La discontinuità paga
Nei secoli passati l’annessione di territorio e il credo religioso sono state le cause principali delle guerre avvenute in Europa. Per fortuna oggi le dispute non avvengono più sul campo di battaglia ma negli uffici dei ministeri economici e delle varie cancellerie nazionali in quanto la potenza di fuoco di uno stato moderno non è più commisurata dall’esercito e dalle dotazioni militari ma dalla solidità della propria economia e dal valore del rispettivo debito.
La guerra crea debito in quanto uno stato deve armarsi, deve pagare le truppe e pagare la propaganda, il tutto moltiplicato per la durata del conflitto. Quando vince depreda quello sconfitto recuperando così le risorse impegnate, ma quando perde si trova, oltre a rimborsare il proprio debito anche a risarcire i danni ai vincitori. In un contesto di pace come quello odierno i paesi con un’economia più debole e un debito pubblico elevato devono confrontarsi anche aspramente con le istituzioni internazionali per ottenere ulteriore credito e rinegoziare talvolta il rimborso di quello già ottenuto.
Il primo conflitto mondiale finì con la sconfitta della Germania ed i paesi vincitori pretesero il risarcimento dei danni e delle spese sostenute. L’insieme delle condizioni del risarcimento è conosciuto con il termine di Riparazioni: esse sarebbero dovute avvenire sia in denaro, con altissime somme da pagare per decine di anni, che in territorio, come ad esempio la cessione della regione della Ruhr alla Francia (situata nella parte centro occidentale della Germania ricca di materie prime come il carbone ed il ferro). I termini del risarcimento portarono però la Germania alla condizione di povertà e di crisi sociale in quanto non gli permisero di ricostruire la propria economia e stabilizzare il tessuto sociale.
Privo di risorse e sollecitato dalle scadenze dei creditori il governo tedesco, pur essendo consapevole del rischio inflazionistico, decise di stampare denaro da immettere nell’economia nazionale ma i risultati furono comunque modesti in quanto mancava una cabina economica di regia nazionale poiché le istituzioni politiche e la capacità industriale del paese erano state poste sotto tutela dei paesi vincitori. Solo dopo gli effetti disastrosi della grande crisi economica del 1929 che colpì tutto il mondo occidentale si comprese che se non si fosse cambiato qualcosa si sarebbe portata la Germania al fallimento. Nel 1932 venne così deciso di accantonare il problema delle riparazioni e di sostituirlo con obbligazioni al 5% per tre miliardi di Marchi. Però la questione che più scosse l’opinione pubblica tedesca fu l’articolo 231 del Trattato di pace con cui la Germania dovette riconoscere che la responsabilità del conflitto fosse interamente sua. Non solo un indennizzo monetario ma le riparazioni divennero anche l’espiazione di una colpa. Questa imposizione generò così nell’opinione pubblica il sentimento di una punizione ingiusta che seminò rabbia, rancore e un desiderio di rivalsa. Stremata da anni di umiliazioni gettò la spugna e il 30 gennaio del 1933 Hitler venne eletto Cancelliere della Germania.
Anche nella coalizione dei vincitori si dovette affrontare il tema dei rimborsi in quanto gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna, oltre a finanziare la loro parte della guerra, finanziarono la maggior parte dei paesi della coalizione come Francia, Italia, Russia e Belgio. Il nostro paese contrasse un debito totale di 2 miliardi, 138 milioni, 543 mila e 582 dollari con gli Stati Uniti e 467 milioni di sterline dalla Gran Bretagna e l’accordo per il rimborso con gli Stati Uniti fu che il nostro paese avrebbe estinto il suo debito in 62 anni, fino al 1987, con una quota annuale di 80 milioni di dollari. L’accordo italiano avvalora la tesi che per gli alleati venne fatta una scelta politica diversa meno radicale allo scopo di non pesare in modo eccessivo sulla crescita e sull’economia del paese.
Nella Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti, consapevoli sia degli errori del passato (ovvero degli effetti laceranti e vessatori delle riparazioni imposte alla società tedesca) che della necessità di arginare le tentazioni comuniste nelle società occidentali, intrapresero una politica opposta rispetto a quella seguita nella Grande Guerra. Infatti pur partecipando attivamente al conflitto bellico, grazie alla legge “lend-lease” del 1941, fornirono agli alleati cibo, carburante e materiale bellico richiedendo in cambio il solo uso, per lunghi periodi, di territori su cui installare le proprie basi militari. Anche a conflitto terminato, ai paesi vinti e a quelli della coalizione vincente, non chiesero rimborsi in denaro ma ne decisero di finanziare la ricostruzione con il famoso Piano Marshall. Il nostro paese dovette comunque indennizzare gli stati occupati.
Con l’istituzione della Comunità Europea, della BCE (Banca Centrale Europea) e dell’Euro la finanza pubblica e il deficit di ogni singolo stato sono diventati motivo di frizione tra i paesi aderenti. Infatti all’interno della comunità europea si sono delineati due schieramenti: i paesi virtuosi ( di cui la Germania è la capofila) che nel corso degli anni sono stati in grado di contenere il loro debito pubblico e i paesi meno virtuosi ( tra cui l’Italia, la Spagna ed in particolare la Grecia) che nel corso degli anni hanno accumulato un enorme debito pubblico.
