Le mosse di Trump e l’avvio di una nuova corsa agli armamenti. Probabili scenari
Il 27 Gennaio Trump ha firmato una circolare presidenziale in cui sono indicati una serie di compiti da svolgere e di obbiettivi da perseguire per “ricostruire le forze armate americane”.
Nel primo paragrafo della circolare è scritto che lo scopo è quello di inseguire la pace mediante il rafforzamento militare.
Stando alla situazione attuale, gli Stati Uniti potenzieranno i loro mezzi sia di difesa che di offesa nucleare, oltre alla costruzione di nuovi aerei, navi e armi e più fondi per più personale. Indicativo a riguardo è il fatto che con una precedente circolare Trump ha disposto un blocco delle assunzioni per tutte le agenzie federali eccetto che per il personale militare e, in caso di necessità, per quello della pubblica sicurezza.
Ci sono certamente delle ragioni oggettive a sostegno di queste scelte. Ad esempio, risposta al rafforzamento dell’esercito e dei mezzi di offesa nucleare russi (vedi anche qui) e risposta ai test missilistici e nucleari della Corea del Nord
The United States must greatly strengthen and expand its nuclear capability until such time as the world comes to its senses regarding nukes
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) December 22, 2016
e, probabilmente, negli auspici dell’attuale amministrazione americana, possibile crescita dell’occupazione e conseguente ulteriore rilancio dell’economia interna.
Tuttavia, queste scelte, accompagnate dai messaggi di Trump alla NATO e all’Europa, sollevano interrogativi sul futuro.
Trump chiede ai paesi NATO, e in particolare a quelli europei, di spendere di più per la loro difesa. Il che, dal punto di vista dell’interesse specifico americano, è comprensibile. Il problema è che il risultato di queste politiche è una nuova corsa agli armamenti su scala globale, che è proprio ciò che sta avvenendo.
56 anni fa Eisenhower mise direttamente in guardia i cittadini americani, e indirettamente quelli di tutto il mondo, sul fatto che negli USA è presente un forte intreccio tra industria, vertici delle forze armate e classe politica, che naturalmente pesa enormemente sulle scelte ultime di politica interna ed estera. Eisenhower usò il termine di complesso militare-industriale e politico. Queste le frasi dell’allora presidente Eisenhower (vedi anche qui), più che mai attuali:
«Nelle assemblee parlamentari dobbiamo guardarci dalla crescita di influenza, sia palese che occulta, del complesso militare-industriale. Il rischio che un potere gestito da persone sbagliate cresca disastrosamente esiste, ed esisterà anche in futuro. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa commistione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. E non dobbiamo dare niente per scontato: soltanto cittadini vigili e ben informati, infatti, possono imporre un adeguato bilanciamento tra l’enorme macchina militare-industriale e i nostri metodi e obiettivi pacifici, affinché la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme»
Un paio di considerazioni che seguono dovrebbero essere certe. Dal momento che, per fortuna (o si spera), tutti i paesi occidentali che aumentano e aumenteranno la loro spesa militare a causa di pressioni della politica internazionale non desiderano entrare in guerra, nella più rosea delle ipotesi il risultato sarà un aumento delle esportazioni belliche nei teatri di guerra oggi esistenti – soprattutto in Medio Oriente, ma anche in altre zone dell’Africa e dell’Asia – e nuove guerre possibilmente incentivate nelle suddette zone a causa della necessità degli stati più potenti di vendere l’eccesso degli armamenti acquistati in caso auspicato di pace.
