Kamala Harris: luci, ombre ed il Dark Side del suo ‘For the people!’ (Part.II)

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5 Settembre 2024

E venne la nomination per le presidenziali del 2024… anche se, vi è da dire, che tanto è accaduto per tutta una serie di fortunose circostanze tenuto conto che la Harris, come Vicepresidente, non è minimamente riuscita a farsi apprezzare per il proprio fattivo impegno. Chiacchierata dal suo stesso staff e contestata da sinistra, anche quella di Bernie Sanders, a destra, non solo non è riuscita a diventare in qualsivoglia modo protagonista dell’Amministrazione Biden, ma ha per somma portato a casa –con grave nocumento all’immagine dell’Istituzione rappresentata– un primato assai discutibile: quello di non piacere a nessuno… salvo venire ripescata, viene da dire, per la, a quanto pare, gestibilitá, essendosi dimostrata capace in più di una occasione di dire tutto ed il contrario di tutto.

D’altro canto a suo tempo la scelta di Kamala Harris per la Vicepresidenza era giunta non per i particolari meriti della Senatrice, ma solo come conseguenza di una combo imbattibile contro ogni accusa nell’era post coloniale MeToo essendo la Harris donna, asiatica e nera: una candidatura che più di qualcuno ha voluto ascrivere al surrettizio tentativo, andato a buon fine, di rivincita dopo la sconfitta di Hillary Clinton, nonché una forma di riappropriazione del genere femminile dopo che i Repubblicani avevano tentato di far eleggere a loro volta una donna vice presidente nel ticket con John McCain: Sarah Palin, la Governatrice dell’Alaska e uno dei volti del Tea Party.

Alla fine con Kamala Harris i progressisti hanno potuto vantare un nuovo primato, dopo quello del primo afroamericano alla Casa Bianca, con Obama. Peccato che il successo del ticket Biden–Harris sia stato più che altro il frutto della sconfitta autoinferta da Trump, visto oltretutto che quattro anni fa quello che più importava alla maggioranza dei Democratici era solo la sua sconfitta: un obiettivo per il cui conseguimento sarebbe andato bene chiunque.
Ed ora? Cosa è cambiato ora? A quanto pare nulla anche se, per certi versi i Dem con questa strana nomination parrebbero più che altro intenzionati, per assurdo che possa sembrare, a perdere opportunisticamente le elezioni visto il particolare infelice momento storico che attende il successore del vecchio Biden

Illazioni? Direi che al momento tutto è possibile visto anche il significativamente, di fatto, non–programma Democratico attuale, non–programma tanto per quello che riguarda la politica interna, quanto per ciò che concerne la politica estera.

E che le cose siano state ed ancora stiano in questi termini lo comprova il marcato contrasto tra:

  1. a) da un lato, tanto per citarne una, l’alquanto demagogica, decisamente stridente con i fatti reali ed oltremodo populisticamente ingenua presa di posizione assunta a Giugno 2023 dal Presidente dell’American Federation of Teachers, Randi Weingarten, che ha motivato il supporto della AFT al ticket Biden–Harris sottolineando, con parole che si commentano da sole, come Biden e la Harris siano stati leader nel difendere Repubblica, come pure “nel combattere le ingiustizie e nel proteggere le (…) libertà fondamentali[1]” e come gli stessi abbiano “difeso i diritti riproduttivi, i diritti di voto e la giustizia razziale; e protetto le libertà delle persone LGBTQIA+” nonché “presentato il programma più aggressivo della storia in materia di clima e di giustizia ambientale; (…) firmato riforme bipartisan sulla violenza da arma da fuoco; (…) nominato un numero record di giudici federali con background diversi, tra cui la prima donna nera alla Corte Suprema degli Stati Uniti, Ketanji Brown Jackson[2]”, per poi concludere con un  “Questo record stellare è esattamente il motivo per cui l’intero movimento sindacale è venuto a sostenere Joe e Kamala oggi. È ora di finire il lavoro[3]” …

 

  1. b) e dall’altro la permanenza fino all’arrivo della Convention Democratica di Chicago di un corposo insieme di perduranti dubbi ed incertezze relativi alla candidatura di Kamala Harris, come testimoniato, tra gli altri, da POLITICO che il 20 Luglio 2024, con un articolo intitolato”‘Can she win?’: Why Kamala Harris can’t shake doubts about her political future”[4], a firma di Jeremy B. White e Eugene Daniels, ci ha fatto notare che i principali motivi per i quali i Democratici erano preoccupati della scelta della Vicepresidente Kamala Harris qualora il presidente Joe Biden si fosse fatto da parte, erano sia i sondaggi che il fallimento della sua candidatura alle presidenziali del 2020[5]“. Il che, tra l’altro, spiegherebbe pure il perché “(…) importanti funzionari e donatori democratici avessero continuato a mettere in dubbio la saggezza di sostituire Biden con la Vicepresidente Harris[6]. A queste perplessità vanno aggiunte anche quelle di esponenti di spicco del Partito Democratico. Tra questi possiamo citare la deputata Alexandria Ocasio-Cortez che già nel 2023 aveva trovato modo di sottolineare come il partito non fosse completamente dalla parte della Harris:
    “Se pensi che ci sia un consenso tra le persone che vogliono che Joe Biden se ne vada, che sosterrebbero la vicepresidente Harris, ti sbagli. (…) Sono in queste stanze, vedo cosa dicono nelle conversazioni. Molti di loro non sono interessati a rimuovere il Presidente. Sono interessati a rimuovere l’intero ticket[7]”.

Cosa abbia motivato alla scelta della Harris appare piuttosto il frutto di un calcolo strategico basato sulla acclarata dabbenaggine di un elettorato assolutamente inadeguato ad operare scelte di testa e vive dei sogni e delle narrazioni che gli propinano i vari strateghi della politica in campo.

2024: Kamala Harris ed il ‘nuovo’ (?) capitolo della storia USA che si è aperto a Chicago

Chicago: DNG Democratic National Convention 2024[8]

Questo 2024 fino ad ora ci ha riservato non poche sorprese e tra le tante la più significativa ed inspiegabile è, come detto, non tanto l’abbandono della competizione elettorale da parte di un visibilmente stanco, nonché provato fisicamente e mentalmente, Joe Biden, quanto piuttosto l’entrata in campo di Kamala Harris.

Un personaggio, Kamala Harris, che, come abbiamo avuto modo di vedere, certamente ha sin qui fatto del suo ‘meglio’, che tanto si è impegnata e molto ancora sicuramente si impegnerà, ma che nonostante ciò manca di quel carisma, di quella comunicativa, di quel meditato slancio, ma soprattutto di quella sostanza che muta un comune, più o meno abile, oratore in un trascinatore, un preposto in un leader, un capo in un condottiero, un cittadino qualunque in un personaggio che sa smuovere, motivandole, le persone e naturalmente le porta a credere realmente in lui.

La Harris non riesce a trascinare, né a scaldare veramente i cuori del pubblico. Il suo discorso di accettazione della candidatura alla presidenza degli Stati Uniti durato ben 35/40 minuti nella serata conclusiva della Convention Democratica di Chicago e la cui integrale trascrizione curata dal The New York Times è reperibile sul numero del 23 Agosto 2024 (si veda a tal proposito l’articolo intitolato  “Full Transcript of Kamala Harris’s Democratic Convention Speech[9]”), si segnala non poco per essere di fatto infarcito di un cumulo di ovvietà, di luoghi comuni cari ad una certa retorica vetero populista che oltretutto vuole il candidato appartenente alla consueta famiglia del “Mulino Bianco”, nonché di frasi fatte prive di qualsivoglia significato politico che nel caso della Harris sono state precedute da un autoreferenziale ed autocelebrativo panegirico in cui la stessa ha fatto rientrare di tutto e di più, menzionando aneddoticamente madre, padre, sorella, amici di famiglia, vicini di casa, semplici conoscenti e chi più ne ha più ne metta.

