Il prolungato crollo del prezzo del petrolio, che questa mattina ha “bucato” la soglia di 40 dollari al barile, potrebbe mettere definitivamente in ginocchio il regime chavista di Maduro in Venezuela. A Caracas l’esercito è da mesi schierato a difesa dai supermercati, presi d’assalto da una popolazione esasperata dalla penuria di generi alimentari. I militari che controllano il carrello della spesa per verificare il rispetto del razionamento non aiutano a far calare le tensioni sociali e politiche, mentre le elezioni parlamentari, fissate per il 6 dicembre, riscaldano le attese di un cambio di regime.
I timori sul rallentamento economico della Cina, accesi nelle scorse settimane dalla decisione di Pechino di svalutare il cambio dello yuan e dagli interventi di “pronto soccorso” della Banca centrale, hanno provocato un’altra giornata di passione sui mercati. Nella seduta di oggi (lunedì 24) il listino di Shanghai è crollato dell’8,5%, trascinando Tokyo (-4,6%) e tutte le piazze europee, queste ultime con perdite comprese fra il 4 e il 6 per cento.
Non meno evidente i contraccolpi sull’andamento del greggio: il prezzo è sceso a 38 dollari per barile, un livello che mette alle corde i paesi produttori, intaccandone le entrate. Ma se nessuno fra questi ultimi resta indenne da questo ulteriore strappo al ribasso del greggio, per Caracas la situazione diventa incandescente. Dal petrolio dipende infatti il 95% dell’export, la gran parte delle entrate fiscali, e i due terzi del Pil del Venezuela. Salvato sino ad oggi dal default grazie ai finanziamenti arrivati dalla Cina, per il Venezuela sarebbe difficile reggere a lungo prezzi così bassi. I continui appelli di Maduro ai colleghi dell’Opec fin qui non hanno sortito alcun risultato concreto. Perciò, mentre scende il prezzo del petrolio, le proteste contro il governo del presidente Nicolás Maduro Moros sono destinate a intensificarsi.
Andamento del prezzo del petrolio Wti 2014-2015 – Fonte: Bloomberg/Nymex
Le esportazioni sono calate del 47% nel 2015, la produzione industriale è scesa dell’8%, il PIL reale segna un meno 7%, con un’inflazione che nel 2014 era del 68.5% e quest’anno è attesa al 150 per cento. Il cambio non ufficiale del bolivar vede la divisa a 676 contro dollaro Usa con una perdita in un anno del 700%. Da qui la performance “drogata” della Borsa venezuelana.
Il presidente Maduro ha proseguito massicciamente i piani sociali di sostegno alla popolazione mantenendo anche i sussidi energetici che costano al Paese pare oltre i 20 miliardi di dollari Usa all’anno. Ha inoltre incarcerato dissidenti ed avversari politici intervenendo sui media e la libertà di espressione, esacerbando il clima, e innescando una spirale di manifestazioni protesta da parte di cittadini che chiedono giustizia e libertà. Per un paese che importa il 70% dei beni di prima necessità, a poco è servito imporre un cambio fittizio con il dollaro.
A sorpresa, per lecasse del governo una boccata di ossigeno è arrivata questo mese grazie all’accordo Joint China Venezuela Fund. Caracas ha ricevuto la seconda tranche di 5 miliardi di dollari ed ha ottenuto il posticipo al piano di rimborso (da 3 a 5 anni) in cambio di forniture di petrolio. Secondo le convenzioni internazionali questi fondi però non possono essere usati per servire il debito. A ottobre, comunque, il governo venezuelano dovrà rimborsare un prestito da 5 miliardi di dollari, pena il default. Sempre in questi giorni, comunque, la Giamaica ha rimborsato un suo debito di 1,2 miliardi di dollari Usa. Il risultato è che le riserve ufficiali del Venezuela sono salite a a 16,6 miliardi di dollari. Ma se il prezzo dell’oro non rimbalza (è sceso del 15% da inizio anno), ha calcolato Alejandro Arreaza, un analista di Barclays sentito da Bloomberg, il controvalore delle riserve si ridurrà di circa 1 miliardo di dollari.
Il Venezuela possiede le riserve di greggio fra le più grandi al mondo ma il loro valore si è dimezzato: colpa dell’andamento del barile, certo. Ma la gestione “bolivarian-chavista” non ha aiutato. Dalla morte di Chavez il livello di governance e la corruzione hanno raggiunto picchi mai visti a detrimento di un efficientamento del settore energetico. A carico della PDVSA anche la spada di Damocle rappresentata dalla soluzione definitiva della causa arbitrale in corso con l’americana Conoco Philips per risolvere questioni connesse alla nazionalizzazione dei progetti Petrozuata e Hamaca, decisa dall’allora presidente Chavez. Il valore attuale della controversia, che si è aperta nel 2007, è stimato pari alle riserve internazionali del Paese.
A ridosso di fine agosto verranno chiuse le liste elettorali che raccolgono le candidature per le elezioni legislative del 6 Dicembre, dando via definitivo alla fase più cruenta della campagna elettorale. Maduro ha impedito agli osservatori internazionali la normale attività di monitoraggio sulla correttezza del processo elettorale, inasprendo la deriva dittatoriale di cui il calo del consenso popolare, che ormai viaggia al 15%, è solo uno dei contraccolpi negativi.
Proteste a Caracas contro il governo Maduro
L’opposizione democratica MUD, che non cessa di manifestare in piazza, si trova davanti ad una sfida senza precedenti con un Paese al collasso ma anche Maduro difficilmente potrà contare sui partner commerciali di sempre. Russia e Cina non stanno certo attraversando un periodo di elargizioni facili. Senza reciprocità o impegni onerosi a carico di un Governo al capolinea, è improbabile che arrivino nuovi finanziamenti. Come è ormai consolidato nella storia latinoamericana, le elezioni diventano l’ultima ancora di salvezza per il Paese, stremato dall’incapacità politico ed economica di Maduro e da troppi anni di prolungato fallimento del modello di socialismo “bolivarista”.
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Sempre bravissimissima, Claudia.
Grazie Andrea
Ma sono l’unico a sorprendersi ogni volta come le analisi seguano sempre un filo conduttore che immancabilmente riconduce alle proposte dei neocon occidentali? C’è sempre un nemico da abbattere che guarda caso è il governo che si oppone alla supremazia del liberismo economico e della globalizzazione.
È così che nasce la strategia del crollo del prezzo del petrolio, richiesta dagli americani ai sauditi attraverso l’aumento della produzione con il solo scopo di mettere in ginocchio le economie di Russia e Venezuela.
E con la crisi ecco subito la strategia di fomentare le opposizioni e buttare benzina sulle tensioni sociali.
Ma questa volta hanno fatto male i conti. Con la crisi globale che avanza e che coinvolge il gigante cinese la domanda di greggio diminuirà e questo manterrà il prezzo del petrolio a livelli minimi indipendentemente da ogni possibile aumento della produzione da parte dei sauditi. Questa strategia insensata, che tra l’altro sta mandando in fallimento le società di estrazione da scisto americane obbligate a costi di produzione al barile troppo alti, quanto potrà essere mantenuta dai sauditi prima che vengano erose le riserve valutarie?
PS: è vero, in Venezuela c’è corruzione. Ma cosa dovremmo dire noi in Italia?