Come appreso da una comunicazione privata con Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD), i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) mostrano come, secondo Simoncelli, sia significativo il volume delle esportazioni di armi indirizzato al Medio Oriente allargato (Siria, Iraq, Libia, Yemen e Afghanistan, in particolare): “I dati relativi all’aumento delle spese militari mostrano una corrispondenza nel tempo anche nell’aumento dell’export. Le spese militari mondiali sono passate da 1.093 miliardi di dollari del 1999 ai 1.750 del 2015, mentre il volume dell’export militare dei maggiori sistemi d’arma (aerei, navi, mezzi corazzati, ecc.) è passato dai 19.396 milioni di dollari del 1999 ai 28.626 del 2015 (dati SIPRI 2016). L’Italia, ad esempio, sta vendendo bombe d’aereo all’Arabia Saudita che le sta utilizzando nello Yemen, mentre un terzo dell’export militare 2015 dei paesi UE si dirige proprio verso il Medio Oriente. Inoltre vi è tutto il settore delle cosiddette armi piccole e leggere (dalle pistole ai bazooka alle mitragliatrici), stimati intorno al 10-20% del totale mondiale, che sfugge al controllo e all’analisi”, dal momento che il mercato in questione è “spesso grigio, se non del tutto nero” e queste armi “sono quelle prevalentemente usate nei conflitti contemporanei e spesso in dotazione a formazioni irregolari”, afferma Simoncelli; che aggiunge: “Né va dimenticato che anche l’emergenza dei profughi/migranti permette alle industrie del settore ulteriori occasioni commerciali in relazione ai prodotti per il controllo dei confini (basti pensare alle apparecchiature elettroniche, ai droni ecc.)”.
D’altronde, data la corsa al riarmo diffusa attualmente in atto, sempre in caso di un non coinvolgimento in guerre per la maggior parte dei paesi, una seconda possibilità è che la domanda di armamenti calerà, con ripercussioni economiche negative per gli stati che hanno investito eccessivamente in armamenti e che non potranno esportare ciò che hanno acquistato in esubero. E’ chiaro che questo problema si farà sentire in particolare su quei paesi con un forte deficit pubblico, come l’Italia.
Ma, visto che i paesi europei subiscono le scelte di Trump, c’è da domandarsi in primo luogo cos’ha in mente Trump. Oltre alle due circolari finora menzionate (1, 2), il 28 Gennaio il presidente americano ha firmato un’altra circolare presidenziale con cui ci si propone di sconfiggere lo stato islamico di Iraq e Siria e si affida al segretario della difesa il compito di consegnare entro un mese un piano preliminare a tal scopo.
Quest’ultima è una decisione prevedibile e probabilmente sensata. Non è un mistero che Trump abbia in precedenza criticato il ritiro americano dall’Iraq e in generale la riduzione delle forze militari americane in Medio Oriente.
«If Iran is gonna take over the oil, we stay and we keep the oil», Trump said, «A country goes in, they conquer and they stay. We go in, we conquer and then we leave and we hand it to people that we don’t even know»
Sicuramente Trump invierà un ingente numero di truppe di terra per vincere i conflitti in Medio Oriente contro i fondamentalisti islamici (vedi anche qui), con l’aiuto della Russia e degli eventuali paesi che si uniranno. L’obbiettivo sarà quello di avere il controllo dei territori attualmente allo sbando e avvantaggiarsi sull’estrazione petrolifera su questi territori assieme ai paesi che interverranno.
Questa lettura è coerente con le dichiarazioni da lui rilasciate negli scorsi anni e in campagna elettorale e soprattutto con i provvedimenti che ha già preso da nuovo presidente degli USA e potrebbe essere anche la migliore delle soluzioni possibili se si considera lo stato di cose attuale: rafforzamento bellico russo, situazione di estremo disordine in Medio Oriente con l’ISIS, attentati terroristici recenti sparsi nel mondo e soprattutto aumento della spesa militare che si prevede considerevole ed è ormai innescato per molti paesi, compresi quelli europei, spaventati dal rafforzamento di Mosca e dalle evoluzioni della guerra dell’Ucraina orientale.