Alla fine poco ci è mancato che menzionasse pure il cane ed il gatto di casa celebrandone la tolleranza e l’amore incondizionato per la causa dei diritti civili come declinati dalle più pure retoriche orwelliane, magari pure riciclate in qualche modo nel sogno animalista americano se mai fosse possibile trovarne traccia da qualche parte: e meno male che quale cappello introduttivo ha usato la seguente esortazione: “OK, let’s get to business. Let’s get to business. All right.”!

Sarà che sono cresciuto avendo ben presente un antico proverbio che testualmente recita “O’ cavallo camminatore, o’ vanta a’ via nova!”, che tradotto dal vernacolo sta a significare che il buon cavallo (quello che percorre molta strada), non si vanta da solo (lo vanta la strada che percorre), sarà che troppo spesso ho dovuto constatare che chi si vanta da solo, chi troppo si loda, chi eccessivamente si autocelebra ed autocelebra le proprie qualità civili, morali, intellettuali, professionali, culturali spesso e volentieri non vale il peso delle sue parole e questo a maggior ragione quando ad assumere certi comportamenti sono i politici di qualsivoglia pseudo orientamento e/o tendenza in quanto, alla fine,  la sola cosa che conta sono i fatti.

Ed in questo senso frasi del tipo: “Sarò un Presidente che ci unirà intorno alle nostre aspirazioni più alte. Un Presidente che guida e ascolta; che è realistico, pratico e dotato di buon senso; e che combatte sempre per il popolo americano[10].” ed ancora  “Con queste elezioni, la nostra nazione ha una preziosa e fugace opportunità di superare l’amarezza, il cinismo e le battaglie divisive del passato e di tracciare una nuova strada per il futuro. Non come membri di un partito o di una fazione, ma come Americani”[11], così come le tante altre che hanno infarcito il suo discorso, ma che avrebbero potuto essere pronunciare da chiunque altro, non possono non evocare l’immagine di quei piazzisti che alle fiere di paese di un tempo spacciavano i loro intrugli per dei miracolosi rimedi buoni un po’ per tutto, dal mal di denti al mal di pancia, dai dolori di testa a quelli di schiena e magari, alla fine, pure per ravvivare il colore dei capelli ovvero restituire una folta capigliatura ai calvi.

Non un riferimento ad un qualsivoglia tema di reale rilevanza, dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medioriente; dal debito pubblico al Green Deal; dal contenzioso con la PRC al ruolo degli USA nella NATO e della NATO, nonché al reale peso che si intende attribuire ai membri dell’Alleanza Atlantica ad 80 anni dalla fine della WWII, a 30 dall’avvio della globalizzazione, a circa 3 dall’avvio della deglobalizzazione come pure del contenzioso con i BRICS; al NWO multipolare ipotetico e a quello bipolare nei fatti, come pure alla posizione che lei stessa, qualora arrivasse alla White House, intenderebbe assumere nell’immediato nei confronti di Mosca, soprattutto dopo il via libero dato all’invio di contractors statunitensi in Ucraina e, quel che è peggio, a quanto pare, nella provincia russa di Kursk… e via discorrendo: un nulla di nulla per ben 40 minuti che avrebbero meritato un ben altro uso che la sottolineatura del fatto che la rielezione di Donald Trump potrebbe essere una iattura per gli Stati Uniti.

Un concetto, quest’ultimo, introdotto con una semplice frase, “Amici americani, questa elezione non è solo la più importante della nostra vita, è una delle più importanti della vita della nostra nazione. Per molti versi, Donald Trump è un uomo poco serio. Ma le conseguenze – ma le conseguenze del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sono estremamente gravi[12]”, che a distanza di 4 anni è risuonata come il solito appello tradizionalmente rivolto all’elettorato attivo per sottolineare i motivi per i quali si ritiene non si debba votare l’avversario di turno, senza per altro chiarire per quali motivi lo stesso elettorato dovrebbe premiarne il detrattore: il tutto nel più puro stile della politica politicante che caratterizza pressoché l’intero Occidente, Stati Uniti ed Europa Occidentale in testa, da lustri e lustri.

La sola deroga a questo modo di procedere la troviamo confinata al momento in cui la Harris ha detto: “La classe media è il luogo da cui provengo. Mia madre teneva un bilancio rigoroso. Vivevamo all’interno delle nostre possibilità. Tuttavia, non ci mancava nulla e lei si aspettava che sfruttassimo al massimo le opportunità che ci venivano offerte e che le fossimo grati. Perché, come ci ha insegnato, le opportunità non sono disponibili per tutti. Ecco perché creeremo quella che io chiamo un’economia delle opportunità, un’economia delle opportunità in cui tutti abbiano la possibilità di competere e di avere successo”[13] ed ancora  “Che si viva in un’area rurale, in una piccola città o in una grande città. In qualità di Presidente, riunirò i lavoratori e le lavoratrici, i piccoli imprenditori e le aziende americane per creare posti di lavoro, per far crescere la nostra economia e per abbassare il costo delle necessità quotidiane, come l’assistenza sanitaria, la casa e i generi alimentari”[14].

Kamala Harris: Ronda Churchill per POLITICO[15]

Peccato che l’unico accenno al come la Harris intenda procedere lo troviamo nelle seguenti parole: “Garantiremo l’accesso al capitale ai proprietari di piccole imprese, agli imprenditori e ai fondatori. Metteremo fine alla carenza di alloggi in America e proteggeremo la Social Security e Medicare”[16], che di per sé costituirebbe una dichiarazione di intenti stupenda, non fosse che la Harris a questa dichiarazione ha fatto seguire due periodi sì entusiasmanti:

  1. a)  “Ora fate un confronto con Donald Trump. Perché credo che tutti qui sappiano che in realtà non combatte per la classe media. Non combatte per la classe media. Combatte invece per se stesso e per i suoi amici miliardari. E darà loro un’altra serie di sgravi fiscali che aggiungeranno fino a 5.000 miliardi di dollari al debito nazionale”[17].

 

  1. b)  “E nel frattempo ha intenzione di promulgare quella che, di fatto, è un’imposta nazionale sulle vendite, la cosiddetta tassa Trump, che farebbe aumentare i prezzi per le famiglie della classe media di quasi 4.000 dollari all’anno. Ebbene, invece di un aumento delle tasse di Trump, approveremo una riduzione delle tasse per la classe media di cui beneficeranno più di 100 milioni di americani”[18]

ma che, purtroppo, si segnalano alla nostra attenzione per l’unica cosa che non viene menzionata, ovverosia la risposta alla domanda fondamentale riguardante il come la Harris ritenga possibile ridurre il debito pubblico e nel contempo reperire le somme necessarie a porre in essere quanto testé promesso.

Un dettaglio? Non direi, soprattutto perché il problema la neocandidata Democratica alla Presidenza non può minimamente pensare di farlo risolvere agli altri, ai cosiddetti alleati Occidentali che a suo tempo, eravamo agli inizi degli anni ’70, furono costretti a farsi carico delle conseguenze della fallimentare politica estera ed economica del suo Paese allorché questo  pensò bene di risolvere i propri problemi con la unilaterale dichiarazione di non convertibilità dello USD e la contestuale denuncia degli accordi di Bretton Woods del 1944: due fatti che costrinsero gli “alleati” tutti, Occidentali, a farsi carico della tenuta dello USD imbottendo le proprie Banche Centrali di indicibili quantitativi di biglietti verdi per evitare che un crollo della quotazione dello USD si ripercuotesse sulla quotazione delle proprie divise.

