Sono ottantotto i chilometri che separano Chernihiv, città ucraina di 250.000 abitanti, patrimonio dell’UNESCO per la sua straordinaria concentrazione di chiese, monasteri e luoghi sacri alcuni risalenti addirittura all’Undicesimo secolo, da Senkivka, valico stradale che segna il duplice confine con Russia e Bielorussia.
Dall’altro lato della frontiera, a poca distanza dai check point di Novye Yurkovichi e di Vesyalowka, porte d’ingresso rispettivamente per la regione di Bryansk e per quella di Gomel, Russia e Bielorussia, che dall’agosto 2020, con la progressiva perdita di autonomia di Lukashenko, sono di fatto un’unica entità politica e militare, continuano ad ammassare truppe e mezzi corazzati per un’invasione che in molti danno ormai per scontata dopo la tregua olimpica.
Quello che all’epoca dei soviet era il luogo simbolo dell’amicizia panslava tra Russia, Bielorussia e Ucraina – qui il 3 maggio 1975 fu inaugurata la stele Tre Sorelle, i cui bassorilievi raffigurano pagine della storia comune dei tre popoli slavi – è diventato, sul versante ucraino, la prima linea di difesa.
Per l’ex ministro della Difesa ucraino Andriy Zagorodnyuk, che il mese scorso in un editoriale sull’Atlantic Council aveva invitato l’Occidente a rendere proibitivamente costose per il regime di Putin ulteriori escalation attraverso una politica congiunta di sanzioni economiche e di deterrenti militari, una delle zone a rischio è proprio il confine settentrionale con la Bielorussia di quasi 900 chilometri.
Nonostante nessuno conosca le reali intenzioni di Putin, negli ultimi 15 anni il leader russo ha dimostrato notevole abilità tattica nell’incunearsi nelle fratture di un Occidente ingenuo, diviso, a tratti colluso che non ha mai opposto alcuna resistenza ai disegni neo-imperiali del Cremlino permettendo a Mosca di accrescere la sua apparente forza (la Russia è in realtà un gigante dai piedi d’argilla ed è paradossalmente questo a renderla imprevedibile e pericolosa), a Chernihiv la gente è perfettamente consapevole, come sottolinea Lyudmyla K., un ex ingegnere idraulico ora in pensione, che “la nostra città sarà la prima ad essere attaccata se Mosca lancerà una offensiva su vasta scala dalla Bielorussia”.
Lyudmyla, che vive in un quartiere periferico a una ventina di minuti di autobus dal centro, aggiunge che nonostante tutto in città non ci sono scene di isteria collettiva e che “la popolazione è calma, solo preda di una leggera ansia”.
Opinione questa condivisa anche da Oleh H., giornalista di 45 anni direttore di Svoboda, una radio locale.
“La gente è molto preoccupata per la possibilità di un’invasione russa, poiché Chernihiv sarebbe una delle prime città a subire le conseguenze di un’offensiva dal confine russo-bielorusso, tuttavia, non c’è panico”.
Vasyl C., giornalista e personaggio pubblico noto in tutto il Paese – in epoca sovietica fu membro del Rukh, il Movimento popolare ucraino sorto nel 1989 per iniziativa dello scrittore e dissidente Ivan Drach che aveva tra i suoi scopi la creazione di uno stato democratico e la tutela delle minoranze – ha un’opinione leggermente diversa sul clima che si respira in città.
“La gente ha paura, ma è stanca di aver paura. La guerra va avanti da otto anni, abbiamo una grande stele nella piazza centrale di Chernihiv con foto e nomi di concittadini morti… ce ne sono già circa duecento…”
Il quesito che arrovella stampa e cancellerie occidentali da due mesi, ossia quello relativo all’invasione dell’Ucraina da parte del Cremlino, ha finito per far passare in secondo piano il fatto che Putin ha già invaso Crimea e Donbas nel 2014 e che la guerra ha provocato in otto anni ben 14.000 morti.
Il dover convivere da qualche settimana con il costante pericolo di un conflitto che potrebbe scoppiare da un momento all’altro nella propria regione, non ha peraltro mutato le abitudini di vita degli abitanti di Chernihiv.
“L’unica differenza rispetto al passato – spiega Vasyl – è che stanno tutti incollati a televisione, radio e internet a seguire le notizie”.
Anche per Lyudmyla le abitudini di vita non sono cambiate.
Oleh è convinto che la pressione russa delle ultime settimane, con l’accelerazione degli sforzi diplomatici a livello internazionale per cercare di risolvere questa grave crisi, abbia rafforzato il senso di fiducia nella gente.