In altri termini, sarebbe certamente meglio se le cose stessero diversamente e se vivessimo in un mondo più pacifico. La presente analisi si limita a valutare ciò che è accaduto fino ad oggi (elezione di Trump inclusa), che non può essere modificato, e ciò che può capitare domani considerato il fatto che la spesa militare cresce un po’ ovunque e continuerà a crescere considerevolmente nei prossimi anni. Un maggiore impegno armato contro il fondamentalismo islamico è chiaramente preferibile a un aumento delle esacerbazioni tra paesi europei e Russia* (nota a piè di pagina), per esempio. Lottare contro un nemico comune potrebbe servire ad allentare le tensioni tra Europa e Mosca, tanto più pericolose quanto più soldi sono investiti nella difesa. Tuttavia, questa analisi non ha certamente lo scopo di offrire soluzioni. E’ soltanto un ragionamento su ciò che sta accadendo e una previsione su ciò che potrebbe accadere. Aggiungo che le scelte dei paesi europei non possono essere facilmente previste perché questi sono attualmente in balia delle scelte di Trump e Putin (dal momento che l’Europa vive oggi molti problemi legati alla sua stessa unità interna).
A ogni modo, ciò che spaventa di più è il rafforzamento dei mezzi di difesa e offesa nucleare che sarà portato avanti da USA e Russia. I programmi dei due paesi segnano un’inversione di tendenza rispetto agli intenti e alle politiche di Obama di una progressiva denuclearizzazione, sebbene i piani dell’ex presidente americano abbiano incontrato delle oggettive difficoltà.
«Let it be an arms race. We will outmatch them at every pass and outlast them all», Trump said
E’ ovvio che anche da questo punto di vista è importante un’intesa e rapporti di buon vicinato tra USA e Russia e chiaramente tra Europa e Russia, per quel che sarà possibile. Relazioni di eccessiva competizione porteranno all’inimicizia e l’inimicizia potrebbe portare a quei difetti di comunicazione che, nell’ottica del dilemma della sicurezza, portano a conflitti.
Cosa fare per evitare un disastro nucleare?
Come rappresentato in uno straordinario film di Stanley Kubrick uscito in piena guerra fredda, Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, e come è facile immaginare oggi in un mondo dove la follia sembra giocare un ruolo non marginale, il peggio è possibile.
Scrive Dave Mosher, giornalista esperto in scienza e tecnologia, in un articolo sul sito web Business Insider:
«The more nuclear weapons exist and are upgraded, the more likely they are to be used — either intentionally or accidentally — and expose our species to the risk of an unprecedented nuclear calamity and possibly a horrifying extinction.
The solution is not easy but straightforward: Do not expand any nuclear arsenals. Instead, continue to reduce weapons stockpiles, ideally until they are all gone.
The US can’t ignore ongoing threats from Putin to modernize and expand Russia’s nuclear arsenal. Nor should we idly sit by while North Korea works toward its first fully functional nuclear weapons system, including an ICBM capable of reaching the US, or as Pakistan develops tactical weapons — and endeavors to give commanders the authority to use them on the battlefield.
Fortunately, plenty of non-nuclear alternatives exist to keep adversarial countries in check.
Take cyberwarfare, for instance. Given the cleverness and scope of Stuxnet, a computer virus that took down Iran’s uranium-enriching centrifuges, it’s not unreasonable to suggest covert and preemptive attacks on nuclear weapons systems themselves are possible or even ongoing.
Diplomacy, sanctions, embargoes, and treaties may not always be popular, but they have — so far — effectively prevented countries like Iran from obtaining nuclear weapons. They’ve also helped reduce weapons stockpiles by more than a factor of 10. Conventional warfare can also help strip a nation of its nuclear weapons facilities.
Trump is known to change his mind, and for the sake of my daughter’s future and the rest of America’s, I certainly hope that he comes to his own senses on this issue. His peculiar fondness for Putin and report with Russia places him a unique position to lead potentially powerful, bilateral diplomacy and arms reductions efforts.
If he can pull it off, there’d almost certainly be a Nobel Peace Prize — and at least one indelibly positive historical legacy — waiting for him»
Nota a piè di pagina:
*Secondo questo articolo del giornale Il Post, “un recente studio del centro studi ‘Rand Corp’, che ha simulato un’invasione russa, ha scoperto che le capitali dei paesi baltici sarebbero invase nel giro di sessanta ore…Secondo una simulazione simile dello scorso marzo, che prendeva in considerazione tutta la NATO, nel caso di un attacco dalla Russia l’Occidente perderebbe”.
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