Geopolitica
Quartapelle (PD): l’Ucraina non cerca vendetta, cerca giustizia
Lia Quartapelle è nata a Varese nel 1982, è laureata in Economia dello Sviluppo e ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Pavia.
È cultrice della materia presso la cattedra di Storia e istituzioni dell’Africa e ha insegnato presso il corso di Politiche per lo sviluppo dell’Università di Pavia.
Nel 2006 è stata tra i fondatori del primo circolo online dei Democratici di Sinistra: “La sezione che verrà”. Da tale esperienza è nato il circolo “02PD” del Partito Democratico “A Milano piace democratico” , in seguito divenuto il circolo più grande di Milano, di cui è stata segretaria dal 2008 al 2012.
Entrata in Parlamento nel 2013 tra le fila del PD, oggi è parlamentare eletta nelle liste del Partito Democratico nella circoscrizione Lombardia I ed è componente della III Commissione Affari Esteri e Comunitari.
La incontro in una rovente Milano pochi giorni dopo il suo rientro da una missione in Ucraina.
Abbiamo appena superato la soglia dei cinquecento giorni di guerra. Una guerra che inizialmente si pensava destinata a una schiacciante e veloce vittoria della Russia, accreditata di forze militari impossibili da contrastare. Non è andata così, la guerra continua e non accenna a fermarsi. Si immaginava uno scenario di questo tipo?
Io ero tra coloro che speravano che le iniziali evidenze dei Servizi segreti (americani in primis), rese pubbliche in modo assolutamente trasparente, non fossero vere.
Sbagliando, attribuivo a Putin e ai suoi quella razionalità che è tipica dei regimi democratici. In questi cinquecento giorni tra le tante cose che abbiamo imparato c’è anche il fatto che i governanti russi ragionano in modo molto diverso. Con obiettivi che sono completamente slegati dal benessere del popolo che dovrebbero rappresentare e guardando esclusivamente alla propria sopravvivenza.
Intende la sopravvivenza dei singoli componenti del regime?
Si certo, intendo proprio la sopravvivenza fisica di Putin e dei suoi collaboratori e il mantenimento nelle loro mani del potere dittatoriale.
Da quando è iniziata la guerra, ogni volta che torno in Ucraina (e di viaggi in quel Paese ne ho fatti diversi) per me è sempre più evidente che la situazione sul terreno è differente da quella che viene proposta da alcuni commentatori qui in Italia. Commentatori che evidentemente percepiscono una realtà illusoria che poi trasmettono anche ai nostri cittadini.
Oggi la situazione in Ucraina è la seguente: più del 75% dei cittadini ucraini, sottoposti a un sondaggio capillare, sostiene di avere perso o un familiare stretto o un amico durante la guerra. Per “perso” intendo morto, ferito o mutilato.
Tutti i ragazzi che compiono i diciotto anni quest’anno sono stati coscritti, lascio a voi immaginare cosa questo significhi per le loro famiglie. E per le famiglie dei ragazzi che oggi hanno sedici o diciassette anni e che vedono all’orizzonte un conflitto ancora molto lungo.
Nonostante ciò io ancora non ho incontrato un solo cittadino ucraino che mi abbia detto “basta, non ce la facciamo più, fermiamoci”. Tutti dicono “dateci le armi perchè noi continueremo a combattere, con o senza armi noi non ci fermiamo”.
Per loro la situazione di occupazione è intollerabile ed è chiaro che la lotta di resistenza laggiù è vista molto diversamente da come la rappresentiamo qui. In Italia tendiamo a vedere un conflitto cronicizzato, una situazione che si può congelare. A me sembra che così non sia, è tutt’altro che congelabile, sia da parte russa sia da parte ucraina.
I cittadini dell’Ucraina sanno che la loro sopravvivenza dipende dalla sconfitta russa, temono di essere coinvolti in una guerra eterna contro la Russia e quindi dicono “risolveremo questo conflitto sconfiggendoli”.
La distruzione della diga di Nova Kakhovka e la conseguente catastrofe ambientale, i criminali bombardamenti punitivi che prendono di mira le città ucraine lontane dalla linea del fronte, l’occupazione della centrale atomica di Zaporižžja ci dicono che i russi giocano una partita nella quale si scrivono le regole da soli. Da parte ucraina è palese la volontà di continuare a combattere, ma alcuni analisti segnalano che invece negli alleati occidentali forse inizia a serpeggiare una certa stanchezza.
Il suo è uno spunto interessante perché contiene la realtà di questa guerra, una realtà che dall’Italia non si riesce a capire fino in fondo.