“Non posso dirlo con certezza, ma la mia impressione è che anche chi considera inevitabile un ulteriore attacco russo sia diventato più calmo. La nostra fiducia è stata notevolmente rafforzata dai nostri alleati: Gran Bretagna, Polonia, Stati Uniti, Repubblica Ceca e Stati Baltici. Apprezziamo davvero il loro supporto e li ringraziamo per il loro aiuto. A dicembre e metà gennaio, la gente comune, in particolare le donne, ammetteva apertamente di aver paura per le proprie famiglie, per i propri bambini e di non saper cosa fare in caso di attacco”.
La situazione, a detta di Oleh, è totalmente cambiata quando gli ucraini si sono resi conto di non essere soli a combattere contro la Russia, in quel preciso istante “la disperazione è stata sostituita dall’esultanza”.
Eredità sovietica
La regione di Chernihiv, ancorché confinante con Russia e Bielorussia, è sempre stata caratterizzata da un forte sentimento patriottico, seppure declinato in modo diverso rispetto a quello di Galizia e Volinia. Queste terre che facevano parte dell’Etmanato – Baturyn, capitale dell’Etmanato dal 1669 al 1708 all’epoca di Ivan Mazepa, si trova in questa oblast, 150 chilometri a est lungo la strada che porta a Sumy – furono a partire dall’inizio del Diciottesimo secolo sottoposte a un’intesa opera di russificazione prima da parte del regime zarista, poi di quello sovietico.
Volodymyr D., un insegnante di storia del diritto di 52 anni, noto a Chernihiv per il suo attivismo politico già ai tempi dell’URSS – nel gennaio 1991 era a Vilnius a protestare contro la repressione compiuta dall’Armata Rossa nei confronti dei cittadini lituani nel corso della quale persero la vita 14 civili – sottolinea sarcasticamente come in città ci siano anche coloro che vorrebbero accogliere la Russia con pane e sale (in Ucraina il pane con il sale è segno di ospitalità) ma se ne stanno in silenzio rintanati nelle loro case.
Sono i figli e i nipoti dei soldati sovietici in pensione e dei lavoratori russi provenienti dalla regione del Volga che si stabilirono a Chernihiv dopo la Seconda Guerra Mondiale.
A detta di Volodymyr il diverso atteggiamento che si respira in città sul tema della guerra non dipende da un fattore anagrafico ma dalla cultura e dalla nazionalità.
Oleh colloca invece le paure di un conflitto su vasta scala in una prospettiva diversa, facendo notare come a suo avviso il processo di desovietizzazione abbia interessato anche i più anziani.
“Penso che le persone anziane stiano vivendo più intensamente questo momento. Molti hanno ancora forti ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Distruzione, dolore, morte dei propri cari, perdita di alloggi”.
Solo che oggi è “la Federazione Russa che svolge il ruolo della Germania nazista”.
“Questo non significa che i giovani siano tranquilli. Nel Ventunesimo secolo, ciò che produce un paese vicino è ferocia. Molti giovani uomini e donne sono pronti a prendere le armi e a difendere la loro terra nonostante il loro stato civile e sociale”.
Secondo Vasyl la differenza principale è che “mentre la maggior parte dei giovani è pronta a combattere, gli anziani sperano in una soluzione pacifica”.
Della generazione sovietica dice “che non crede nella possibilità di una guerra su larga scala, e che in parte ha sentimenti filorussi, che, tuttavia, non esprime attivamente”.
Interessanti anche le considerazioni su questo tema della 74enne Lyudmyla che sposta l’ottica sul ruolo dei media.
“I giovani non seguono con tanta attenzione gli eventi che si svolgono nel Paese e le reazioni dei nostri alleati. Gli anziani guardano le notizie sui canali tv, molti dei quali sono di proprietà degli oligarchi e per questo motivo abbiamo una grande varietà di interpretazioni degli eventi. Le persone, per la maggior parte, non conoscono la propria storia e usano paradigmi sovietici. Questo anche perché a Chernihiv la maggior parte degli ucraini parla russo”.
Zelenskyi e la guerra
Mentre l’Occidente è davvero preoccupato per lo scoppio di un conflitto di vaste proporzioni, il Presidente Zelenskyi, probabilmente per non creare panico nella popolazione, ha ripetutamente affermato in questi giorni che non vi è alcun rischio reale di un’invasione su larga scala.
Questa posizione, che è stata strumentalizzata dal Cremlino per ribadire una delle narrative di disinformazione più ricorrenti, ossia che la Russia non ha intenzioni belliche e che sono la NATO e gli Stati Uniti a volere la guerra in Ucraina, è a detta di Oleh frutto dell’inesperienza del Presidente ucraino.
