Geopolitica
“La mia famiglia vuole restare in Ucraina, anche alla guerra ci si abitua”
Per lavoro incontro Alex, un affermato tecnico che si occupava in Ucraina della revisione di distributori automatici in una grande azienda, a Kiev, di proprietà di una famiglia italiana. Ci vediamo più volte, aumenta la confidenza e trovo il coraggio di chiedergli di raccontarmi la sua storia da quando è scoppiata la guerra in Ucraina.
Preferisce iniziare parlandomi del giorno in cui è iniziata la guerra.
“Quel giorno, racconta, alle quattro e mezzo del mattino vengo chiamato da mio padre che mi avverte di qualche bombardamento, lui vive a circa 15km di distanza, io non mi ero ancora accorto di nulla, la mia compagna invece aveva avvertito qualcosa di strano, accendiamo la Tv e vediamo il nostro Presidente annunciare che il nostro Paese è sotto attacco dei russi e la guerra è iniziata. Mio padre poco dopo mi informa che due missili sono caduti nelle vicinanze della sua abitazione. Anche internet e il canale telegram parlano della stessa cosa, a quel punto non sappiamo più cosa fare, decidiamo in ogni caso di recarci al lavoro, la mia compagna lavora per una grande catena di supermercati, io mi occupo di revisionare distributori automatici”.
Pur sentendolo raccontare, è difficile immaginare cosa passa per la testa di una persona che ha appena appreso che il suo Paese è sotto attacco e sta per essere invaso, infatti Alex per prima cosa, alle sei di mattina, decide subito di andare a fare il pieno benzina, tra i suoi pensieri forse c’è anche quello di scappare, di mettersi al sicuro. Mi racconta che è stata una buona idea perché al pomeriggio c’erano code che superavano le 3/4 ore per rifornirsi di carburante, le macchine piene di persone e di bagagli pronti ad abbandonare Kiev, per recarsi in un posto più sicuro, ma quale? Dove? Non si sapeva niente e intanto i missili continuavano a cadere e le forze armate russe iniziavano ad entrare dalla frontiera che dista 150 km da Kiev, sgomento totale e informazioni frammentate hanno spinto molte persone ad abbandonare la città.
“Dopo aver fatto il pieno mi reco al lavoro, la ditta ci comunica che chiude e chi vuole può tornare a casa o abbandonare la città, ci pagano subito lo stipendio maturato in contanti perché avevano paura che i pagamenti tramite bonifico non arrivassero, ci chiedono di tenere accesi i telefoni per eventuali comunicazioni future, ma intanto in ditta vengono chiuse la luce, l’acqua e il gas, resta solo una guardia al controllo del grande magazzino. Sento mio padre che decide di recarsi (cosa che poi non farà) in una piccola casetta che abbiamo in campagna, a 100 km circa da Kiev, un piccolo centro abitato lontano da vie e arterie stradali principali per cui apparentemente meno pericoloso. Decide di restare a casa e fare scorta di acqua, cibo in scatola, pasta, riso. Mia sorella invece, insieme a mio nipote, si è recata a Leopoli vicino al confine con la Polonia, ci ha impiegato oltre dodici ore ad arrivare, quando normalmente ne occorrono sei. Io abitavo in un palazzo di nove piani, la metà delle persone erano scappate, noi rimasti alla sera ci siamo riuniti con lo scopo di attrezzare il piano interrato del palazzo con qualche televisione, qualche sedia e un pò di generi alimentari, lo scopo era quello di metterci al riparo da possibili bombardamenti, non si trattava di un bunker, ma solamente di un piano interrato di un palazzo. Lo stesso giorno alla sera è iniziato il coprifuoco, eravamo tutti impossibilitati a muoverci, tutto era blindato, ogni quartiere, per poterti muovere e uscire dal tuo rione dovevi avere dei validi motivi, tipo assistere un genitore o un parente anziano, allora potevi avere un permesso temporaneo. Per portare qualcosa da mangiare a mio padre ci mettevo 4-5 ore, per fare solamente 15km. Lunghe Code, lunghi controlli, dovevi aprire i bagagli che trasportavi e veniva ispezionata tutta la macchina. Ci sono stati all’inizio tre giorni di coprifuoco totale dove non potevi recarti da nessuna parte, potevi solo stare all’esterno della tua abitazione, ma nulla di più. In una scuola del nostro quartiere si erano attrezzati con dei forni e cuocevano il pane per chi ne aveva bisogno, soprattutto anziani che non avevano la possibilità di comperare più nulla“.
