina nella Calcestruzzi Spa di Raul Gardini. Quello è il periodo delle privatizzazioni, (in quel momento, ndr) si stava creando il colosso Enimont che c’è costato miliardi in tangenti e la morte per suicidio dei due promotori della privatizzazione nella creazione del colosso chimico mondiale, Gardini e Cagliari».
Ma, purtroppo, nella serata del 19 luglio è andata in onda, su Rai 3, la puntata già trasmessa nel gennaio di quest’anno, quella “Menti raffinatissime” che mette assieme collaboratori anonimi, collaboratori ritenuti non affidabili, gelatai e tesi improbabili che sembrano piu’ figlie delle narrazioni da spy story americana che non di una narrazione anche solo possibile. Come dimenticare le parole di Giovanni Falcone quando fu chiamato dal Csm per difendersi dall’esposto presentato dall’allora sindaco Leoluca Orlando che disse: “Non esistono vertici politici che possono in qualche modo orientare la politica di Cosa Nostra. È vero esattamente il contrario. Credo di averlo dimostrato in diverse occasioni.” E ha continuato “il terzo livello, inteso come direzione strategica, che è formato da politici, massoni, capitani d’industria, ecc. e che sia quello che orienta Cosa Nostra, vive solo nella fantasia degli scrittori, non esiste nella pratica” e conclude, con la sua incredibile ironia dicendo “Magari ci fosse un terzo livello! Basterebbe una sorta di Spectre, basterebbe James Bond per togliercelo di mezzo”.
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