I russi stanno compiendo ininterrottamente crimini di guerra e crimini contro l’umanità nelle zone occupate, ci sono oltre novantamila denunce nelle Procure ucraine per stupri, uccisioni, distruzioni compiute dai russi contro gli ucraini, tutti casi documentati.
In più stanno usando tecniche che sono contrarie al diritto di guerra nelle zone lontane dal fronte, dove i civili vengono colpiti sistematicamente, non per errori di tiro ma deliberatamente.
L’abbattimento della diga di Nova Kakhovka è stato un ecocidio eseguito a freddo e ci conferma che l’obiettivo dei russi non è la conquista militare; il loro obiettivo è la cancellazione dell’Ucraina e il ricatto globale a tutto l’Occidente. Un ricatto che ha visto utilizzare non solo gli esplosivi ma anche il blocco del gas, del grano e la persistente minaccia nucleare.
In questa ultima missione in Ucraina abbiamo discusso a lungo di quando e come finirà la guerra. In quattro giorni la delegazione della quale facevo parte (European Council on Foreign Relations**) ha fatto trentuno incontri, tra cui il Ministro degli Esteri, il Ministro della Difesa, diversi parlamentari, religiosi, intellettuali, giornalisti, docenti universitari, componenti della società civile, raccogliendo uno spettro molto ampio di opinioni. Comune a tutti loro è la paura che questa possa diventare una guerra eterna, una fase di quella strategia di aggressione che è partita da lontano, è passata per l’invasione della Crimea ed è arrivata all’attuale aggressione su larga scala.
Nel medesimo tempo negli Stati Uniti hanno iniziato a circolare delle voci su possibili trattative da intraprendere con la Russia. Non è chiaro però a quale costo. E soprattutto, visti i precedenti degli accordi di Minsk, se vogliamo che questa guerra termini dovremmo cercare di rimanere compatti e di non permettere che il fronte occidentale si possa incrinare; un disallineamento tra Ucraina e Alleati potrebbe produrre una maggiore instabilità e questo non sarebbe un fatto positivo.
** European Council on Foreign Relations https://ecfr.eu/
L’imminente fornitura alle forze ucraine di bombe a grappolo da parte statunitense si potrebbe interpretare come un “liberi tutti, vinca il più forte”. L’ONU si è detto contrario all’utilizzo di questo genere di armi, messe al bando da quasi tutti i Paesi componenti l’Assemblea, con trentasei nazioni che non hanno aderito al divieto. Tra queste Usa, Ucraina, Russia, Cina, Israele, India, Pakistan, Arabia Saudita e Brasile.
Ritengo che l’utilizzo delle bombe a grappolo non sia una decisione giusta perché indebolisce le ragioni etiche di questo conflitto. Tant’è che l’Ucraina non cerca vendetta, cerca giustizia.
Pur dicendo apertamente che questa decisione sarebbe stato meglio non prenderla, ha senso capire perché questa decisione è stata presa.
Le ragioni sono due. La prima è che oggi la produzione di munizioni convenzionali non è sufficiente a coprire le necessità dell’Ucraina.
Lei mi sta dicendo “uso quello che ho…”.
Esatto, in questo momento uso quello che ho, perché non ho altro. Se diciamo “no” alle bombe a grappolo dobbiamo anche cercare una via alternativa, una via che va sostenuta da finanziamenti comuni europei per evitare che l’Ucraina non rimanga scoperta e priva di forniture militari che sono vitali.
In secondo luogo questa decisione è stata presa perché i russi durante l’inverno hanno fortificato le loro posizioni e hanno sparso due milioni di mine davanti alle fortificazioni.
Questo rende molto difficile l’avanzata delle truppe di Kiev facendo salire la richiesta di armamenti più efficaci. Se avessimo fornito un’adeguata copertura aerea per tempo oggi non saremmo costretti a valutare l’uso di armi non convenzionali.
Metto in evidenza un’ambiguità della posizione statunitense che sta frenando sugli F16 e fornendo le bombe a grappolo, io penso che sia giunto il momento di fare una programmazione più accurata delle necessità militari e delle disponibilità da impiegare. A Vilnius questa è una delle richieste dell’Ucraina. Gli europei hanno già iniziato a farlo.
L’impiego degli F16 avrebbe potuto essere interpretata come una provocazione, la risposta avrebbe potuto essere l’utilizzo dell’arma nucleare tattica.
I russi giocano molto su questa minaccia dell’escalation. Ogni cosa che si fa in più nel conflitto rischia di rappresentare un passo verso l’escalation. Gli esperti militari ritengono che la copertura aerea sia necessaria per sminare anche utilizzando mezzi automatici e per quindi evitare ulteriori perdite umane. Dobbiamo fare ogni passo per rendere questa guerra il più breve possibile e il meno cruenta possibile. Non è un equilibrio semplice da raggiungere.
