La Turchia nei BRICS: da progetto acclarato a giallo geopolitico del 2024

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15 Settembre 2024

Come noto i BRICS di cui tanto si parla rappresentano un soggetto geopolitico polimorfico individuato da un acronimo coniato nel 2001 ed utilizzato dagli economisti per indicare un nucleo di cinque grandi Paesi in rapida crescita economica o comunque dotati di una significativa influenza politica: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Il sodalizio, nato nel 2006 per volere dei primi 4 Paesi menzionati come progetto di coordinamento diplomatico, nel 2009 acquisì la forma di club strutturato che il 16 Giugno 2009, in occasione del primo summit dei Capi di Stato, formalizzò il proprio intento di operare al fine di instaurare un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare. Nel 2010 –e per l’esattezza il 24 Dicembre– venne decisa l’ammissione del Sudafrica che contribuì con la sua presenza a dare corpo ad una realtà che nel 2014 rappresentava circa il 42% della popolazione mondiale e il 22% dell’economia globale.

Le ambizioni dei BRICS sono cresciute via via nel tempo grazie alla globalizzazione ed al conseguente mutamento del clima economico e politico internazionale cosicché dall’aspirazione a esprimere posizioni unitarie nelle maggiori organizzazioni multilaterali del pianeta (così da conferire maggiore forza alle proprie esigenze, desiderata ed progettualità) e a intensificare le relazioni tra gli Stati affiliati, i BRICS sono passati al tentativo vero e proprio di modificare l’architettura del sistema finanziario internazionale, allo scopo di ridurre il ruolo che vi ha sempre svolto lo USD e di consolidare la capacità dei Paesi aderenti di resistere a fughe di capitali più o meno improvvise, innescate tanto da processi economici, come il riflusso degli investimenti diretti esteri (il cosiddetto reshoring) e la fine della stimolazione monetaria negli Stati Uniti (tapering), quanto dal varo eventuale di strategie sanzionatorie esterne.

Tanto per porre in evidenza che se per un verso è vero che la NATO ed i BRICS sono due entità, due strutture alquanto differenti, alla luce degli sviluppi correnti, così come della profonda evoluzione del concetto stesso di guerra, entrambe condividono al loro interno caratteristiche di stampo militare con l’unica differenza riguardante l’assenza, nel caso dei BRICS, di un centro unico di comando facente capo ad un Paese leader per antonomasia come nel caso della NATO.

Di tutte queste tendenze la prima concreta manifestazione è stata la decisione di creare (2014) una Nuova Banca di Sviluppo avente quale suo precipuo scopo quello di finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi emergenti, nonché, alla bisogna, grazie ad un opportuno fondo, il CRA (Contingent Reserves Arrangement), quello di fronteggiare improvvise crisi di liquidità con un’ulteriore vera e propria linea di difesa: la concorrenzialità di tali scelte con tutto quanto ha caratterizzato le istituzioni di Bretton Woods, quali la World Bank e l’IMF, risulta evidente e come tale non è dato capire come mai l’Occidente sia stato di fatto colto di sorpresa da tutto quanto occorso dal 2022 ad oggi fino al punto di non comprendere le ragioni e le finalità vere dell’attacco sferrato agli inizi del 2022 dalla Federazione Russa all’Ucraina.

Il fatto che la “potenza di fuoco” dei nuovi strumenti allestiti dai BRICS sia apparsa da subito, mi riferisco al 2014, ancora insufficiente a garantirne la stabilità finanziaria in caso di gravi turbolenze ha sicuramente tratto in inganno l’Occidente, un inganno che non poco ha contribuito a far sottovalutare le potenzialità del tutto a causa di una  sovrastima in senso negativo della notevole eterogeneità e della scarsa coesione mostrata dal raggruppamento: tutti fattori che hanno fatto erroneamente ritenere decisamente improbabile che i BRICS potessero proporsi come un polo alternativo a quello che si riconosceva nel Washington consensus.

L’occhio attento rivolto da Ankara ai BRICS ha, in questi giorni, complice l’emersione in tutta la sua gravità della crisi sociale e politica che affligge l’intero Occidente, Stati Uniti in testa, ha fatto sì che venisse giustamente colto al volo il momento propizio per la formalizzazione della richiesta di ammissione del Paese levantino al sodalizio: una richiesta che, prontamente accolta con favore da Mosca, pare aver creato delle tensioni in seno ai BRICS, tensioni che ritengo siano la conseguenza del fastidio con cui Beijing ha letto i potenziali sviluppi di un più forte partenariato tra una potenza militare di tutto rispetto, quale la Turchia, ed una Federazione Russa che da tutto ciò trarrebbe non poca forza per emanciparsi in qualche modo da una Beijing che evidentemente a torto ha ritenuto di avere oramai acquisito il pieno controllo di un Cremlino che da sempre la Cina vuole poter considerare ad essa subalterna.

Quello dell’ammissione della Turchia nei BRICS, a poco più di una decina di giorni dalla diffusione della notizia della richiesta avanzata in tal senso da Ankara, in queste ore sembra proprio essersi mutato in un tema di politica internazionale che si sta via via tingendo sempre più di giallo in quanto la giornata del 13 Settembre 2024 è stata caratterizzata dall’uscita di diversi articoli decisamente significativi tra i quali oltremodo esplicito è risultato essere stato quello pubblicato da Il Fatto Quotidiano che ha letteralmente titolato un suo pezzo come segue: “Turchia, altro schiaffo per Erdogan: la richiesta di adesione ai BRICS viene messa in sospeso da Russia, Cina e India”[1].

A quanto pare qualcosa deve essere andato storto se dopo i toni a tratti enfatici usati nei giorni scorsi da diversi esponenti russi di spicco, le cui parole sono state riprese e riportate anche dalla stampa turca, —a tale proposito si legga quanto riferito dal quotidiano levantino BoluTakip che il 5 Settembre 2024 ha titolato “Rusya duyurdu: Erdogan BRICS zirvesine katılacak[2]” (trad. La Russia ha annunciato: Erdogan parteciperà al vertice dei BRICS) sottotitolando “Dopo la presunta richiesta di adesione della Turchia ai BRICS, dalla Russia è arrivata una dichiarazione degna di nota. Il Cremlino ha annunciato che Erdogan parteciperà al vertice dei BRICS[3]”—,  ecco che improvvisamente ci giunge notizia di un significativo abbassamento dei toni che impone la ricerca di un inveramento di quanto sta evidentemente accadendo nel backstage di quei BRICS che sono meno coesi e forti di quanto gli stessi vogliano far credere (detto per inciso occorre tenere presente che essere i Nuovi Stati Uniti del XXI secolo non è, a conti fatti, una cosa che possa essere prendere forma e corpo in due e due quattro per quanta buona volontà ed impegno si profonda: un conto è parlare di certe cose, altro è tradurlo in qualcosa di reale e soprattutto stabile).