Né, sempre la Harris, ma l’appunto va anche al suo antagonista, può pensare di risolvere la crisi attuale con una guerra come accadde ai tempi del Secondo Conflitto Mondiale che fu l’unica cosa che permise agli Stati Uniti di risolvere il problema della Crisi del 1929, con buona pace di quanti ancora raccontano che fu il New Deal Rooseveltiano a riportare in auge gli Stati Uniti.

Anche in questo caso gli errori della politica liberista statunitense vennero scaricati altrove: e poco importa chi in Europa fu tra i vincitori e chi tra i vinti perché in Europa la WWII la persero tutti, perché tutti fecero da volano alla ripresa economica statunitense, vuoi per aver versato oro per pagare le forniture belliche nel corso del conflitto, vuoi per aver versato oro per fare fronte agli obblighi derivanti dalla sconfitta, vuoi per aver fatto marciare l’industria statunitense nella fase della sua riconversione industriale post bellica che fu sostenuta anche da quel Piano Marshall che provvide di risorse i Paesi necessitanti fondi per la ricostruzione, fondi da impiegare per sostenere con la loro domanda le imprese d’oltreoceano con quello stesso danaro che poi dovette, giustamente intendiamoci, per lo più essere restituito corrispondendo i dovuti interessi.

Non so se qualcuno ha reso edotti i candidati statunitensi di queste particolari dinamiche che l’attuale politica estera ha reso difficilmente riproducibili per il mutato assetto globale che non vede più nei soli Stati Uniti il potenziale interlocutore, oltretutto in un contesto che non rende minimamente pensabile perseguire l’obiettivo di sanare le conseguenze delle proprie debolezze strutturali come un tempo: se 80–85 anni fa le coste degli Stati Uniti erano lontane, troppo lontane per essere raggiunte, oggi non è più così e credo che la dimostrazione di questo avverrà a breve, se ho ben capito la strategia di Putin, nella regione di Kursk dove Mosca ha facoltà di usare qualsiasi mezzo offensivo per rimuovere dal proprio territorio la, a quanto pare eterogenea, forza di invasione ucraina.

Certamente certe battaglie civili meritano attenzione e per certo la questione dell’aborto é importante, così come lo sono certe istanze legate alla dilagante cultura Woke ed alle tematiche dell’inclusività, senza dimenticare certe problematiche ambientaliste, ma occorre che la nuova Presidenza abbia la consapevolezza che queste sono questioni che rischiano di essere solo dei distrattori sociali perché ho l’impressione che di fatto è in questi termini che i vari temi siano trattati e come tali non affrontati e risolti per evitare di dover parlare chiaro agli Americani tutti facendo loro capire che, come è fallito un certo progetto di matrice marxista, così si è da un pezzo avviato sul viale del tramonto anche un certo liberismo d’assalto tanto caro ai sognatori d’Oltreoceano, Democratici o Repubblicani che siano e che il Green Deal non può essere il nuovo specchietto per le allodole laico da usare assumendo atteggiamenti e toni ieratici degni di miglior causa per fare proseliti a buon mercato, esattamente come un tempo si fece con un certo Cattolicesimo di maniera che non risolse i problemi ma li aggravò drammaticamente fino a sfociare in bui anni di guerre, violenze ed inutili repressioni.

In questo senso devo dire che, però, non lasciano ben sperare dichiarazioni come le due a seguire:

  1.  a)  “Come vicepresidente, ho affrontato le minacce alla nostra sicurezza, ho negoziato con i leader stranieri, ho rafforzato le nostre alleanze e mi sono impegnato con le nostre coraggiose truppe all’estero. Come comandante in capo, farò in modo che l’America abbia sempre la forza di combattimento più forte e letale del mondo. Adempirò all’obbligo sacro di prendermi cura delle nostre truppe e delle loro famiglie, onorando e non sminuendo mai il loro servizio e il loro sacrificio”[19] ed ancora

 

  1. b)  “Mi assicurerò che guidiamo il mondo nel futuro dello spazio e dell’intelligenza artificiale. Che l’America, e non la Cina, vinca la competizione per il XXI secolo e che rafforziamo, non abdichiamo, alla nostra leadership globale. Trump, invece, ha minacciato di abbandonare la NATO. Ha incoraggiato Putin a invadere i nostri alleati. Ha detto che la Russia può ‘fare quello che diavolo vuole’. Cinque giorni prima che la Russia attaccasse l’Ucraina, ho incontrato il Presidente Zelensky per avvertirlo del piano di invasione della Russia. Ho contribuito a mobilitare una risposta globale – oltre 50 Paesi – per difendersi dall’aggressione di Putin. E come Presidente, sarò al fianco dell’Ucraina e dei nostri alleati della NATO[20]”.

dichiarazioni che testimoniano solo che la Harris farebbe molto meglio ad occuparsi di altro perché pare che dei fatti correnti e delle relative dinamiche lei, o chi per lei, abbia capito poco o nulla, ovvero (il che sarebbe più preoccupante per tutti) che lei o chi per lei preferisce essere omertoso in un momento di particolare gravità per l’intero Occidente.

E che la Harris, o chi per lei, abbia capito poco o nulla lo confermerebbero ampiamente le sue considerazioni sulla guerra a Gaza, considerazioni che diventano tragicomiche, per non dire irriverentemente fuori luogo, nel momento stesso in cui afferma che “Per quanto riguarda la guerra a Gaza, il Presidente Biden e io stiamo lavorando 24 ore su 24, perché è il momento di trovare un accordo con gli ostaggi e un cessate il fuoco”[21], quasi non si fosse ancora resa conto del drammatico motivo per il quale è diventata la candidata Democratica alla Presidenza degli Stati Uniti.

Per somma sostenere che lei sempre e comunque sosterrà “il diritto di Israele a difendersi e farò in modo che Israele abbia la capacità di difendersi, perché il popolo di Israele non deve mai più affrontare l’orrore che un’organizzazione terroristica chiamata Hamas ha provocato il 7 ottobre, compresa un’indicibile violenza sessuale e il massacro di giovani a un festival musicale”[22] male si concilia alla luce dei fatti con il giudizio espresso su tutto quanto è accaduto a Gaza negli ultimi 10 mesi dimenticando che le “tante vite innocenti perse”[23] e le “Persone disperate e affamate che fuggono per salvarsi, ancora e ancora”[24] sono tali non solo a causa dell’attacco dell’IDF, ma anche a causa del fatto che l’intera popolazione di Gaza viene sistematicamente utilizzata come scudo umano da una organizzazione terroristica che non tiene in nessun conto, essa per prima, da anni ed anni, una intera messe di civili, e che lo fa deliberatamente, volutamente, scientemente e cinicamente.

Non rendersi conto di questo ed ancora affermare, come se nulla fosse successo, che “Il Presidente Biden e io stiamo lavorando per porre fine a questa guerra, in modo che Israele sia al sicuro, gli ostaggi siano rilasciati, le sofferenze a Gaza finiscano e il popolo palestinese possa realizzare il proprio diritto alla dignità, alla sicurezza, alla libertà e all’autodeterminazione”[25], vuole solo dire che della attuale situazione in Medioriente nulla è stato compreso perché anche ad un cieco è palese che, a causa dei giochi di potere pregressi, in quella regione la possibilità che si realizzi una soluzione a due Stati è di fatto divenuta impossibile da decenni anche se a tutti, Stati Uniti, Russia Sovietica prima e Federazione Russa dopo, nonché all’Iran ed agli Stati della penisola arabica ha fatto comodo che la cosa non emergesse per tutta una serie di ragioni che sono decadute nel momento in cui si è profilata all’orizzonte la Repubblica Popolare Cinese: il nuovo competitor globale che non ha ritenuto di volersi e potersi fare carico di un fattore di oltremodo prevedibile costante instabilità.

E meno male che poco prima proprio Kamala Harris aveva dichiarato di voler essere un Presidente che guida e ascolta; che è realistico, pratico e dotato di buon senso!