La Grecia divenne membro della Comunità europea nel 1981 pur non soddisfacendo i parametri richiesti dal Trattato di Maastricht sul livello del deficit e del debito, grazie ad artifizi contabili messi in atto dal provvidenziale intervento di Goldman Sachs. Il paese ha sempre vissuto in condizioni di bancarotta a causa di specifici fattori endogeni quali una pubblica amministrazione clientelare e costosa, un diffusa evasione fiscale, l’elargizione di privilegi fiscali ad alcuni gruppi sociali (in particolare ad armatori e Chiesa Ortodossa), un bilancio militare e un Welfare State troppo costosi per le risorse finanziarie del paese. Anche dopo l’annessione all’eurozona la Grecia ha continuato a fare poco o nulla per rimuovere le cause originarie del proprio debito.
Dopo lo scoppio della bolla economica statunitense del 2008 e la conseguente crisi economica mondiale la situazione economica greca è andata fuori controllo. Alla richiesta di finanziamenti straordinari la Commissione Europea, con in prima linea la Germania, richiese al paese drastiche politiche di risanamento e di modernizzazione. Il governo Papandreou annunciò così misure che trovarono la contrarietà sia delle rappresentanze politiche e sociali del paese (per le ricadute sull’economia e sulla società) che delle istituzioni europee in quanto considerate insufficienti. Scoppiò così, oltre alla crisi del debito, anche una crisi diplomatica con la Germania; uno scontro verbale che si è protratto fino ai giorni nostri con l’attuale governo Tsipras. Attualmente la Grecia riceve finanziamenti sia dalla Banca Centrale Europea che dal Fondo Monetario Internazionale alla condizione di veder realizzate le riforme strutturali ed economiche richieste.
E’ proprio nel rapporto tra risoluzione del debito e discontinuità politica che sta il nocciolo della questione. Quando uno stato debitore si trova a dover rimborsare un debito ad un altro paese o ad una istituzione economica internazionale, i creditori sono più propensi a trattare i termini del rimborso, dunque a limarlo o diluirlo nel tempo, se quello debitore dimostra di prendere le distanze dal vecchio regime e risolvere le cause endogene che lo hanno generato.
Ad esempio dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti d’America grazie al piano Marshall finanziarono la ricostruzione sia dei paesi alleati che di quelli sconfitti come la Germania Ovest, il Giappone ed il nostro paese, alla condizione che prendessero le distanze dal vecchio regime instaurando un nuovo assetto politico, economico ed istituzionale.
Il nostro paese grazie al contributo dato alla propria liberazione dimostrò infatti di voler prendere le distanze dal regime fascista, dotandosi inoltre di una nuova carta costituzionale ispirata ai principi liberali e democratici. In Giappone, pur rimanendo in carica l’Imperatore Hirohito, venne scritta una nuova costituzione sotto dettatura dei consiglieri occidentali diventando così protettorato degli Stati Uniti.
Italia e Giappone, pur aderendo al piano Marshall, dovettero comunque rimborsare le indennità ai paesi offesi, ma grazie alla loro svolta politica ed alla loro vicinanza con gli Stati Uniti, le cifre subirono un cospicuo ridimensionamento.
Con la Germania si cercò di non ricadere negli sbagli del passato. Infatti l’errore principale dei vincitori della Grande guerra fu quello di considerare la Repubblica di Weimar responsabile degli eventi e dei fatti risalenti al Reich guglielmino. In questo caso gli americani si posero come obiettivo primario quello di avere una Germania dinamica e forte che prendesse le distanze in modo netto dal vecchio regime. Se in quella orientale i sovietici decisero di auto indennizzarsi senza attendere un eventuale trattato di pace, trasportando in Urss gran parte del patrimonio industriale tedesco lasciando così quella parte del paese in una condizione di povertà e sottomissione, in quella occidentale grazie al Piano Marshall gli Stati Uniti ne finanziarono la ricostruzione sulle basi di una società democratica e capitalista. Inoltre, alla conferenza di Londra , dove parteciparono oltre ai paesi occupati dal Terzo Reich anche i paesi creditori delle riparazioni non ancora liquidate dalla Grande guerra, venne deciso un importo forfettario di tutto ciò che la Germania doveva ancora pagare ( quasi della metà della somma dei due importi) a condizioni particolarmente favorevoli (conto saldato in trent’anni pagato annualmente solo se la bilancia commerciale tedesca fosse stata positiva).