Tornando a noi vi è da dire che, ad onor del vero, nell’articolo del BoluTakip testé menzionato l’estensore dello stesso aveva riportato che “Il Cremlino ha dichiarato che la Turchia ha mostrato interesse per i BRICS, ma non è arrivata alcuna dichiarazione ufficiale da parte del Ministero degli Affari Esteri[4]“ anche se più oltre aveva aggiunto:

“Secondo l’agenzia statunitense Bloomberg, alcuni mesi fa la Turchia ha presentato domanda di adesione ai BRICS. Questa affermazione è stata presto ripresa dai media russi, con l’account ufficiale dei BRICS sulla piattaforma X che ha postato che la Turchia aveva presentato una domanda ufficiale all’organizzazione[5]” ed ancora che “Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, rispondendo alle domande sull’intenzione della Turchia di aderire ai BRICS, ha dichiarato: ‘Sì, in effetti la Turchia è interessata ad aderire ai BRICS, lo hanno annunciato da tempo’[6]” puntualizzando, tuttavia, che il Ministero degli Esteri non aveva ancora rilasciato una dichiarazione sulle affermazioni secondo cui la Turchia aveva presentato domanda di adesione ai BRICS[7].

Peccato che il 4 Settembre 2024 l’Associated Press abbia diramato un comunicato nel quale si legge, a cura della redazione moscovita, quanto segue:

“Un alto funzionario del Cremlino ha dichiarato mercoledì che la Turchia, membro della NATO, ha presentato domanda di adesione al blocco di economie in via di sviluppo BRICS, mentre Russia e Cina cercano di contrastare l’influenza globale dell’Occidente[8]” ed ancora che “Yuri Ushakov, assistente del Presidente Vladimir Putin per gli affari esteri, ha dichiarato ai giornalisti che la Turchia ha presentato una domanda “per l’adesione a pieno titolo” al blocco che la Russia presiede da quest’anno, e che sarà presa in considerazione[9]“ anche se nella stessa settimana Omer Celik, portavoce del partito al governo di Erdogan, non aveva confermato che la Turchia aveva presentato una formale domanda[10].

Per cercare di capire cosa stia accadendo –come si conviene prima di formulare qualsivoglia ipotesi–, credo si debba osservare il diverso clima instauratosi da qualche tempo tra i due principali attori dei BRICS, ovverosia tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, che a partire dalla metà di Agosto 2024 hanno preso a regolare per contanti le loro transazioni commerciali utilizzando un diverso rapporto di cambio tra la divisa cinese, il Renmimbi (CNY), ed il Rublo (RUB). Una scelta che al momento sembrerebbe rendere conto del fatto che i due ‘alleati’ siano entrati in una sorta di contenzioso esplicitato da una decisione che Newsweek ha resa nota con un articolo dal titolo alquanto graffiante: “China corners Russia with exchange rate hikes[11]” (trad. La Cina mette alle strette la Russia con aumenti del tasso di cambio)

In altri termini nei giorni immediatamente precedenti il 15 Agosto (ma difficoltà si erano manifestate pure a Giugno) le aziende russe che avevano fatto affari con la Cina avevano dovuto fronteggiare l’aumento del tasso di cambio CNY–RUB, come riportato anche dal Moscow Times, un tasso passato dai 12,07 RUB per 1 CNY fissato dalla Banca Centrale Russa a quello di 13 RUB per 1 CNY praticato dalle banche cinesi: e poco importa che le banche cinesi fossero di grandi o di piccole dimensioni[12].

Fonte[13]

Nello specifico al 15 Agosto 2024 la Banca di Cina, di proprietà statale, aveva aumentato il tasso di cambio a 13,09 RUB per 1 CNY, rispetto ai 12,3 della fine della settimana precedente ed a fine Luglio sempre la Banca di Cina aveva ripreso a elaborare i pagamenti provenienti dalla Russia, dopo averli sospesi a Giugno a causa del timore delle sanzioni secondarie degli Stati Uniti sul commercio con le industrie russe[14].

Purtroppo per Mosca la guerra con l’Ucraina ha comportato non tanto un danno economico significativo quanto, piuttosto, un indebolimento strategico di non poco conto, di fatto non preventivato, nei confronti di una Beijing (ma a quanto pare non solo nei confronti di Beijing) con la quale, almeno in apparenza, tutto sembrerebbe aver lasciato intendere (se non altro fino a qualche mese fa) a Putin di non dover fare i conti, o per lo meno di non doverli fare così presto come tutto quanto sta accadendo in questi giorni sembra lasciar in qualche modo trasparire.

Tanto, ovviamente, a causa del fatto che, date le circostanze, la Federazione Russa si è trovata costretta a dover fare molto affidamento sul Renminbi per tutto quello che riguarda gli accordi transfrontalieri con la oltremodo affatto empatica ‘partnership senza limiti[15]’ della Cina e con Paesi terzi tra i quali troviamo da diverso tempo anche la Mongolia e, alquanto stranamente in questo particolare momento, la Turchia.

Non è infatti un caso che da diverso tempo le banche turche hanno preso a convertire il RUB in CNY adoperando un tasso di cambio caratterizzato da diversi punti percentuali al di sopra dei tassi di mercato: un qualcosa che ha indotto un analista della società di investment banking Sberbank CIB, con sede a Mosca, a dichiarare che “Tutti approfittano dell’opportunità di fare soldi nella nostra difficile situazione[16]”—ed a tale proposito è interessante notare come tanto il Ministero degli Esteri Cinese quanto quello della Federazione Russa non hanno al momento fornito alcun commento, il che non poco ha sconcertato gli addetti ai lavori di Ankara.

In questo senso le ripetute dichiarazioni di matrice russa, come pure le fughe di notizie riguardanti la richiesta ufficiale inoltrata della Turchia per essere ammessa tra i BRICS registrate dalla stampa a partire dallo scorso Giugno, il tutto servito in una ambigua ‘salsa’ di smentite,  potrebbero essere parte integrante di un ben architettato piano —ovvero di una sovrapposizione forse non voluta (?) di più piani indipendenti— avente per fine vari scopi tra i quali gli osservatori di Ankara hanno inserito quello rispondente ad un bisogno di aumentare la confusione.