Come amava dire Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma molte volte ci si coglie!” e a quanto pare devo averci colto parecchio quando ho pubblicato sul Nuovo Giornale Nazionale l’articolo apparso qualche giorno fa con il titolo “Biden: un’uscita di scena strategica? Quale futuro per l’Unione Europea?”[26] formulando l’ipotesi che a fondamento della scelta vi sia, a voler essere buoni, l’inconsapevole (?) recondita volontà dei Democratici di perdere la competizione elettorale per lasciare che a sbrogliare l’intricata vicenda ucraina e mediorientale, nonché ad affrontare la complessa situazione economica e finanziaria statunitense sia Trump.

Trump, ovverosia l’unico in grado di mettere gli USA nella condizione di abbandonare Kyiv e l’Europa a sé stesse imprimendo al conflitto ucraino, il cui perdurare può solo far perdere agli Stati Uniti gli importanti risultati conseguiti quanto al consolidamento del loro ruolo in Europa ed al compattamento della NATO, nonché al Partito Democratico (che vuole dire alle lobbies economico-finanziarie di cui sono l’espressione) di mantenere pressoché integro quel credito e quell’immagine che hanno sin qui speso per promuovere, in Europa così come nel resto del mondo Occidentale ed in quello ad esso liminale, quella certa immagine di affidabilità e credibilità la cui messa in crisi, per una qualsivoglia mutata scelta in politica estera che deroghi da quanto sin qui proposto e visto, sarebbe fatta ricadere solo sul ‘folle’ ed oltremodo demagogicamente ‘umorale’ Trump, nonché sulla variegata e variopinta pletora di populisti che lo sostengono.

Tanto per non parlare della posizione assunta nei confronti di una questione Mediorientale che, come tale, oltre a non offrire più, come ribadito poc’anzi, alcun margine per una soluzione a due Stati, ha finito per imporre all’establishment USA, per come si sono messe le cose, il doversi fare in qualche modo carico delle conseguenze politiche e di immagine derivanti dalla necessità di fronteggiare un allungamento oltremodo imbarazzante dei tempi della guerra tra Gaza ed Israele attualmente in corso.

Un allungamento che, detto per inciso, sta offrendo il fianco, con buona pace delle estemporanee dichiarazioni della Harris, a tutta una serie di iniziative diplomatiche promosse da Beijing tanto inutili sul piano pratico, quanto efficaci dal punto di vista strategico in quanto oltremodo promozionali dell’immagine stereotipata di una Cina che a tutti i costi vuole apparire la sola paladina super partes del buon diritto all’autodeterminazione dei popoli, della pace, della libertà e della giustizia globali.

Un allungamento che oggi più che mai abbisogna, per essere fronteggiato, di quel Trump in cui Israele vede un inossidabile deciso sostenitore, ed i centri di potere statunitensi il potenzialmente ottimo mercanteggiatore con Beijing sulla questione Taiwan, una Taiwan la cui difesa a tutti i costi pare oltremodo intenzionato ad abbandonare, magari con la prospettiva di spuntare una cessione di passo da parte della PRC sulla questione Gaza che palesemente Xi Jinping sta usando, come detto, alla grande solo per accrescere la propria forza contrattuale nell’ambito del contenzioso con Washington avente per oggetto la gestione di quell’area del Pacifico che Xi Jinping considera una sorta di Mare Nostrum.

Gli alleati di Harris sperano di raccogliere un forte sostegno da parte delle donne e dei democratici neri per una potenziale candidatura di Harris. | Carlos Osorio/AP[27]

In questo senso il nuovo capitolo della storia americana ed europea che si è recentemente palesato come un book in progress con la candidatura di Kamala Harris alla Presidenza degli Stati Uniti e l’arresto in Francia del CEO di Instagram, si segnala per essere un monumento alla debolezza di tutto l’Occidente.

Un Occidente in cui i Governi attualmente in carica:

  1. a)  o non sanno come fronteggiare le conseguenze delle loro incapacità programmatiche e gestionali tanto del Paese quanto della loro politica estera (questo è il caso degli Stati Uniti che si stanno approssimando ad una crisi socioeconomica interna e dell’intera politica estera di proporzioni mai registrate in precedenza che, per quello che riguarda i Democratici, sta dando luogo –a mio avviso– al maldestro tentativo di scaricare la patata bollente nelle mani dei Repubblicani con la candidatura della più che potenzialmente perdente nonché sacrificabilissima Kamala Harris; e per quello che riguarda i Repubblicani ha già dato luogo al più che tempestivo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca della vera anima progettuale del GOP, Ron DeSantis, a favore dell’ignaro parafulmine della situazione: il demagogico, qualunquista ed inaffidabile Donald Trump);

 

  1. b) ovvero non sanno come arginare lo tsunami di proteste epocali in fieri dei propri amministrati che si va ulteriormente profilando all’orizzonte in tutto l’Occidente nel momento stesso in cui le contraddizioni della propria politica interna ed estera li hanno messi in condizioni di debolezza tali da far sì che l’unica strada percorribile per rimanere ancora in sella sia quella di impedire che se ne parli. Magari bollando –e di conseguenza censurando– come fake news tutto ciò che può fare aprire gli occhi ai sin qui abbondantemente menati per il naso cittadini ed amministrati (e questo, ad esempio,è il drammatico caso di una Francia che si prepara a fronteggiare, malamente a quanto pare,  le conseguenze della perdita della Francafrique e quindi della fonte primaria di supporto al tenore di vita medio che i Francesi tutti sono da decenni abituati a considerare come un loro inalienabile ed irrinunciabile diritto).

Tanto poiché, a ben guardare, per ciò che concerne il primo punto stupiscono non poco sia la tardiva scelta da parte Democratica di un diverso candidato per la Casa Bianca, quanto che la stessa scelta sia caduta su Kamala Harris con una determinazione a dir poco sconvolgente se solo pensiamo che, a memoria, mai in precedenza una campagna elettorale moderna è passata da una fase di stallo ad una caratterizzata da una accelerazione quale quella che abbiamo avuto sin qui sotto gli occhi, il tutto grazie al corale sinergico impegno dell’intero Partito Democratico –e dei suoi maggiorenti– che nel menzionato breve lasso di tempo avuto a disposizione hanno letteralmente creato dal nulla una Convention nazionale incisiva, accattivante e oltremodo ben calibrata che ha permesso che nel corso della recente quattro giorni di Chicago –e nei comizi elettorali che l’hanno preceduta– si venissero chiaramente a delineare i contorni della strategia elettorale della neocandidata.

E volutamente ho parlato solo della strategia elettorale e non dei contenuti programmatici di essa, in quanto in tutto questo i grandi assenti sono proprio loro, quei contenuti che la Harris nei suoi interventi ha solo implicitamente menzionato più che altro, direi,  per millantare la loro esistenza (di cui fortemente dubito), allorché ha sottolineato, evitando –ripeto– accuratamente di scendere nei dettagli, la necessità di “tracciare una nuova strada per il futuro” puntando al mitico ‘cambiamento’: la famosa e famigerata parola con cui la politica politicante definisce quel contenitore rigorosamente vuoto di contenuti veri buono per lasciare intendere a tutti tutto, evitando l’imbarazzo di dover definire, una volta indicato il ‘cosa’, anche il ‘come’, l’in che ‘modo’, con quali ‘tempistiche’ e, soprattutto, con quali capitali, in che modo reperiti –ovvero liberati modificando dei capitoli di spesa– che, una volta menzionati, richiedono una riprogrammazione anch’essa da descrivere per rispondere alle obiezioni degli avversari e soddisfare le legittime curiosità degli elettori in genere.