“Questo è il tipico comportamento di una persona inesperta. Gli ucraini non si fanno prendere dal panico. D’altra parte questi appelli ufficiali possono aumentare il panico. Una valutazione sobria e realistica della situazione da parte degli alleati aiuta anche a mobilitare l’Occidente per fornire sostegno armato all’Ucraina. Solo un’Ucraina armata e forte, che ha una posizione unita con l’Occidente, può impedire un attacco dell’aggressore”.
Secondo Oleh, Zelenskyi dovrebbe prestare più attenzione alla errata politica economica del governo attualmente in carica e non attribuire la caduta della valuta nazionale e la diminuzione degli investimenti esteri solo al panico per un’imminente guerra.
L’opinione di Vasyl è ancora più dura.
“Abbiamo un grosso problema con il presidente e con l’attuale leadership ucraina inadeguata rispetto alle esigenze della società. Inoltre, gli agenti di influenza russi, che per decenni hanno fatto parte di tutte le strutture governative e dei media, hanno ancora un grosso potere. Zelenskyi farebbe meglio a tacere che a parlare. D’altra parte, è comprensibile che le autorità vogliano rassicurare la propria popolazione per non provocare il panico”.
Per Lyudmyla, convinta che “agenti del Cremlino siano seduti nell’ufficio presidenziale”, le affermazioni di Zelenskyi finiscono per fare il gioco di Mosca rischiando di indebolire la credibilità dell’Ucraina con i suoi partner occidentali.
Sarcastico e tranchant il giudizio di Volodymyr che considera Zelenskyi il simbolo delle aspirazioni della maggioranza dei ‘piccoli russi’ (così venivano chiamati gli ucraini ai tempi dello zar) più stupidi e dei russi etnici stabilitisi in Ucraina negli anni ’30 del secolo scorso dopo lo sterminio di milioni di ucraini etnici causato dal Holodomor.
Putin come lo zar Nicola II?
Ciò che rende gli abitanti di Chernihiv moderatamente ottimisti, per quanto sia un eufemismo usare questa parola in un contesto bellico, non è tanto il fatto che secondo le persone intervistate la possibilità di un’invasione su larga scala sia diminuita grazie al ruolo dell’Occidente, Stati Uniti e Gran Bretagna in primis, pronto a imporre sanzioni dolorose alla dirigenza russa, quanto il fatto che l’esercito ucraino attuale sia molto più forte rispetto a quello del 2014.
Secondo Vasyl, l’uso del Bayraktar TB2, un drone di produzione turca attualmente in uso da parte delle forze armate ucraine, avrebbe sollevato serie preoccupazioni tra i vertici militari russi.
“Mosca ha persino protestato con la Turchia per aver venduto questi droni all’Ucraina. L’esercito ucraino si è ora notevolmente rafforzato e, secondo gli esperti, è diventato uno dei più forti d’Europa. Allo stesso tempo, in caso di un’offensiva su vasta scala, i veterani dell’attuale guerra – riservisti e volontari – sono pronti a combattere. Quando la Russia ha invaso nel 2014, i nostri ragazzi hanno combattuto in pantofole e magliette inizialmente senza giubbotti antiproiettile. Nella città di Koryukivka, nella regione di Chernihiv, il medico Sergei Mileyko, la gente del posto, i suoi pazienti, hanno raccolto fondi per acquistare giubbotti antiproiettile. È chiaro che se ci fosse un attacco a Kyiv, sarebbe più conveniente effettuarlo dalla Bielorussia o attraverso Chernihiv. Ma qui abbiamo due unità militari: la prima brigata di carri armati Seversk e il centro di addestramento Desna, che sono pronte per entrare in battaglia”.
Oleh sottolinea come “in caso di attacco attraverso la regione di Chernihiv, il movimento delle truppe nemiche può essere ritardato facendo saltare in aria ponti, bloccando strade e altre comunicazioni”.
Entrambi sono convinti che Putin, da cinico calcolatore, pondererà tutti i pro e i contro di una guerra su larga scala che potrebbe rivelarsi un autentico boomerang per il regime cleptocratico russo.
Vasyl traccia addirittura un parallelismo con la Russia zarista.
“A mio avviso, le azioni aggressive della dirigenza del Cremlino sono causate dal timore dell’imminente disintegrazione della Federazione Russa. Nel tentativo di frenare il suo crollo, Putin e il suo clan vogliono una “piccola guerra vittoriosa”. L’imperatore Nicola II iniziò la guerra russo-giapponese. Sappiamo come andò a finire per l’Impero russo nel 1917. Vi assicuro che l’attuale avventura russa si concluderà allo stesso modo. Capisco che questo sia difficile da accettare per il lettore occidentale, ma permettetemi di ricordarvi che il crollo dell’Unione Sovietica non era stato previsto da nessun studioso sovietico ma è avvenuto”.
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