Un bisogno cui io aggiungo: 1) la necessità di testare le possibili reazioni in ambito BRICS ed extra–BRICS; 2) la necessità di dilatare i tempi a tutto vantaggio di Beijing per le ragioni che un funzionario turco restato anonimo ha esplicitato a Newsweek con le seguenti parole: “Siamo anche propensi a credere che la Russia giochi con questa questione per segnare qualche goal in Occidente e al contempo aiuti la Cina a tenerci in sospeso per non affrontare la questione della persecuzione degli Uygury[17]”[18]; come pure 3) la necessità forzare la mano della Turchia affinché l’establishment di Ankara abbandoni negli affari internazionali, gli piaccia o non gli piaccia, la tendenza a seguire i propri ritmi adottando un modus operandi che non consenta più a chicchessia di scrivere “L’Est è Est, l’Ovest è Ovest e la Turchia sta cercando di tracciare il proprio percorso BRICS tra i due”.

Per meglio comprendere quest’ultimo punto si consideri quanto avvenuto alle Nazioni Unite il 14 Dicembre 2022 allorché l’Assemblea Generale dell’organismo approvò una significativa risoluzione a favore di un Nuovo Ordine Economico Internazionale. Ebbene in quella sede circa 123 stati membri, in gran parte i Paesi di Africa, Asia e America Latina, votarono a favore; 50 votarono contro, mentre la Turchia, unica tra tutti i partecipanti alla votazione, si astenne esplicitando così ancora una volta la sua politica estera che è stata sempre quella di un Paese che attraversa il divario tra Europa e Asia, Est e Ovest, Nord e Sud: una posizione fin troppo tollerata dall’Occidente, ma evidentemente inaccettabile se adottata da un Paese membro dei BRICS –e ciò per ovvie ragioni[19].

 

L’Occidente si oppone al resto del mondo nelle votazioni delle Nazioni Unite per un sistema economico più equo, uguaglianza e sviluppo sostenibile[20]

In questo senso il gioco delle parti cui qui abbiamo accennato e consistente di ripetute dichiarazioni contraddittorie e smentite non–smentite sarebbe più facilmente interpretabile come dettato da due esigenze fondamentali:

1)    incrinare la NATO la cui stabilità, per altro,  risulta di fatto già compromessa dalla sola formalizzazione da parte della Turchia della domanda di adesione ai BRICS a prescindere dal buon esito della candidatura. Non è un caso, infatti, che molti altri membri dei BRICS, oltre ai Russi, sostengano l’adesione della Turchia solo perché questa soluzione può ostacolare la NATO. In particolare i Russi auspicano che l’ingresso di Ankara possa favorirli sul versante ucraino, visto che Ankara è ancora mediatrice almeno per quanto riguarda l’esportazione di grano attraverso il Mar Nero.

2)    far comprendere ad Ankara che il tempo dei giochi di prestigio è finito e solo una scelta di campo vera e definitiva le può, a questo punto, guadagnare quel supporto geopolitico e strategico di cui abbisogna per portare avanti il suo progetto politico. In questo senso assume una particolare rilevanza il fatto che il Ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov continui a insinuare che le regole e i valori dei BRICS potrebbero impedire ai Paesi membri di far parte di altre associazioni o blocchi, come la NATO. A conti fatti possiamo aggiungere che stando così le cose i segnali contrastanti di Lavrov hanno fatto crescere non poco i sospetti che la Federazione Russa stia di fatto ricattando alquanto subdolamente il Presidente turco, a sua volta maestro assoluto dell’arte dei ricatti e del doppiogiochismo. E già che ci siamo credo di non discostarmi troppo dal vero ipotizzando che tutto questo puntualizzare e precisare di Lavrov potrebbe essere riguardato come un monito del Cremlino rivolti alla stessa Beijing affinché anch’essa capisca che alla lunga il suo doppiogiochismo rischia di compromettere tutta la sua politica per il troppo volere, ovverosia per quel suo palese puntare alla realizzazione di un duopolio sino–americano mascherato da progetto multicentrico solo per attrarre a sé quanti possono contribuire a darle la forza contrattuale necessaria per confrontarsi con la NATO e gli Stati Uniti. Quella forza che trae la sua ragion d’essere anche e soprattutto dalla alleanza con una Federazione Russa non disposta ad accettare oltre ricatti di sorta (vedi il caso dei rapporti di cambio valutari di cui sopra) e collocamenti in secondo piano. Saprà Beijing ravvedersi per tempo? Non resta che attendere.

In conclusione merita sottolineare che a mettere i bastoni tra le ruote di Erdogan ci si è messa anche l’India del premier ultranazionalista, industriale e anti-musulmano Nahrendra Modi che, ad onor del vero, ha buoni motivi per diffidare di Erdogan.

La questione relativa ai rapporti intercorrenti tra l’India e la Turchia è oltremodo articolata e complessa e merita per certo un approfondimento dettagliato in altra sede, tuttavia, per completezza, ritengo sia bastevole per ora prendere in esame quanto emerso da alcuni verbali trapelati[21] grazie al Nordic Research Monitoring Network (Nordic Monitor), un’organizzazione che si occupa di terrorismo, sicurezza e questioni militari, relativi ad una riunione della Commissione Esteri della Turchia, riunione tenutasi il 10 Luglio 2024, nel corso della quale Mustafa Murat Şeker, numero due della Presidenza dell’Industria della Difesa – SSB (la principale agenzia turca che controlla la produzione e il rifornimento di armi) avrebbe detto:

“L’India, ad esempio, è uno dei primi cinque importatori di armi al mondo, un mercato enorme, che importa circa 100 Mld di USD. Tuttavia, a causa della nostra situazione politica e dell’amicizia con il Pakistan, il nostro Ministero degli Affari Esteri non ci dà un riscontro positivo sull’esportazione di prodotti in India e, di conseguenza, non concediamo alcun permesso alle nostre aziende in questo senso[22]”

Erdogan e Modi[23]

Per dirla con altre parole  l’India è stata inserita nella blacklist turca dei Paesi ai quali la Turchia non intende vendere armi né qualsiasi articolo militare, e questo a causa non soltanto del sostegno turco, che dura da anni, all’islamico Pakistan, nemico numero uno dell’India di Modi, ma anche a causa della politica dell’hindutva, giudicata fortemente anti-musulmana, del governo indiano.

Il contrasto tra i due Paesi membri del G20 si è ampliato nel corso degli anni e, come ha riportato Asia News in un articolo datato 18 Luglio 2024, da un precedente rapporto Nordic Monitor ha attinto informazioni che dimostrato “come la Turchia abbia segretamente aiutato il Pakistan in vari campi: dalla creazione di un esercito informatico finalizzato a plasmare l’opinione pubblica e influenzare i musulmani del sud-est asiatico al lancio di attacchi contro gli Stati Uniti e l’India e alla censura delle critiche al Pakistan[24]“, aggiungendo che “La proposta di istituire un’unità cibernetica è stata avanzata per la prima volta durante i colloqui privati a Islamabad tra l’allora ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu e il suo omologo pakistano Shehryar Khan Afridi il 17 dicembre 2018. La questione è stata poi discussa a un livello superiore e tenuta riservata dalla maggior parte del personale del Ministero dell’Interno pakistano a Islamabad.Il piano è stato approvato anche da Imran Khan, allora primo ministro e ministro degli Interni, durante un incontro con Soylu lo stesso giorno[25]“.