Ad ogni scadenza contabile si riaccende il dibattito ed il braccio di ferro tra la Grecia e le istituzioni politiche ed economiche internazionali sulle modalità ed i tempi del rimborso dei finanziamenti in corso e sulla concessione di eventuali nuovi prestiti. Infatti se le istituzioni creditrici dichiarano di essere propense a concedere ulteriori dilazioni, ed eventualmente ulteriore credito, alla condizione che il governo guidato da Tsipras dimostri di attuare le rigorose riforme strutturali ed economiche “ritenute necessarie” al paese, contraddistinguendosi così dai governi precedenti, il premier greco trovandosi nella condizione di dover prospettare ai propri cittadini ed elettori ulteriori sacrifici, ha talvolta utilizzato argomenti e tattiche politiche vicine al populismo allo scopo sia di denigrare le istituzioni europee che colpire politicamente il paese più forte, la Germania, rivangando anch’egli dal passato le colpe tedesche del Terzo Reich.
I critici delle ricette “lacrime e sangue” affermano che i debiti non si possono pagare strozzando l’economia di un paese in quanto si rende la crescita economica ancora più lontana e improbabile. Le istituzioni economiche comunitarie, sempre su indirizzo tedesco, si rifiutano però di mutualizzare il debito di un singolo paese, attraverso l’emissione di Bond europei, replicando che avrebbe l’effetto di incoraggiare altri paesi ad essere ancora meno rigorosi ed attenti di quanto già non siano, dichiarando inoltre che solo una maggiore integrazione e un’ulteriore rinuncia alla sovranità nazionale dei singoli stati consentirebbe un’ulteriore flessibilità sui conti pubblici. Per i paesi virtuosi il debito di uno stato è considerato un àncora per l’economia e un freno per la crescita quando viene generato per finanziare agevolazioni, incentivi a pioggia e spesa corrente risultando così modesto l’impatto sia in termini di occupazione che di crescita. Se invece il debito viene utilizzato per finanziare innovazioni tecnologiche, infrastrutture e investimenti sul capitale umano, può generare i presupposti per la sua sostenibilità riducendosi automaticamente man mano che gli investimenti genereranno i frutti attesi.
Gli effetti perversi delle politiche che non si pongono come obiettivo quello della crescita economica di un paese furono evidenziate dal britannico John Maynard Keynes quando nel 1919 pubblicò Le conseguenze economiche della pace. Ai margini dell’assemblea dei vincitori della Grande Guerra, dove venne stipulato il Trattato di Versailles nel quale vennero indicate le somme dovute dalla Germania per le Riparazioni, Keynes cercò di mettere in guardia i paesi vincitori dal produrre norme e somme troppo vessatorie per la società e l’economia tedesca. Egli ricordò che la Germania era da sempre il miglior cliente commerciale dei maggiori stati europei e il primo fornitore di materie prime verso di questi, rappresentando il volano economico dei suoi partner commerciali. Sabotarne l’economia avrebbe avuto conseguenze funeste anche sugli altri paesi.
Secondo Keynes si sarebbe potuto assistere alla rinascita del continente europeo se si fosse creata un’unione di libero scambio tra i gli stati e se, per far fronte alle esigenze della ricostruzione post bellica, si fosse istituito un grande prestito internazionale finanziato in gran parte dagli Stati Uniti da cui trarre la linfa per la ricostruzione del continente.
Ma purtroppo le cose andarono diversamente e si decise di vendicarsi della Germania soffocandone l’economia e umiliandone l’opinione pubblica. Se si fosse seguita la strada indicata da Keynes probabilmente si sarebbe evitata la deriva dittatoriale nazista.
Come molte volte è accaduto nella storia umana, il passato non è buon consigliere. Infatti deve suonare come campanello d’allarme il fatto che, nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica dove sono state attuate parte delle richieste dei creditori, si siano fatti strada nello scenario politico nazionale partiti e movimenti populisti che perseguono politiche nazionaliste ed avverse alla comunità europea come Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e la Lega Nord ed il Movimento Cinque Stelle in Italia.
La storia avvalora la tesi che il rimborso del debito di uno Stato è più una questione politica che contabile in quanto non dipende essenzialmente dal suo valore assoluto ma dalla credibilità di chi lo ha contratto inoltre le modalità del rimborso possono determinare ricadute indesiderate sulla società e sull’economia dello stesso debitore. Per evitare che i nefasti errori del passato si possano riproporre e per fare un passo decisivo sulla via dell’integrazione europea è auspicabile che tutti gli stati della Comunità Europea facciano singolarmente un passo indietro e tutti insieme un passo avanti. Infatti se i paesi che hanno un’economia forte e un debito pubblico contenuto, rifacendosi al principio di amicizia e di cooperazione che lega gli stati europei, mutualizzassero una parte del debito dei paesi più in difficoltà, e se i paesi con un’economia debole ed un grande debito pubblico si incamminassero verso una concreta stagione di riforme sostenibili dimostrando chiaramente di voler risolvere le cause che lo hanno generato, sussisterebbero le condizioni politiche, economiche e sociali per una vera integrazione ponendo così le basi per l’auspicata istituzione degli Stati Uniti d’Europa. Ma se a prevalere saranno gli egoismi e gli interessi dei singoli stati si ripresenteranno le condizioni socio-politiche ottimali per il diffondersi dei movimenti nazionalisti in tutto il continente europeo.
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