Questa strategia, tipica degli imbonitori politici di ogni epoca e latitudine, nonché parte integrante del marketing politico imperante da parecchi lustri, è solitamente vincente fintanto che esistono le condizioni per poter accedere con facilità al credito, ovvero esistono quelle che possono in qualche modo giocare su una rimodulazione del regime fiscale del momento modificando in tutto o in parte le aliquote relative, o ancora possono essere reperite modificando al rialzo le imposizioni fiscali indirette…: in altre parole in tutti quei casi in cui le conseguenze delle inappropriate scelte politiche pregresse non hanno inciso a tal segno negativamente sui pregressi bilanci da rendere impossibile che una consistente massa di elettori non si accorga dei danni patiti.

Quanto questa strategia possa ancora funzionare non è dato capire, ma credo che gli stessi maggiorenti del Partito Democratico si siano resi conto che per avere un certo margine di successo (in primo luogo per cavare di impaccio i referenti Democratici di maggiore spicco, ovverosia i rappresentanti in seno al partito delle vere lobby economico finanziarie che hanno il loro referente politico nel Partito Democratico) necessitava che fosse posta in essere da una persona che avesse specifiche caratteristiche perfettamente incarnate dalla Harris e che nulla hanno a che vedere con le sue reali conoscenze e competenze.

Caratteristiche che, infatti, consistono del suo essere donna, nera, figlia di immigrati appartenenti al ceto medio, populisticamente orientata a supportare certe tematiche care ai giovani, alle minoranze etniche, alle donne, ai portatori di diversità di vario genere sui quali hanno fatto già ampiamente presa certe derive ideologiche o para ideologiche incarnate dal pensiero Woke e dalle istanze della lobby LGBQAI+.

In questo senso l’operazione di marketing elettorale del Partito Democratico ha già conseguito il suo principale risultato: far accettare la candidatura della Harris.

Come qualche giorno fa ha giustamente sottolineato Anthony Zurcher, corrispondente della BBC per il Nord America, in un suo articolo significativamente intitolato “Kamala Harris campaign is light on policy – but that’s helped her transform the race”[28]: “Questa strategia nasce in parte dalla necessità. In tutto il mondo le democrazie sono state scosse da disordini elettorali. Mentre le economie faticano a riprendersi dalla pandemia di Covid, i conflitti regionali si accendono e le tensioni sull’immigrazione divampano, i leader politici hanno affrontato elettori profondamente scontenti in Canada, Regno Unito, Germania e India, tra gli altri[29]” (altri verranno a breve soprattutto nel caso di una sconfitta dell’Ucraina ed in occasione della stesura delle leggi di bilancio di fine anno: si pensi in questo senso all’Italia ed ancor più alla Francia del sognatore Macron)– aggiungendo che “I sondaggi indicavano che il presidente Joe Biden, prima di abbandonare la sua campagna di rielezione il mese scorso, avrebbe dovuto affrontare sfide simili”.

Perché alla fine la chiave di lettura della oltremodo estemporanea, nonché raffazzonata, candidatura di Kamala Harris risiede tutta in queste ultime due semplici considerazioni che, per somma, ci consentono di affermare con una certa sicurezza che a allo stato attuale, per come si sono messe le cose, poco importa ai vertici del Partito Democratico che la corsa elettorale della Harris fallisca o meno visto che:

  1. a)  qualora la stessa fosse sconfitta la palla passerebbe a Trump, con –per certi versi– somma cinica gioia dei suoi avversari, e

 

  1. b)  qualora (cosa di cui personalmente dubito fortemente e non solo io – a tale proposito si legga quanto riportato il 20 Agosto 2024 in un articolo apparso su Il Corriere della Sera con il titolo “Kamala Harris, il super-finanziatore: «I sondaggi non sono buoni come sembrano»”[30]) vincesse, la responsabilità del suo più che probabile fallimento (ché alla fine sarebbe solo suo, della sua deriva populista e di quanti l’avranno votata abboccando all’amo) ricadrebbe su lei solamente e non sulla governance del partito.

Tanto a maggior ragione se consideriamo che il background della Harris e la sua storia personale sono in netto contrasto non solo con il suo avversario repubblicano, ma anche e soprattutto con l’attuale Presidente che nel 2020  ha preso “a bordo” la Harris per lo più per opportunismo che per altro: il che non fa che confermare tutte le riserve sin qui espresse visto il sospetto calore con il quale lo stesso Biden ed il suo entourage hanno sponsorizzato la Harris che giustamente, durante un comizio in North Carolina la scorsa settimana, ha espresso il suo fermo convincimento “(…) che questa elezione riguarda due visioni molto diverse del futuro”, visto che “La nostra si concentra sul futuro, mentre l’altra si concentra sul passato”.

Recita un antico aforisma dalla incerta paternità (vi è infatti chi l’attribuisce al politico filosofo e scrittore britannico Edmund Burke, chi a Gianbattista Vico, chi a filoso e scrittore George Santayana…) che “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”: un aforisma che qui, a quanto sembra,  torna utile prendere in considerazione se, dopo tutto quanto è successo, vi è ancora chi si dichiara convinto, a fine Agosto 2024, di poter individuare nella vaghezza della Harris, nel suo evitamento strategico di ogni descrizione dettagliata di come potrebbe essere la sua presidenza, l’asso nella manica della sua campagna elettorale per ora tutta all’insegna di un bluff.

Un bluff passato sotto silenzio in virtù del clima da “luna di miele” di cui la Harris ha goduto e sta ancora godendo anche grazie ad un atteggiamento alquanto benevolo della grande stampa americana: quella stessa grande stampa che, almeno per ora, non le sta chiedendo conto né dei suoi voltafaccia politici (come quello sul fracking) né del fatto che continui in qualche modo a sottrarsi ai giornalisti (durante i primi 18 giorni di campagna non ha rilasciato interviste o tenuto conferenze stampa il che lascia supporre che abbia rispettato e stia in qualche modo rispettando una consegna ben precisa).

In questo infinitamente avvilente gioco delle parti, che a tratti ricorda i discorsi e gli atteggiamenti del peggiore populismo bipartisan europeo, quello, tanto per capirci, che in un Paese come l’Italia ha assunto le forme di partiti politici come Il Movimento 5 Stelle, la Lega per Matteo Salvini premier e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ed in uno come la Francia ha assunto quelle del Rassemblement National di Marine Le Pen (tanto per non parlare delle derive populiste simil inclusiviste, simil ecologiste, simil ambientaliste, simil ‘di tutto e di più’ dei vecchi partiti politici della defunta Era delle Ideologie spentasi poco serenamente nel lontano 1989), abbiamo che a riportarci con i piedi per terra sono fortunatamente giunte le meritorie riflessioni di Chauncey McLean, il Presidente di uno dei più grandi finanziatori della campagna elettorale del Partito Democratico statunitense, il Super Pac Future Forward.

Ed infatti il 19 Agosto 2024, parlando alla University of Chicago, Chauncey McLean ha  messo in guardia gli ottimisti supporters di Kamala Harris riferendo che i sondaggi di opinione di cui il suo gruppo dispone erano assai meno rosei di quelli pubblici diffusi ad uso e consumo degli elettori Democratici, sondaggi che mettono in evidenza le difficoltà che la Harris dovrà affrontare per prevalere negli Stati chiave.

Queste in sintesi le sue parole, parole che la stampa internazionale occidentale ha per lo più preferito passare sotto silenzio: “I nostri numeri sono molto meno rosei di quelli che vedete pubblicati”[31] in quanto se è pur vero che Kamala Harris cavalca un’onda di sondaggi pubblici a suo favore (l’osservatorio FiveThirtyEight[32] al 19 Agosto 2024 le attribuiva il 46,6% dei consensi contro il 43,8% del repubblicano Donald Trump, e tutto lasciava prevedere che avrebbe preso il sopravvento in diversi sondaggi pubblici in stati chiave), è altrettanto vero che questi dati cozzano con quelli fatti rilevare ed elaborare dal gruppo di finanziamento Future Forward.
Il perché di questa prudenza non può essere compreso se non diamo prima una occhiata al sistema elettorale americano.