Il contenzioso tra Ankara e Delhi , però, è molto più ampio e tocca anche scelte strategiche nel commercio globale, a cominciare dal disaccordo sulla proposta avanzata da India, Stati Uniti e Unione Europea al vertice del G20 di Nuova Delhi di creare un corridoio economico che colleghi l’Europa all’India, attraversando il Medio Oriente per ferrovia e via mare che, come tale, escludendo la Turchia ha indotto Ankara a manifestare la sua totale opposizione ad una iniziativa che mina il suo ruolo di hub commerciale e favorisce la Grecia e altri concorrenti regionali: una circostanza che fa si che la Turchia sostenga i piani di sviluppo della Cina nell’ambito della Belt and Road Initiative, ossia della cosiddetta “nuova Via della Seta”.

In questo senso sono molti gli aspetti che promettono di giocare un ruolo attivo nel processo di inserimento di Ankara tra i BRICS, un processo che sarà oltremodo utile monitorare per comprendere quali sono i fattori principali di tenuta dei BRICS, quali i fattori di debolezza, nonché il peso delle diverse leadership alla guida dei Paesi membri nell’ambito del gruppo.

Sic stantibus rebus risulta particolarmente interessante il rilievo fatto da Ozgur Unluhisarcikli, analista del think tank German Marshall Fund, per il quale “Sebbene i Brics siano un importante raggruppamento internazionale, non riescono a essere una forza coesa e unita come l’UE[26]” ed “In quanto tale, non può fungere da alternativa all’UE per la Turchia, almeno per ora[27]”.

Certo è che la questione della domanda potrebbe mettere la Turchia in una posizione difficile, soprattutto se i BRICS dovessero farla aspettare per molti anni per l’adesione completa come già avvenuto per l’adesione alla EU che Ankara attende dagli anni ’60.

Al fine di approfondire la questione delle possibili conseguenze dell’ingresso di Ankara nei BRICS quanto segue ne propone una disamina che ritengo, per quanto non esaustiva, meriti una, se non altro, attenta riflessione.

La Turchia nei BRICS: il ‘Cavallo di Troia’ di Beijing nella Rocca della NATO

Recep Tayyip Erdogan nei BRICS? La notizia circolata in questi giorni è di quelle che dovrebbero far riflettere, ma che al solito passano sotto silenzio, o quasi, gli aspetti più preoccupanti del problema rappresentato da Ankara e da uno dei più controversi e spregiudicati politici del momento, il Presidente turco Erdogan, da oltre 20 anni sullo scena internazionale a cui la NATO si ostina per molti versi, come vedremo, assurdamente ad affidare la difesa dell’intero suo fronte Sud in uno dei più complessi momenti dell’intera storia dell’Occidente nonché del Medio e del vicino Oriente.

Poiché come noto il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan passa per essere un consumato abile politico, freddo e pragmatico che sa giocare al meglio le proprie carte, è ovvio che apprendere della sua richiesta di essere ammesso a far parte dei BRICS non può non indurci a considerare –o quanto meno ad ipotizzare– che il motivo della richiesta sia stato la naturale conseguenza della presa di coscienza tanto dei continui vacillamenti della NATO, quanto del fatto che gli USA attuali non sono a tal segno più quelli di una volta da aver imposto al Governo turco di andare prontamente alla ricerca di un altro protettore trovandolo nella Cina.

La Cina, perché si scrive BRICS, ma si legge Cina e non NWO multipolare.

A tanto si è giunti in quanto il fatto che la Turchia punti da anni ad essere una potenza regionale desiderosa di riportare in auge certi fasti dell’epoca imperiale ottomana pre WWI, si coniuga a tal segno malamente tanto con le titubanze ed i  vacillamenti di una NATO sempre meno in grado di offrire affidabili garanzie di supporto, quanto con la presenza del proprio diretto competitor regionale, l’Iran. nei BRICS, da aver di fatto  imposto giocoforza ad Recep Tayyip Erdogan un sempre più gravoso barcamenamento tra il tradizionale atlantismo, l’europeismo deluso di maniera e da ultimo il novello anti-atlantismo di matrice cinese da indurlo alla fine a formulare classe richiesta oggetto del presente articolo.

In un tale contesto duole dover constatare che qualora la NATO avesse una diversa consapevolezza di sé meglio farebbe ad estromettere la Turchia, rafforzare il fronte Sud puntando sulla Grecia ed il potenziamento di Cipro provvedendo, nel contempo, a fermare in prima persona tutti quei flussi migratori che ora una EU falsamente ‘accogliente’, fa bloccare da Erdogan e Orban nel vano tentativo di salvare una faccia che ha già perso da tempo. Tanto se la NATO e la EU fossero…

Ora poiché la geopolitica è anche un complesso gioco di reali potenzialità, nonché di interessi economici e strategici che vanno, per quanto possibile, descritti valutando con oggettività le convenienze che spingono gli uni e gli altri ad agire, ovvero a non agire, è ovvio che, come vedremo a breve, nel presente contesto appare sì decisamente poco utile e soprattutto oltremodo inopportuna e rischiosa dal punto di vista Occidentale la perdurante presenza di Ankara nella NATO, ma nel contempo non praticabile al momento la sua estromissione ipso facto.

È  pertanto sulla base di questa considerazione che leggendo il tutto dal punto di vista turco che la scelta di Erdogan di chiedere di entrare a far parte dei BRICS è apparsa ad Erdogan quantomai non solo opportuna, ma decisamente percorribile se non altro perché per tale via Ankara ha la possibilità di assicurarsi il totale supporto di Russia e Cina nel pluridecennale contenzioso con i Curdi.

Della Turchia nei BRICS ha parlato Anna Di Rocco il 3 Settembre 2024 su Milano Finanza in un articolo intitolato “La Turchia chiede formalmente di entrare nei Brics, è il primo Paese della Nato a farlo[28]” che ha ripreso un articolo apparso su Bloomberg il 2 Settembre con il titolo “Turkey Bids to Join BRICS in Push to Build Alliances Beyond West[29]”che a sua volta ha indotto l’ANSA a ricercare una conferma ufficiale di fatto ottenuta dal portavoce del partito AKP del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Omer Celik, e diffusa con una nota che testualmente recita “Ankara ha ufficialmente confermato di volere entrare nei BRICS, l’organizzazione delle economie emergenti di cui fanno già parte Brasile, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, India, Iran, Russia e Sudafrica[30]”.