Il primo mese passa così, giorno per giorno, senza sapere cosa ti aspetterà il giorno dopo, guardi il cielo senti il rumore dei bombardamenti non troppo lontani, ti abbeveri delle poche notizie che arrivano dalla tv, da internet o da amici che si trovano in zone vicine. Vicino a Kiev a circa 50km c’è un piccolo paese che si chiama Irpin, già dalla seconda settimana occupato dai russi, lì viveva un amico di Alex che con tanti sacrifici si era costruito una casa dove stare con la moglie e tre figli, un vero testone, non voleva abbandonare la sua casa nuova, Alex riesce a convincerlo ad andare da lui a Kiev, mentre la moglie e i tre bambini sono fuggiti in Germania. Nel frattempo si è saputo che nella vicina Irpin i russi avevano già ucciso 150 civili. Il suo amico dopo aver raggiunto moglie e figli in Germania è tornato una volta appresa la notizia che Irpin era stata liberata, recatosi sul posto ha drammaticamente visto che della sua casa era rimasto solamente un muro con uno specchio. Due piani di casa completamente distrutta.
L’amico piomba nello sconforto fino a rifiutare persino il sogno di tornare nella città dove aveva costruito la casa dei suoi sogni, “venderò la terra, se e quando la guerra sarà finita, ma non tornerò più in questa città dove sono morti tutti”. Incredibile come qualsiasi cosa può diventare pian piano un’abitudine, racconta Alex: “Dopo un mese tu non ascolti più nemmeno le sirene, diventa normale, diventa come ascoltare una musica a volume alto del tuo vicino di casa, non ci fai più caso, il piano interrato lo abbiamo usato la prima settimana dove ci recavamo a dormire, poi dalla seconda lo usavano solo anziani e bambini per stare insieme per giocare o per vedere quando possibile la Tv”.
Percepisco nel suo racconto uno stato di rassegnazione totale, una sensazione di impotenza, diventa normale vedere colonne di carri armati sfilare come se fossero automobili e non stupirsene più. I Russi a Irpin, prima di distruggere la città, hanno saccheggiato tutte le case di ciò che era rimasto, praticamente tutto, considerato che chi era fuggito in fretta non poteva portarsi grandi cose e sperava di ritrovare qualcosa al ritorno, rubavano qualsiasi cosa, compresi gli elettrodomestici che portavano in Russia, per molti militari che provenivano dai vicini Monti Urali non era consuetudine vedere case con lavatrice, cucina, forno, elettrodomestici normali, per cui rubavano tutto.
Gli chiedo come veniva difesa Kiev in quei giorni. “Già dai primi giorni molti volontari si offrivano alle forze armate, talmente tanti che ad un certo punto non venivano più accettati, servivano poi esperienza e specializzazioni, che i civili non avevano, un mio amico collega di 28 anni è andato volontario fin dal primo giorno, ma è stato ammazzato dopo pochi giorni.”
Chiedo ad Alex di darmi la sua versione sul perché della guerra, mi spiega che una volta non c’era tanta differenza tra russi e ucraini, ma per comprenderla meglio bisogna risalire a prima del 2013 quando venne cacciato il loro vecchio presidente Janukovyč, scappato poi a Mosca, perché rifiutava qualsiasi tipo di accordo con l’Europa e con l’unione europea, voleva far parte della Russia come quando c’era l’URSS, ma oramai il processo era irreversibile, molti cittadini ucraini viaggiavano in Europa e si rendevano conto della libertà e delle condizioni di vita riservate ai Paesi confinanti e non solo. Paesi democratici, dove si vive una vita diversa, non sarebbero mai più tornati sotto la guida di uno Zar. “Noi dal 2014 con un visto turistico potevamo raggiungere qualsiasi città europea e restarci per 90 giorni, viaggiare in auto, in aereo con voli low cost, con ryanair, finalmente si potevano raggiungere le più importanti capitali e città europee, Parigi, Monaco, Berlino, Roma, Venezia.”
Non mi ha parlato di Alex “volontario” e questo mi incuriosisce, mi spiega che per un difetto alla vista non è militarmente idoneo, si è prodigato molto per aiutare gli altri con pratiche iniziative personali, ma non al servizio delle forze armate ucraine. Molte città, come tutti sappiamo, sono state poi liberate, ma la ditta dove lavorava Alex non ha più riaperto, mentre la sua compagna continuava a lavorare al supermercato, per Alex si poneva il problema di cosa fare. “Facevo il tecnico e il consulente per aziende di distributori automatici, molti amici italiani che conoscevo per lavoro, sapendo la mia situazione, mi chiedevano di venire in Italia che forse qualche possibilità di lavoro ci sarebbe stata. Io parlo abbastanza bene l’italiano, la ditta dove lavoravo era di proprietà di una famiglia italiana e poi nel vostro paese il vending è un’eccellenza e io ci venivo per visitare fornitori e la fiera di settore. Lavoro nel settore da oltre 22 anni, non mi manca l’esperienza, nell’estate dell’anno scorso decido di accettare l’invito di un mio amico italiano che lavorava nel settore, potevo uscire dall’Ucraina perché militarmente non riconosciuto idoneo e inizio a inviare curriculum alle aziende, dopo qualche lavoro saltuario trovo finalmente un’azienda che mi assume.”