Per noi Italiani, ma non solo per noi, abituati ad un sistema elettorale completamente differente, il processo che porta all’elezione del Presidente degli USA risulta essere abbastanza difficile da comprendere e di conseguenza risulta ancora più complesso interpretare i dati dei sondaggi che solitamente sono letti andando a confrontare le percentuali stimate di potenziali consensi: in altri termini per noi un 46,6% di consensi pro Harris a fronte di un 43,8% di consensi pro Trump si traduce automaticamente in una attesa vittoria di Kamala Harris, Peccato che le cose negli Stati Uniti non siano così automatiche perché negli USA raccogliere più voti non equivale a vincere ed il perché è presto detto.

Per prima cosa vi è da dire che le incongruenze tra il sistema americano e quello, ad esempi,  italiano sono dettate principalmente dalla diversa forma di governo dei due Paesi: l’Italia è una Repubblica parlamentare, mentre gli Stati Uniti sono una Repubblica presidenziale; ciò significa che il Capo di Stato, ovvero il Presidente, è anche a capo del Governo, quindi esercita sia il potere esecutivo, che quello rappresentativo.

Entrando nel dettaglio del meccanismo elettorale USA si ha che questo prevede che pochi mesi dopo la “Convention”, individuate che siano le nomine ufficiali del Partito Democratico e di quello Repubblicano per i ruoli di Presidente e Vicepresidente, la parola passa ai cittadini con la formula del suffragio universale che viene esercitata nel proprio Stato dell’Unione con un meccanismo indiretto, ovverosia non votando direttamente per il candidato alla Casa Bianca preferito bensì per un suo rappresentante, detto anche “grande elettore”.

Ora poiché la maggior parte degli Stati dell’Unione usa il sistema maggioritario, ecco che da ciò discende che il candidato, in caso di vittoria nella regione in questione, otterrà tutti i grandi elettori associati ad essa cosicché come nel caso dei delegati, questi speciali rappresentanti sono delle persone affiliate ad un Partito  o ad un candidato in particolare, tuttavia non mancano senatori e governatori. Per legge queste persone devono essere formalmente nominate dal Partito o dal determinato concorrente e sono 538 in totale, ovverosia tanti quanti sono i membri presenti al Congresso più tre ulteriori rappresentanti del distretto di Washington e sono distribuiti nei vari Stati –e questo è il nodo cruciale– in base al numero di abitanti che vi risiedono: così, ad esempio, il numero di grandi elettori dell’Iowa sarà minore rispetto a quelli del Texas.

Successivamente, questi speciali elettori andranno a comporre il collegio elettorale del proprio Stato che, a metà Dicembre, si riunirà per la votazione del Presidente degli Stati Uniti. Questo dal punto di vista pratico vuol dire che non tutti gli Stati dell’Unione pesano nello stesso modo in quanto ciò che maggiormente conta è la vittoria in quelli che permettono di ottenere la nomina del maggior numero di “grandi elettori” visto che al giorno d’oggi nella maggior parte dei casi, questi si limitano a votare il candidato a cui sono legati. (Detto per inciso la precisazione non è oziosa in quanto la vecchissima Costituzione americana non lo impone: per tutto il ‘700, e per buona parte del ‘800, questi “Grandi elettori” ricoprivano un ruolo molto più incisivo, poiché agendo senza vincolo di mandato, erano legittimati a votare per qualsiasi soggetto volessero).

Infine, ai primi di Gennaio, il Congresso, riunito in seduta comune, sarà incaricato di conteggiare i voti: questa fase è fondamentale perché il Capo di Stato può essere regolarmente eletto solamente nel caso in cui si aggiudichi il voto di almeno 270 “grandi elettori”; nel remoto scenario in cui questa situazione non si verifichi sarà il Congresso a nominarlo ed eleggerlo.

Ora, Chauncey McLean, avendo ovviamente ben presente questo meccanismo ha predisposto un’enorme operazione contemplante[33], tra le altre cose, la creazione e la verifica di circa 500 annunci digitali e televisivi per Biden e di circa 200 per la Harris, nonché un sondaggio che ha coinvolto circa 375.000 Americani nelle settimane successive alla presunta candidatura democratica della Harris risalente al 22 luglio 2024. Per somma McLean avendo a disposizione qualcosa come 250 Mln di USD da spendere, ha previsto pure un’ondata di pubblicità dal digitale alla televisione tra il Labor Day del 2 Settembre e il giorno delle elezioni del 5 Novembre.

Secondo McLean la maggior parte del novello impulso impresso ai sondaggi dal subentro della Harris a Biden è stato determinato dai giovani elettori neri, una circostanza questa che ha riaperto la competizione negli Stati della Sunbelt come Nevada, Arizona, Georgia e North Carolina, che i Democratici avevano già ampiamente letteralmente perso negli ultimi giorni della campagna di Biden, cosicché al momento la Harris, forte della rimessa in gioco dei Democratici in ben sette Stati (i quattro citati più la Pennsylvania, il Wisconsin ed il Michigan), ha la possibilità di dare il via ad una inversione di tendenza completa rispetto a quella di quando Biden era in lizza, avendo cura di tenere presente che la Pennsylvania rimane lo Stato più importante nell’analisi del gruppo.

Tanto si evince anche, per doverosa verifica, da una semplice  consultazione del sito “2024 Presidential Election Polls[34]” o, in alternativa, dall’Osservatorio FiveThirtyEight[35] ed in particolare dalla pagina “Who Is Favored To Win The 2024 Presidential Election?”[36] In foto la situazione aggiornata al 26 Agosto 2024 come proposta dall’Osservatorio 538, ma ovviamente vi sono molte altre variabili in gioco.

La partita è indubbiamente aperta e la Harris deve puntare, come già sottolineato, su neri, ispanici e giovani, e quanti si uniformano al pensiero dominante, come è ovvio che, nonostante tutto, gli stessi potenziali elettori non possano ancora essere riguardati come acquisiti in quanto giustamente non del tutto convinti a causa del fatto che, come ha sottolineato McLean, i sondaggi mostrerebbero che il pubblico desidera da Harris posizioni politiche più dettagliate: certamente non programmi già scritti, ma nemmeno le banalità generiche che abbiamo visto essere il cavallo di battaglia di una Harris che non potrà esimersi dall’entrare nel merito di due temi fondamentali: l’economia e il costo della vita[37],e le differenze dal ben poco poco convincente Biden.

Guarda caso proprio le stesse questioni su cui la pungolano, da tempo, Trump e i suoi. Se ora a questo aggiungiamo l’affaire Zuckerberg–COVID–META non resta che attendere il 10 Settembre 2024.

Non secondarie, dati i tempi, potrebbero diventare a sorpresa anche le questioni di politica estera per tutto quanto attiene al ruolo che potrebbero giocare sulla campagna presidenziale USA gli sviluppi imprevedibili ed inaspettati di due conflitti (quello in Ucraina e quello in Medioriente) ed un contenzioso (Taiwan) ancora in atto.