Lo stesso Omer Celik, stando a quanto riferito dalla rete HaberTurk, avrebbe affermato, come riportato dalla nota ANSA, quanto segue: “Il nostro presidente ha detto più volte che vogliamo diventare un membro dei Brics. Se ci saranno sviluppi concreti su questo lo condivideremo[31]”, il che confermerebbe, tra le altre cose, quanto riferito da Bloomberg secondo cui il progetto di affiliazione di Ankara risalirebbe –e sarebbe stato di conseguenza formalizzato con una richiesta ufficiale– a diversi mesi fa.

La richiesta sarebbe stata inoltrata, a detta di Ankara, a seguito di una decisione legata alla, polemicamente sottolineata dall’amministrazione di Erdogan, mancanza di progressi registrati nel tentativo di aderire all’Unione Europea[32], nonché per dare concreta forma al tentativo di rafforzare la propria posizione sullo scacchiere politico e nell’economia globale dei prossimi decenni.

Il gruppo dei Paesi emergenti, stando a quanto reso noto, discuterà la proposta durante il vertice del 22–24 Ottobre 2024 a Kazan, in Russia,  dove per certo la Turchia non mancherà di sottolineare che il proprio obiettivo è quello ampliare i legami diplomatici, continuando a rispettare gli obblighi di membro della Nato: in altri termini, a voler credere ad Erdogan, per migliorare “contemporaneamente le relazioni con l’Oriente e l’Occidente[33]” ed in tal modo per far sì che la Turchia possa “diventare un Paese forte, prospero e prestigioso[34]”, come detto da Erdogan parlando a Istanbul a fine Agosto.

A quanto riferito da Bloomberg il Ministro degli Esteri e la Presidenza della Turchia, interpellati a tale proposito avrebbero rifiutato di commentare[35].

Con tutta la più buona volontà credere anche solo ad una parola di Erdogan è praticamente impossibile per tutta una serie di ragioni comprovate da fatti che vanno dal feroce contenzioso con la Grecia sia per quello che riguarda le controversie territoriali, che per quello che concerne la sovranità sui giacimenti di gas naturale che sono stati scoperti nei fondali del Mediterraneo Orientale.

Tanto per non parlare della ingerenza e presenza in Libia di una Turchia che continua ad agire cercando in ogni modo di imporre la propria supremazia sull’intero fronte Sud del Mediterraneo, come testimonia la cospicua presenza di basi e truppe turche nello specifico scacchiere e non solo.

Nel Settembre del 2022 Daniele Santoro, in un articolo apparso sulla rivista Limes con il titolo “La Turchia punta a dominare il Mare Nostrum”, ha evidenziato come Erdogan fosse già a quel tempo lanciatissimo nel proporsi quale regista dello spazio medioceanico.

Nell’articolo si poteva leggere di come la cosiddetta Patria Blu canonizzasse all’epoca la svolta marittima di Ankara, una svolta testimoniata dalla presa di Tripoli, dall’attivismo nel Mediterraneo orientale e dall’intesa, ovviamente opportunistica (esattamente con lo stesso spirito con cui ora si propone strenuo sostenitore della causa palestinese e benevolo Santo Protettore di Hamas) con Israele. All’epoca a questo andavano pure contemplate la spartizione del Mar Nero con Mosca e la mai sopita brama di possesso delle isole greche da sempre oggetto del desiderio da conseguire anche con le armi.

Fonte Limes[36]

I Turchi già nel 2022 hanno fatto bella mostra del loro gusto per la dimensione acquatica della competizione geopolitica, entrando con irruenza nella mischia mediterranea (a tale proposito vale la pena di prendere in considerazione un approfondito lavoro del 14 Febbraio 2022, avente per oggetto i contesi giacimenti sottomarini di gas naturale presenti nei fondali del Mediterraneo Orientale ed intitolato “Egeo, la frontiera più calda d’Europa[37]”) e lanciandosi a capofitto nella decisiva partita che ha come posta in gioco l’accesso agli oceani, dunque il controllo delle rotte e dei colli di bottiglia da cui dipende l’estroversione marittima dell’Anatolia, premurandosi ovviamente di turchizzare la propria crescente proiezione nel Mediterraneo.

A tale proposito è alquanto istruttivo dare una occhiata alla carta proposta da Laura Canali di seguito proposta e caratterizzata dal significativo titolo “LA MARCIA TURCA”.

A lasciare non poco perplesso chi osserva tutto questo dall’esterno è stata  sicuramente la reazione dell’Unione Europea alla notizia, una reazione documentata da una nota dell’ANSA del 3 Settembre in cui si legge con non poco disappunto quanto affermato dal portavoce del Servizio di Azione Esterna della EU: “La Turchia ha il diritto di scegliere e costruire le sue alleanze come meglio crede[38]”.

Fonte Limes[39]

Una dichiarazione a dir poco, per molti versi, imbarazzante in quanto testimoniante tutta la debolezza politica ed istituzionale di quella EU che un tempo ormai oltremodo remoto ha cercato in qualche modo di incarnare l’orgoglioso sogno europeista sorto dalle ceneri del Secondo Conflitto Mondiale.

In questo senso la chiusura della dichiarazione rilasciata dal summenzionato portavoce che ha sottolineato come l’Unione Europea e i BRICS siano due organizzazioni “totalmente diverse[40]” per “struttura e obiettivi[41]” (e già su questo ci sarebbe di che obiettare), aggiungendo che “La Turchia resta un Paese candidato (ndr. anche se non è dato capire su quali basi) all’ingresso nell’Ue nonché partner dell’Unione doganale e questo comporta alcune limitazioni, come il rispetto degli accordi commerciali o in generale il sostegno ai valori della EU[42]”, non lascia più spazio ad alcuna illusione (in primo luogo sul grado di comprensione del fenomeno BRICS) e di fatto impone una rielaborazione critica di tutto quanto sin qui avvenuto per cercare, se non altro, di fare il punto della situazione per quella che è e non per quello che si vorrebbe che la EU fosse e rappresentasse.