Si ma c’è il dramma di lasciare la tua compagna, tuo padre, la tua famiglia, i tuoi affetti come farai chiedo. “Loro hanno veramente una testa dura, mio padre mi ha detto che una volta che mi fossi sistemato con il lavoro e con la casa mi avrebbe raggiunto <<adesso non voglio lasciare la mia terra, se mi bombardano, se muoio, non ha importanza, ora non voglio lasciare il mio Paese>>. Con la mia compagna siamo insieme da venti anni, abbiamo vissuto in una piccola casa che ci siamo costruiti nel tempo, con tanti sacrifici, ultimata non più tardi di due anni fa a coronamento di un sogno, lei non la vuole abbandonare, vive nella speranza che tutto finisca. Ora ho trovato finalmente casa, con fatica sto ultimando i documenti e spero che presto mi raggiungano, la mia compagna avrebbe però il problema di trovare lavoro, ma insieme potremmo farcela, il freno è rappresentato anche dalla lingua, lei non parla la lingua italiana. Mio padre invece ha la testa ancora più dura, ho la sensazione che continui a rimandare facendomi false promesse. Il popolo ucraino è molto legato alla propria terra e per una persona anziana è una sconfitta lasciarla.”
Alex mi racconta che non vedeva suo padre da tempo; decide agli inizi di dicembre di tornare a Kiev percorrendo 1200 km con una smart, lì trova dopo sette mesi una città completamente cambiata, una città completamente al buio perché spesso manca la corrente, le fabbriche più grandi che ne avevano la possibilità si dotavano di grandi generatori, le altre si dovevano accontentare di lavorare solo qualche ora al giorno, solo quando era disponibile la corrente. I piccoli negozi completamente chiusi, funzionavano solo le grandi catene che potevano permettersi generatori adeguati, il cibo non mancava ma la gente era in difficoltà perché poteva contare solo sulla metà del solito stipendio per il fatto che l’alta inflazione aveva fatto raddoppiare i prezzi. Alex cerca di aiutarli come può, invia soldi all’una e all’altro che vive della sola pensione che ha perso potere di acquisto. Ha cercato nuovamente di convincerli ma senza successo, dopo una settimana è rientrato in Italia. “A capodanno sono stato in videochiamata con mio padre, mia sorella e la mia compagna, avendo quasi risolto il problema della casa trovata nella periferia nord di Milano sono riuscito nuovamente a strappargli la promessa di raggiungermi. La speranza e di fargli passare nella prossima primavera una settimana di vacanza in Italia in modo che si convincano.”
Nel frattempo i bombardamenti continuano, chiedo se non hanno paura, Alex mi risponde che oramai si sono abituati e che sono nelle mani del destino, il problema è che quando manca la corrente e il collegamento internet diventa difficile comunicare, quando si manda un semplice whatsapp può arrivare due ore dopo o addirittura giorni dopo. Per mangiare, quando manca la corrente, i miei si sono dotati di una lampadina a batterie questo permette loro di cucinare qualcosa prima di andare a dormire. Mi confida che se dovesse finire la guerra, la lunga ricostruzione probabilmente non gli consentirebbe, anche a causa della non più giovane età di tornare a lavorare in Ucraina, al 90% vorrebbe restare in Italia ricongiungendo qui la sua famiglia. Gli chiedo in ultima analisi il suo pensiero su Putin e Zelensky. “Putin è un uomo che arriva dai servizi segreti, si è formato nel KGB, non ha mai pensato al suo popolo, lui pensa solo ai suoi interessi e agli interessi di poche persone vicine a lui, a lui il popolo non interessa, la gente deve solo lavorare in modo che lui stesso possa arricchirsi. Zelensky non mi piaceva, quando ci sono state le elezioni io non l’ho votato, lui era un comico, si esibiva in tv, non mi dava l’affidabilità necessaria a gestire un intero Paese. Quando invece è iniziata la guerra lui è cambiato molto, anche adesso ha commesso tanti sbagli, ma di questo se ne riparlerà alla fina della guerra, ma è riuscito ad unire un popolo che ora pensa tutto unito alla vittoria e alla liberazione dall’aggressore, lui vuole recuperare tutti territori, Crimea compresa, lasciando il popolo ucraino libero di vivere in democrazia. Noi non siamo contro i russi, io fin da bambino come tanti ho sempre parlato sia il russo sia l’ucraino, nessuno dovrà però imporci quale lingua parlare e come vivere.”
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