Confortano per certo questa lettura dei fatti:

  1. 1)  la notizia di certe dichiarazioni di Donald Trump[38], che sembrerebbero deporre a favore dell’intenzione del Tycoon di mollare Taiwan al suo destino: una opzione che farebbe uscire le società occidentali dei semiconduttori dalla comfort zone di questi anni, una comfort zone che ha un nome ben preciso, ovverosia quello della TSMC. Come noto TSMC è un acronimo che sta per Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, che al momento rappresenta il più grande produttore indipendente di semiconduttori al mondo[39], con sede principale presso lo Hsinchu Science Park di Hsinchu, dal quale dipendono un po’ tutti i partner americani ed europei, come i giganti Nvidia ed Apple, tanto per citarne qualcuno tra quelli più in vista. L’arrivo di questa notizia ha fatto sì che il mercato abbia punito pesantemente le società statunitensi ed europee del silicio. Tanto a maggior ragione allorché è circolata la notizia relativa all’intenzione di Washington di inasprire le restrizioni all’esportazione di tecnologia avanzata per semiconduttori in Cina al preciso scopo di impedire a Pechino di accedervi: un’opzione che non poco ha colpito l’ASML (ovverosia il fornitore olandese di apparecchiature per la produzione di chip) le cui azioni hanno fatto registrare, all’atto della diffusione della notizia, una repentina flessione del 9% nonostante che la stessa avesse battuto le stime sugli utili del secondo trimestre. Analoghe flessioni hanno interessato le quotazioni delle azioni dell’azienda statunitense leader nella produzione di processori del tipo AI Nvidia[40] (–6%), della multinazionale statunitense Advanced Micro Device-AMD[41] (–7,5%), come pure, anche se di minore entità, quelle della Qualcomm[42], della Broadcom[43], della Micron Technology[44] e della Arm[45], con l’eccezione della statunitense Intel il cui titolo ha fatto registrare un +5%. Un apprezzamento che ne ha premiato gli sforzi volti al conseguimento dell’assoluta autonomia grazie ad una strategia di lungo periodo che prevede pure la costruzione di numerose foundries dì semiconduttori in tutto l’Occidente al fine arrivare ad un’autonomia produttiva importante che svincoli il destino dei propri chip da tutto quanto accade in Asia. Anche il piccolo produttore a contratto GlobalFoundries [46]è salito di oltre l’13%: un chiaro segnale di sfiducia nel leader TSMC. Interessante notare come tali risultati siano il frutto di scelte aggressive operate negli ultimi mesi dall’amministrazione Biden in perfetta sintonia con la filosofia di Donald Trump che promuove da tempo una salutare de–globalizzazione all’insegna del “mai più regali di know–how a Beijing” in particolar modo per tutto quello che concerne i prodotti altamente tecnologici del tipo AI che favoriscono ulteriormente la capacità produttiva a basso costo del Dragone e la sua competitività sui mercati. Nell’ottica di una tale politica è oltremodo evidente che rischiare un conflitto con la PRC avente per oggetto del contendere la difesa della sovranità di Taiwan non è cosa che possa essere attuata da Biden, non così dicasi per Trump per l’atipicità del personaggio.

 