Detto per inciso, a questo punto appare decisamente interessante capire  quali sarebbero secondo l’establishment comunitario i non meglio definiti  valori della EU che la Turchia rispetta e sostiene, visto che non abbiamo che l’imbarazzo della scelta per evidenziare quali sistematicamente viola, come del resto si può evincere anche solo leggendo a campione alcuni degli articoli pubblicati in epoca ‘non sospetta’ dal quotidiano online “Gli Stati Generali” in collaborazione con gli analisti ed i ricercatori della IBI World[43]:

1)    “Così la Turchia tritura e uccide gli intellettuali[44]” di Silverio Allocca (16 Marzo 2022)
2)    “Quando il crimine si fa Stato: la Turchia di Kamer e Erdogan[45]” di Paolo Fusi (20 Gennaio 2021);
3)    “Gezi Park: il simbolo della Turchia al collasso[46]” di Simone Coccia (16 Aprile 2021) nel quale in apertura si può leggere, a sempiterna testimonianza del modus operandi di Erdogan, quanto segue: “A guardare da lontano, c’è il rischio di fraintendere: la Turchia fa la voce grossa, sia diplomaticamente che militarmente, come un giocatore di poker che rilancia continuamente, senza fermarsi mai. Ma la realtà è che Erdogan è un giocatore allo stremo, che ha dissanguato economicamente il proprio Paese ed ora, oltre ad aumentare il livello della violenza repressiva delle sue squadracce, non sa che fare. E quindi cambia, improvvisamente, il quadro delle sue alleanze mediorientali: da protettore della Palestina ed amico dell’Iran si trasforma in sodale delle monarchie arabe, della dittatura egiziana e del governo israeliano che, da alcuni anni, sfidano gli equilibri geopolitici mondiali con le loro minacce a la loro speranza di far scomparire il Qatar, Gaza, la Fratellanza Musulmana e chiunque si opponga ai disegni di Mohammed bin Zayed Al-Nahyan”[47].

Quest’ultimo passaggio merita di essere tenuto alquanto presente proprio ora che Erdogan, cambiate opportunisticamente le carte in tavole, ha da tempo preso ad interpretare il ruolo del protettore dei Palestinesi e dello strenuo sostenitore della loro causa accogliendo e curando  i miliziani feriti a Gaza, nonché ospitando a vario titolo perfino gli esponenti di spicco di Hamas che al momento tratta da patrioti (un comportamento, quest’ultimo che, comunque la si voglia mettere, non può non farci pensare ad un occhio di riguardo foriero di un possibile eventuale utilizzo futuro dei riconoscenti miliziani e vertici di Hamas  –qualora fosse necessario– in qualche ambito regionale di interesse per l’establishment levantino, a cominciare dal rovente Kosovo.

Da quel martoriato Kosovo dove attualmente a capo della KFOR troviamo il Maj. Gen. turco Özkan Ulutaş che dai Serbi locali è stato fin da subito percepito a causa della sua nazionalità (quindi prescindendo dalla valutazione della professionalità dell’altro ufficiale che non pare essere stata presa in considerazione, come sempre purtroppo accade in questi casi), al pari dell’incremento del contingente turco di stanza nella regione, come una provocazione di non poco conto palesemente supportata –e questo è purtroppo un dato oggettivo– da una NATO di cui non si comprende bene (o per meglio dire lo si comprende fin troppo, quantunque a caro prezzo e discapito dei Kosovari) a quale titolo Ankara faccia ancora parte adusa come è a riservarle sistematicamente sorprese a non finire, come quando a Gennaio e Febbraio 2021, dopo dieci anni di guerra diplomatica, economica e minacce militari tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti (di cui si può diffusamente leggere in un interessante articolo del 15 Marzo 2021, di Aslı Aydıntaşbaş e Cinzia Bianco, a cura dello European Council on Foreign Relations, intitolato “Useful enemies: How the Turkey-UAE rivalry is remaking the Middle East[48]”) gli analisti internazionali segnalarono che l’atteggiamento ostile tra i due Paesi stava cambiando, come del resto si può –ad esempio– evincere dalla lettura di articoli apparsi a vario titolo sul Daily Sabah del 24 Febbraio 2021[49],  sul TRTWorld[50] nonché sull’MEM– Middle East Monitor del 19 Gennaio 2021[51]..

Ed infatti a Marzo 2021 il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu  ammise che il cammino della diplomazia aveva rimesso in moto le relazioni tra Ankara ed il Cairo – il che era in aperta contraddizione con la protezione fino a quel momento accordata alla Fratellanza Musulmana[52], agli Hezbollah ed alla causa palestinese come si può leggere sul WPR–World Politics Review del 25 Marzo 2021[53], ovvero sul Carnegie Endowment for International Peace del 19 Marzo 2021[54].

È interessante notare come una volta ottenuta la promessa di appoggio diplomatico e commerciale dall’alleanza dei Paesi del Golfo, Erdogan ha quindi ripreso a mostrare i muscoli: il 19 marzo 2021, il presidente Erdogan ha infatti emesso un decreto[55] dal tono alquanto scarno e perentorio, per non dire arrogante, per ritirare la Turchia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, un trattato rivoluzionario fortemente sostenuto dal movimento per i diritti delle donne in Turchia, ma non solo, come si può apprendere da in un interessante lavoro del 24 Marzo 2021 intitolato “Turkey: Erdogan’s Onslaught on Rights and Democracy Targets Women, Kurds, LGBT People, Democratic Safeguards[56]“, letto il quale credo sia decisamente evidente oltre ogni ragionevole dubbio la lontananza della Turchia dai valori minimi Occidentali ed Europei e, conseguentemente, ancora più incomprensibile la dichiarazione del citato portavoce del Servizio di Azione Esterna della EU.

A tale proposito vale qui la pena di porre in evidenza che l’attacco di Hamas a Israele ha portato in primo piano la questione del “risveglio” dei gruppi islamici radicali nella regione, in particolare in Kosovo: un pericolo da cui gli esperti del settore mettono in guardia tutti noi da anni per tutta una serie di ragioni che ritroviamo esposte anche in più o meno recenti rapporti del Dipartimento di Stato statunitense, rapporti che hanno a più riprese individuato nel Kosovo una  base di reclutamento per i combattenti delle organizzazioni terroristiche nelle zone di conflitto in tutto il mondo. Secondo alcuni dati, circa 400 persone provenienti dal Kosovo hanno militato nelle fila dell’ISIS in Siria negli anni che furono.

Secondo l’analista geopolitico Predrag Rajic qualsiasi escalation del conflitto in Medio Oriente ha aumentato le possibilità di risveglio di gruppi radicali in tutto il mondo, compresi i Balcani occidentali e il Kosovo. Un concetto che Rajic a fine Ottobre dello scorso anno ha espresso con le seguenti inequivocabili parole: “Il pericolo di risvegliare queste cellule dell’Islam radicale che usano metodi indiscutibilmente terroristici è esistito negli ultimi decenni. In questa regione, così come in tutta Europa e nel mondo, abbiamo assistito a tali azioni nell’UE, nella Federazione Russa e negli Stati Uniti nel 2001. Quindi, questo pericolo esiste in generale. Ogni escalation del conflitto in Medio Oriente, con un numero maggiore di vittime, radicalizza ulteriormente queste cellule che già esistono e aumenta la probabilità del loro risveglio e della loro rinnovata attività[57]”.