C’è un elemento controintuitivo: fornire delle armi per favorire la pace. Purtroppo viviamo in tempi difficili, le scelte da fare sono difficili.
Qualcuno ha visto nel tentato blitz di Prigožin una possibile via per fare cadere il regime di Putin. Altri hanno temuto che il comandante della Wagner potesse occupare i centri di controllo militari e nucleari. Cosa pensa a tal proposito?
Non possiamo influenzare quanto avviene nel regime di Putin, non abbiamo i mezzi per farlo, non possiamo scegliere lo scenario preferito.
Dobbiamo essere preparati al comparire di scenari diversi che possono prendere vita, finora non lo siamo stati.
Siamo stati determinati nell’aiutare l’Ucraina ma non siamo altrettanto pronti a reagire alle conseguenze che il conflitto può avere sulla Russia. Nel 2014 non eravamo preparati all’invasione, nel 2022 siamo stati invece all’altezza dopo avere fatto tesoro degli errori compiuti otto anni prima.
Io mi auguro che la vicenda Prigožin (una vicenda tutta interna al regime russo) ci aiuti a essere pronti la prossima volta, perché prima o poi un altro Prigožin arriverà.
Dovremmo iniziare a preparare degli scenari comuni sul dopo Putin, che oggi tra Europa e USA mancano, e in secondo luogo dovremmo concentrarci sulle persone che da tanti anni stanno lavorando al cambiamento interno russo, i dissidenti russi.
Alcuni sono all’estero, altri (molti di meno) sono ancora in Russia, e lavorano in modo differente tra di loro. Dobbiamo entrare in contatto con loro, dobbiamo aiutarli e ragionare con loro perché saranno loro la Russia di domani.
Dovremmo anche trovare un atteggiamento condiviso tra i diversi Paesi che compongono l’Europa perché oggi non siamo perfettamente allineati. Lei avrà visto che alcuni stati hanno bloccato la concessione dei visti di ingresso ai cittadini russi che scappano dal regime di Putin, su questa cosa dobbiamo lavorare per rendere palese che siamo pronti e aperti a un futuro post-Putin che, prima o poi, arriverà.
Vorrei tanto che anche l’Italia su questo tema fosse in prima fila. Per questo ho presentato una proposta di legge per facilitare l’accoglienza dei dissidenti russi.
Poco meno di un mese fa il Segretario di Stato vaticano Parolin ha dichiarato a Vatican News che la missione affidata dal Pontefice al cardinale Zuppi “non è una missione che ha come scopo immediato la mediazione ma è un tentativo di allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina”.
Auguro all’iniziativa del cardinale Zuppi il successo che merita. E’ un’iniziativa confinata all’ambito umanitario e in particolare al ritorno in patria dei diciannovemila bambini che la Russia ha sottratto ai propri genitori e parenti in Ucraina.
E’ giusto aprire dei canali per verificare la disponibilità delle parti senza dimenticare come la missione del cardinale è stata accolta in modo molto diverso tra Ucraina e Russia.
A Kiev il cardinale Zuppi è stato ricevuto da Zelensky (pur essendo il giorno della visita un giorno molto complicato in quanto era il giorno del crollo della diga di Nova Kakhovka) mentre a Mosca Putin lo ha fatto ricevere dalla Commissaria per l’infanzia che è imputata insieme a lui presso il Tribunale Internazionale dell’Aja.
Spero che questo canale di dialogo possa comunque aiutare a fare tornare a casa i bambini che sono stati rapiti.
Ci sono segnali molto preoccupanti sul futuro del cosiddetto “accordo del grano”.
Perché una mediazione risulti costruttiva serve la fiducia tra le parti e oggi Putin non ci fornisce alcun elemento che possa portare a fidarci di lui.
Putin utilizza la mediazione sul grano non per risolvere un problema ma solo per ottenere dei vantaggi continuando a metterla in discussione, ricattando tutti paesi africani che dipendono dal grano ucraino.
La prima mediazione sul grano è stato un ottimo risultato dell’ONU e della Turchia (ricordiamo che tutto è nato da un’idea italiana di Draghi), la mediazione attuale ci dice quanto Putin sia cinico e disposto a tutto; a lui non frega proprio nulla di affamare quattrocento milioni di africani, non si preoccupa di mettere sotto ricatto i paesi che hanno un deficit alimentare e i paesi confinati che rischiano di subire pesantissimi flussi migratori.