Alla luce di tali eventi risulta oltremodo evidente che un cambiamento ulteriore di toni e posizioni possa essere assunto da Ankara una volta che il Paese sarà entrato a far parte dei BRICS ed allineato per ovvie ragioni alle posizioni di Beijing

Resta ovviamente da vedere quale margine di autonomia il nuovo inquilino della Casa Bianca riterrà di riservare a Presidente turco nel prossimo quadriennio: se sarà Trump il prescelto è facile presumere che Erdogan sarà chiamato a dare delle risposte chiare in quanto già in passato il Tycoon  ha ben poco gradito certe prese di posizione di un po’ troppo autonomo ed intraprendente Presidente turco che in questo caso, come membro dei BRICS, dovrà tenere in debito conto che certi equilibrismi tra Washington e Beijing non saranno più tollerati tanto dall’una quanto dall’altra parte.

Se in passato la complessità delle relazioni della Turchia con gli Stati Uniti, complessità dovuta in primo luogo alla vicinanza di Ankara a Mosca, non ha portato ad una rottura definitiva dei rapporti, non così potranno essere i rapporti da qui in avanti in quanto una Turchia nella NATO e nei BRICS equivale ad un cavallo di Troia cinese entro le mura della cittadella fortificata NATO, quella cittadella per la cui preservazione gli Stati Uniti non si sono certamente fatti scrupolo di avallare quanto avvenuto al Nord Stream 1&2.

Certo è che l’ingresso della Turchia nei BRICS ha anche una ulteriore valenza strategica di notevole peso in un contesto di guerra globale atipica come quella in atto che vede in Ankara la struttura affatto secondaria di contenimento di imponenti flussi migratori che qualora fossero indirettamente controllati da Mosca e Beijing potrebbero non poco essere utilizzati per minare alquanto efficacemente la tenuta di quel che resta della EU, nonché della coesione dei Paesi membri della EU in ambito NATO e di conseguenza della tenuta stessa dell’Alleanza Atlantica.

Da questo punto di vista è lecito supporre che ad Ottobre 2024 non solo Ankara sarà accolta a braccia aperte nei BRICS, ma anche che beneficerà di ogni supporto possibile nel senso desiderato da Erdogan, il che comporta la necessità di attivare da subito un attento monitoraggio di tutto quanto avverrà da quel momento in poi per evitare oltremodo spiacevoli sorprese.

Allorché ho proposto le mie considerazioni in un recente articolo pubblicato sul Nuovo Giornale Nazionale con il titolo “La Turchia nei BRICS: il ‘Cavallo di Troia’ di Beijing nella Rocca della NATO[58]” tra i vari commenti raccolti ve ne stato uno che mi ha particolarmente colpito che voglio qui condividere in quanto offre lo spunto per una riflessione storiografica che reputo possa tornare alquanto utile.

Testualmente il commento recitava: “È una buona notizia, come lo sarebbe se le grandi economie asiatiche musulmane e i Paesi del Golfo si unissero anche loro ai BRICS. ‘Sarebbe un bene perché finché non ci sarà una rivoluzione cognitiva in Occidente sui paradigmi distruttivi e nichilisti che porta avanti, andremo dritti verso una WWIII nucleare’. I paradigmi di Wall Street e Hollywood, cioè della supremazia totalizzante del valore di mercato e finanza virtuale su valori intrinsechi ed economia reale, non solo hanno fallito nel loro tentativo maldestro di esportarli e imporli nelle galassie Islam, Africa e Cina, ma hanno dentro i semi della distruttivitá e del nichilismo nella eliminazione della storia e la diminuzione all’ininfluenza di atavismo, culture, tradizioni, estetica, valori, storicismo”.

Personalmente ritengo che  questo sarebbe vero se è solo se i BRICS fossero ciò che tutti credono che siano: un qualcosa di realmente innovativo.

Purtroppo tra la narrativa dei BRICS ed il mondo reale passa la stessa differenza intercorrente tra l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese, che rivoluzione non fu bensì lo strumento con cui la grossa borghesia imprenditoriale riuscì ad abbattere l’Ancien Regime clerico-nobiliare per riedificarlo, con l’aiuto delle illuse masse popolari, in forma tripartita di tipo clerico-nobiliare-alto borghese.
In questo senso oggi l’idea BRICS è ciò che permette di stimolare i Paesi del Sud del mondo affinché con la loro fattiva partecipazione permettano alla Cina di abbattere il Vecchio Ordine Mondiale bipolare (o quel che ne resta) per riedificarlo esattamente come quello con l’unica differenza che non sarà russo-statunitense bensì sino-statunitense!

Alla Russia credo che la Cina abbia destinato lo stesso ruolo (resta da vedere quanto attuabile) che la grossa borghesia imprenditoriale riservò alla piccola e media borghesia dei tempi che seguirono la Rivoluzione Francese: un ruolo di comprimario non paritetico.

I BRICS in questo senso sono altro dalla filosofia BRICS… molto altro, con tutto ciò che questo potenzialmente può implicare ed al momento implica ed ha implicato.

Una domanda sorge spontanea: “A quando la richiesta di ammissione ai BRICS da parte di Budapest?

 

 

 

 

 

[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/09/13/turchia-altro-schiaffo-per-erdogan-la-richiesta-di-adesione-ai-brics-viene-messa-in-sospeso-da-russia-cina-e-india/7692124/
[2] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[3] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[4] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[5] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[6] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[7] https://www.bolutakip.com/rusya-duyurdu-erdogan-brics-zirvesine-katilacak
[8] https://apnews.com/article/russia-turkey-brics-bloc-developing-economies-525b68836de1301187c5805ead872b65
[9] https://apnews.com/article/russia-turkey-brics-bloc-developing-economies-525b68836de1301187c5805ead872b65
[10] https://apnews.com/article/russia-turkey-brics-bloc-developing-economies-525b68836de1301187c5805ead872b65
[11] https://www.newsweek.com/china-corners-russia-exchange-rate-hikes-1939641
[12] https://www.newsweek.com/china-corners-russia-exchange-rate-hikes-1939641
[13] https://www.xe.com/it/currencycharts/?from=CNY&to=RUB&view=5Y
[14] https://www.newsweek.com/china-corners-russia-exchange-rate-hikes-1939641
[15] https://www.newsweek.com/putin-xi-reaffirm-russia-china-ties-1901765
[16] https://www.newsweek.com/china-corners-russia-exchange-rate-hikes-1939641
[17] Gli Uygury rappresentano la cospicua maggioranza musulmana (circa 25 milioni di persone) ed etnica autoctona della regione dello Xinjiang nel nord-ovest della Cina. Due secoli fa avevano una propria repubblica autonoma poi finita sotto il giogo dell’Unione Sovietica e nel 1949 data a Mao da Stalin in cambio di altre zone di confine cinesi
[18] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/09/13/turchia-altro-schiaffo-per-erdogan-la-richiesta-di-adesione-ai-brics-viene-messa-in-sospeso-da-russia-cina-e-india/7692124/
[19] https://geopoliticaleconomy.com/2022/12/22/west-un-vote-economic-system-equality/
[20] https://geopoliticaleconomy.com/2022/12/22/west-un-vote-economic-system-equality/
[21] https://www.asianews.it/news-en/Turkey-imposes-a-comprehensive-ban-on-arms-sales-to-India-61175.html#_edn1
[22] https://www.asianews.it/news-en/Turkey-imposes-a-comprehensive-ban-on-arms-sales-to-India-61175.html#_edn1
[23] https://www.asianews.it/news-en/Turkey-imposes-a-comprehensive-ban-on-arms-sales-to-India-61175.html#_edn1
[24] https://www.asianews.it/news-en/Turkey-imposes-a-comprehensive-ban-on-arms-sales-to-India-61175.html#_edn1
[25] https://www.asianews.it/news-en/Turkey-imposes-a-comprehensive-ban-on-arms-sales-to-India-61175.html#_edn1
[26] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/09/13/turchia-altro-schiaffo-per-erdogan-la-richiesta-di-adesione-ai-brics-viene-messa-in-sospeso-da-russia-cina-e-india/7692124/
[27] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/09/13/turchia-altro-schiaffo-per-erdogan-la-richiesta-di-adesione-ai-brics-viene-messa-in-sospeso-da-russia-cina-e-india/7692124/
[28] https://www.milanofinanza.it/news/la-turchia-chiede-formalmente-di-entrare-nei-brics-e-il-primo-paese-della-nato-a-farlo-202409021724165799
[29] https://www.bloomberg.com/news/articles/2024-09-02/turkey-submits-bid-to-join-brics-as-erdogan-pushes-for-new-alliances-beyond-west
[30] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/09/03/la-turchia-conferma-di-volere-entrare-nei-brics_abe5f129-9d29-4547-8b83-f7aa479e4fb8.html
[31] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/09/03/la-turchia-conferma-di-volere-entrare-nei-brics_abe5f129-9d29-4547-8b83-f7aa479e4fb8.html
[32] https://www.milanofinanza.it/news/la-turchia-chiede-formalmente-di-entrare-nei-brics-e-il-primo-paese-della-nato-a-farlo-202409021724165799
[33] https://www.milanofinanza.it/news/la-turchia-chiede-formalmente-di-entrare-nei-brics-e-il-primo-paese-della-nato-a-farlo-202409021724165799
[34] https://www.milanofinanza.it/news/la-turchia-chiede-formalmente-di-entrare-nei-brics-e-il-primo-paese-della-nato-a-farlo-202409021724165799
[35] https://www.milanofinanza.it/news/la-turchia-chiede-formalmente-di-entrare-nei-brics-e-il-primo-paese-della-nato-a-farlo-202409021724165799
[36] https://www.limesonline.com/rivista/ankara-e-in-libia-per-restarci-14647148/
[37] https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/egeo-la-frontiera-piu-calda-deuropa/
[38] https://www.ansa.it/europa/notizie/qui_europa/2024/09/03/turchia-nei-brics-puo-avere-le-alleanze-che-vuole_0bf02d27-4cfc-456f-97e6-70840f15e9c9.html
[39] https://www.limesonline.com/rivista/la-turchia-punta-a-dominare-il-mare-nostrum-14640827/
[40] https://www.ansa.it/europa/notizie/qui_europa/2024/09/03/turchia-nei-brics-puo-avere-le-alleanze-che-vuole_0bf02d27-4cfc-456f-97e6-70840f15e9c9.html
[41] https://www.ansa.it/europa/notizie/qui_europa/2024/09/03/turchia-nei-brics-puo-avere-le-alleanze-che-vuole_0bf02d27-4cfc-456f-97e6-70840f15e9c9.html
[42] https://www.ansa.it/europa/notizie/qui_europa/2024/09/03/turchia-nei-brics-puo-avere-le-alleanze-che-vuole_0bf02d27-4cfc-456f-97e6-70840f15e9c9.html
[43] https://ibiworld.eu/en/
[44] https://www.glistatigenerali.com/diritti-umani/merda-in-turchia/
[45] https://www.glistatigenerali.com/criminalita_partiti-politici/quando-il-crimine-si-fa-stato-la-turchia-di-kamer-e-erdogan/
[46] https://www.glistatigenerali.com/geopolitica_questione-islamica/gezi-park-il-simbolo-della-turchia-al-collasso/
[47] https://www.glistatigenerali.com/geopolitica_questione-islamica/gezi-park-il-simbolo-della-turchia-al-collasso/
[48] https://ecfr.eu/publication/useful-enemies-how-the-turkey-uae-rivalry-is-remaking-the-middle-east/
[49] https://www.dailysabah.com/opinion/columns/end-of-orb-alliance-a-change-in-turkey-gulf-ties
[50] https://www.trtworld.com/opinion/the-uae-wants-to-normalise-relations-with-turkey-is-it-genuine-43251
[51] https://www.middleeastmonitor.com/20210119-turkey-and-the-uae-move-to-improve-relations/
[52] https://dctransparency.com/de/can-turkey-break-with-the-muslim-brotherhood/
[53] https://www.worldpoliticsreview.com/articles/29521/turkey-eez-diplomacy-leads-to-a-thaw-in-turkey-egypt-relations
[54] https://carnegieendowment.org/posts/2021/03/will-the-page-turn-on-turkish-egyptian-relations?lang=en
[55] https://www.resmigazete.gov.tr/eskiler/2021/03/20210320-49.pdf
[56] https://www.hrw.org/news/2021/03/24/turkey-erdogans-onslaught-rights-and-democracy
[57] https://www.kosovo-online.com/vesti/politika/rajic-zaostravanje-sukoba-na-bliskom-istoku-povecava-opasnost-od-budjenja-radikalnih
[58] https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/estero/politica-internazionale/19632-la-turchia-nei-brics-il-cavallo-di-troia-di-beijing-nella-rocca-della-nato.html

TAG: #BRISC, Turchia
CAT: Geopolitica

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