Le pressioni russe contro la mediazione sul grano andrebbero spiegate meglio in Italia per fare capire quanto assurde siano le teorie di taluni commentatori italiani che ritengono che sia facile fare sedere a un tavolo comune Zelensky e Putin.
Non è facile mettere a confronto chi cerca la stabilizzazione di uno scenario e chi invece lavora incessantemente per destabilizzarlo.
Il diverso atteggiamento politico esistente tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle sul supporto militare italiano all’Ucraina potrebbe rappresentare una trincea difficile da superare nel tentativo di ricompattare la sinistra.
E’ vero. La decisione che il PD ha preso è una decisione di principio, una scelta basata su convincimenti profondi.
Stiamo dalla parte di chi è aggredito, lo aiutiamo a difendersi insieme agli alleati europei e della Nato e tutto ciò per noi viene prima di eventuali alleanze elettorali.
Guardiamo alla sola possibile alleanza elettorale o valutiamo anche un’alleanza di governo?
Obiettivamente se non la si pensa allo stesso modo sull’Ucraina o sull’Europa è difficile costruire una credibile alleanza di governo.
Io spero che tra qui e le prossime elezioni politiche il Movimento 5 Stelle si renda conto della reale situazione dell’Ucraina e spero che venga aiutato in questo processo anche dall’osservazione del non brillante risultato elettorale conseguito dalle forze di estrema sinistra in Europa che sono state ambigue sul sostegno all’Ucraina.
L’Ucraina vorrebbe avviare adesso l’iter decisionale di ingresso nella Nato, riservandosi l’adesione formale dopo il termine del conflitto. Le sembra una via opportuna?
Durante i numerosi incontri che ho avuto pochi giorni fa a Kiev ho incontrato una persona che mi ha fatto capire bene la loro posizione. Ritengo opportuno che venga ben compresa anche dai lettori a cui mi rivolgo per il suo tramite.
“Noi vogliamo essere sicuri che questa guerra sia l’ultima che combattiamo”.
La storia dell’Ucraina indipendente è quella di una crescente destabilizzazione da parte della Russia, culminata con l’invasione della Crimea nel 2014 e l’aggressione su larga scala del 2023. Finché l’Ucraina non farà parte di una alleanza difensiva (la NATO cioè) non sarà al sicuro da un’eventuale nuova aggressione russa.
L’Ucraina non chiede di entrare a fare parte dell’Alleanza come risultato del summit di Vilnius, chiede di ricevere un invito al quale potere rispondere positivamente quando le condizioni lo permetteranno, al termine del conflitto. Penso che si debba dare un segnale politico, un segnale che oggi non produrrebbe risultati effettivi ma che avrebbe un impatto psicologico profondo in Ucraina.
L’invito a entrare nella NATO (non l’adesione) può dare una grande speranza a chi combatte in difesa della propria libertà e mi auguro che questo sia l’esito del summit di Vilnius. Già oggi i paesi NATO (non la NATO come alleanza) forniscono aiuti militari e addestramento all’Ucraina, di fatto considerando l’Ucraina un partner.
Sino ad oggi l’Unione Europea si è dimostrata molto più pronta della NATO ad accogliere le istanze ucraine, con l’avvio del processo di adesione e le decisioni prese in ambito di difesa comune europea. Questo dovrebbe essere un esempio e uno sprone per la NATO che invece è ancora congelata su una situazione non chiara.
Sull’Ucraina la UE è stata in grado di trovare una fortissima coesione, sia tra gli Stati membri sia tra le diverse Istituzioni che la regolano; in particolare Ursula von del Leyen è molto determinata, affiancata dai Commissari che stanno facendo tutto il possibile per aiutare l’Ucraina.
Esiste la questione ungherese, Orban in questo momento farebbe saltare qualsiasi tipo di accordo su qualsiasi argomento. Prima dello scoppio del conflitto lo faceva sui migranti, oggi sa che il punto debole dell’Europa è la coesione nella risposta all’aggressione russa dell’Ucraina e batte su quel tasto, cercando di negoziare le sue richieste con la minaccia del voto contrario dell’Ungheria.
Mi ha però colpito molto il gesto del presidente di turno della UE, lo spagnolo Sanchez, esponente di uno dei paesi geograficamente più lontani dall’Ucraina, che si è recato nel suo primo giorno di presidenza europea proprio a Kiev.
Eppure ricordo bene come nel maggio dello scorso anno si temeva un atteggiamento distaccato da parte di Spagna e Portogallo proprio perché geograficamente distanti dal conflitto, tanto che i parlamentari ucraini chiesero proprio al Partito Democratico di aprire un dialogo con il partito di Sanchez (PSOE), un partito tradizionalmente “amico”.
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