  1. 2)  la posizione di Trump nei confronti dell’Ucraina. Quantunque non favorevole ad un aiuto a tempo indeterminato a Kyiv, così come promesso a più riprese da Biden, alla fine la posizione del Tycoon si sposa perfettamente con tutti i distinguo e le concrete limitazioni imposte proprio da Biden a tutto ciò che avrebbe potuto ed ancora potrebbe condurre ad un impegno diretto degli Stati Uniti e dei suoi alleati al fronte: da qui, infatti, il “No!”, tanto per citare, deciso e più volte riaffermato degli USA di Biden all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, senza però che questo possa tradursi, nel caso di una presidenza Democratica, in un vero e proprio trarsi di impaccio da una situazione oltremodo a rischio di assumere le caratteristiche di un novello Viet-Nam. Una situazione che con Trump al comando potrebbe facilmente essere risolta con una uscita di campo degli Stati Uniti frutto del diverso ruolo che il Tycoon ha a più riprese dichiarato di voler far assumere agli USA sotto la sua guida. Tanto è stato confermato dal leader Repubblicano con il messaggio consegnato il 19 Luglio 2024 al presidente ucraino Volodymyr Zelensky[47] nella loro prima conversazione dalla famosa, per non dire famigerata, telefonata del 2019 che portò al primo impeachment dell’ex Presidente[48]. Un messaggio semplice e senza possibilità di replica alcuna quello di un Trump che, stando alle agenzie di stampa, avrebbe detto “Metterò fine alla guerra[49]” ed ancora, con riferimento al Presidente ucraino, “Sono contento che mi abbia cercato perché porterò la pace nel mondo e metterò fine alla guerra che è già costata troppe vite e che ha devastato innumerevoli famiglie innocenti[50]” per concludere con un lapidario “Tutte e due le parti saranno in grado di negoziare un accordo che metta fine alla violenza e spiani la strada alla prosperità[51]”. Tanto è avvenuto, vale la pena di sottolinearlo, prima dell’abbandono da parte di Biden della corsa alla Casa Bianca e con toni che hanno inequivocabilmente reso ampia testimonianza della poca fiducia riposta da Zelensky in una vittoria Democratica che ritroviamo tutta nella dichiarazione resa dal Presidente ucraino allorché lo stesso ha reso testimonianza del fatto che con Trump avrebbe “concordato di discutere di persona quali passi possano rendere la pace equa e veramente duratura[52]” seppure precisando di aver sottolineato all’ex futuro Presidente “l’importanza vitale del sostegno americano bipartisan e bicamerale per la difesa della libertà e dell’indipendenza dell’Ucraina[53]”. Quello che gioca un ruolo non secondario in questa complessa e complicata vicenda è, comunque là si voglia mettere, la imprevedibilità di Trump –ed i fatti non è un caso che, se per un verso, nel recente dibattito presidenziale della CNN del Giugno 2024, Trump ha detto che le condizioni di Putin per un accordo – che includerebbe la cessione da parte dell’Ucraina dei quattro territori attualmente occupati dalla Russia – sono “non accettabili”, per un altro verso l’ex Presidente e i suoi alleati hanno anche criticato l’invio di aiuti militari statunitensi a Kyiv[54]. Da un certo punto di vista la posizione di Trump illustrata nello –a dir poco– sconcertante[55] dibattito presidenziale di cui sopra riassume e fa propria la posizione non interventista, seppure orientata al supporto a Kyiv, di Biden, con quella dell’ex Segretario della NATO, Stoltenberg, che si è fatto in passato caldamente sollecitatore di accordi bilaterali, anche di tipo militare, tra Paesi NATO  ed Ucraina che consentirebbero a questa ultima di beneficiare anche di un fattivo eventuale impegno sul campo da parte degli eserciti dei Paesi coinvolti, ma sempre senza che da questo derivi una qualsivoglia entrata in campo della NATO ai sensi dell’Art.5 del Trattato che l’istituisce. A quanto pare, in linea con tutto ciò, i diplomatici di Kyiv da tempo starebbero lavorando a strategie per, persuadere Trump a continuare a supportare l’Ucraina impegnandosi in quella che il The Kyiv Independent, in un articolo del 19 Luglio 2024 intitolato “With a Trump victory more likely, Ukraine launches charm offensive”, ha definito una “charm offensive”[56], ovverosia una campagna calcolata per usare il proprio fascino personale per ottenere favore o sostegno, quindi facendo leva su alcuni dei suoi sostenitori tra i quali Boris Johnson, il fedelissimo di Trump Lindsey Graham, il suo ex segretario di stato Mike Pompeo ma anche Marco Rubio e poi ancora Richard Grenell, ex direttore ad interim dell’intelligence nazionale ed Adrian Karatnycky, senior fellow presso il Consiglio Atlantico con sede negli Stati Uniti: tutti decisi sostenitori degli aiuti americani a Kyiv sia pure in un contesto programmatico, quello approvato dalla Republican National Convention di Milwaukee, in cui il riferimento alla necessità di riportare la “pace in Europa” si accompagna al profondo scetticismo nei confronti di Kyiv di J.D. Vance –il vice di Trump– e all’antipatia di quest’ultimo tanto per la NATO, quanto per quell’Europa alla quale già in passato ha chiesto a più riprese di pagare di più per sostenere Kyiv. Le voci più accreditate sul tema (nulla di ufficiale è mai stato espresso da Trump) parlano di veto all’ingresso dell’Ucraina nella NATO in cambio della pace da parte della Russia, ovvero fanno riferimento alla proposta presentata da due consiglieri all’ex Presidente che prevederebbe che in cui il flusso di armi americane all’Ucraina sia condizionato alla disponibilità di Kyiv ad avviare fattivi colloqui con Mosca significando alla stessa che qualsiasi rifiuto di trattare si tradurrebbe in maggiori aiuti agli Ucraini. È oltremodo interessante notare l’enigmatico comportamento di Trump che, a differenza degli Europei, che hanno –da più realisti dello stesso Re– stigmatizzato il recente tentativo di mediazione di Viktor Orbàn che, in qualità di Presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, il 5 Luglio 2024 ha incontrato, nel pieno esercizio delle sue funzioni, il Presidente Putin a Mosca dopo essere stato anche a Kyiv ed in Cina, non ha esitato di incontrare il Premier ungherese il 12 Luglio a Mar–a–Lago, in Florida, a margine del Vertice NATO di Washington. Allo stesso modo non è secondario prendere atto della complessità della rete di supporto di cui gode Zelensky che vede attivi anche gruppi di pressione di matrice religiosa. A tale proposito sul The Kyiv Independent del 19 Luglio 2024 si può leggere di come “ i Protestanti ucraini che sono stati cruciali negli sforzi di mediazione grazie ai loro legami con la potente lobby evangelica negli Stati Uniti che ha influenza nel Partito Repubblicano[57]” ed ancora “Quest’anno si sono recati negli Stati Uniti per incontrare gli evangelici americani, il che, secondo quanto riferito, ha contribuito a influenzare il presidente della Camera Mike Johnson, repubblicano e battista del Sud, a ottenere la benedizione di Trump per far passare 60 miliardi di dollari in aiuti critici per l’Ucraina, che il partito di Trump stava bloccando da più di metà anno[58]”. A tale proposito Brian Mefford, un consulente politico americano che lavora in Ucraina da 25 anni, ha sottolineato l’importanza dei rapporti con i Cristiani Evangelici in quanto proprio loro sono gli attivisti chiave del Partito Repubblicano[59]. Il quadro che emerge da tutto questo, nonché la complessità delle relazioni cui qui abbiamo accennato ci permette di gettare una luce totalmente diversa su quanto accade, su come tutto quanto viene comunicato al grande pubblico è frutto più che altro della sinergica interazione di raccoglitori di informazioni e comunicatori organizzati come una rete facente capo, nel caso in oggetto, all’ambasciata dell’Ucraina negli Stati Uniti ed avente, come obiettivo precipuo, quello di intensificare le comunicazioni con il team di Trump e impiegare più persone e più denaro a tale scopo per arrivare, ad esempio, come si legge nel The Kyiv Independent, a “conoscere Vance, il principale alleato mediatico di Trump, Tucker Carlson, e altri influencer e decisori” nonché conoscere l’agenda dei think tank affiliati al partito repubblicano, come il Quincy Institute for Responsible Statecraft, il Cato Institute e la Heritage Foundation”[60]. Solo in tale modo, stando a quanto è stato sottolineato dal consulente intervistato dal The Kyiv Independent, l’Ucraina potrebbe avere  “un’idea di chi sono le personalità dietro l’attuale squadra di Trump[61]”. Il perché di questo modus operandi è presto detto: “Se otterrete questa matrice e se i vostri collaboratori saranno in contatto con loro, avrete una migliore comprensione di chi contattare e un’idea dei problemi e delle influenze su molte di queste personalità, di chi sta promuovendo quale agenda e di chi è un agente di influenza russo[62]”. Alla fine, al di là di tutta la retorica omaggiata dal mainstream e dai cosidetti esperti ai comuni cittadini, questo conflitto, la sua gestione e come finirà non hanno nulla a che vedere con i cosiddetti valori Occidentali, la denazificazione dell’Ucraina, l’autodeterminazione dei russofoni del Donbass ed altre retoriche similari, bensì tutto con una serie di interessi di ben altro genere il cui perseguimento passa per un conflitto che, seppure colpisce l’immaginario collettivo, nulla o quasi ha in realtà a che vedere con quello che ai più e perfino ai Governi è dato cinicamente ad intendere. Da questo punto di vista è oltremodo interessante notare quanto espresso dall’analista politico ucraino poli, noto ospite fisso dei notiziari della televisione ucraina controllata dallo Stato in tempo di guerra, allorché ha affidato al The Kyiv Independent del 19 Luglio scorso la seguente considerazione: “Data l’alta probabilità di vittoria di Trump, l’Ucraina sta cercando di avere accesso alla squadra di Trump[63]” ed ancora “Il capo dello staff di Zelensky, Andriy Yermak, che è responsabile dei contatti con gli Stati Uniti, ha dato istruzioni di cercare contatti con il team di Trump[64]”. Il motivo è alquanto semplice: se il team di Zelensky non intensificasse gli sforzi per raggiungere gli uomini di Trump, “potrebbe finire in un altro pasticcio partigiano simile a quello che è successo dopo l’entrata in carica di Zelensky”, in quanto in questo caso, rischierebbero di essere visti dai Repubblicani come “procuratori del team di Biden” e di perdere anni di forte sostegno bipartisan repubblicano-democratico: in definitiva, quindi, è a questo e solo a questo calcolo che dobbiamo la telefonata di Zelensky a Trump, l’attestazione di stima al Tycoon, le felicitazioni per lo scampato pericolo il giorno del fallito attentato alla vita dell’ex–Presidente statunitense, per non parlare della dichiarazione di Zelenskyj relativa alla sua, a questo punto, palesemente falsa dichiarazione di apertura alla partecipazione della Russia al prossimo vertice di pace internazionale che sosterrà il suo piano per porre fine alla guerra, vertice al quale, a quanto pare, i funzionari russi avrebbero escluso la partecipazione di Mosca. Proseguendo con la serie di considerazioni strategiche relative agli approcci imprenditoriali e morali a Trump merita prendere in esame quanto segue. Stando a quanto riportato da Oleg Sukhov ed Owen Racer nel loro summenzionato articolo pubblicato dal The Kyiv Independent, tanto il ben noto politologo ucraino Volodymyr Fesenko quanto un anonimo, ma decisamente ben informato, sostenitore di Trump basato in Ucraina avrebbero affermato che il team di Zelensky da qui in poi dovrebbe tenere conto del fatto che Trump è un uomo d’affari e che pertanto sarebbe quanto mai opportuno adottare nei colloqui un approccio di tipo commerciale. E questo evidenzia come a Kyiv vedono gli Stati Uniti e la sua leadership (e di fatto tutti noi Europei della EU) se solo si pensa che a Kyiv vi è chi  ritiene di poter influenzare la politica del più grande e potente Stato del pianeta allettandone la sua leadership in fieri con proposte prese a prestito e/o strutturate con quel certo marketing, tutto sommato di basso profilo, che imperversa, tanto per dira,  su piattaforme come Tik Tok e nel web in generale. E poco importa che “il sostenitore di Trump” rimasto anonimo –di cui si parla nell’articolo– e più volte menzionato esista o meno, perché ciò che a questo punto conta è la sostanza, e la sostanza è che, a detta di personaggi che in Ucraina vivono, lavorano e a vario titolo sono prossimi alle stanze del potere politico, Kyiv, per accaparrarsi i favori di Trump e del suo MAGA, potrebbe offrire “proposte di valore” collegate a progetti congiunti di energia verde, a maggiori forniture di gas naturale liquefatto degli Stati Uniti all’Ucraina e all’offerta alle aziende americane che cercano di diversificarsi dalla Cina la possibilità di sfruttare le grandi riserve ucraine di materie prime critiche come, ad esempio, il litio. Ora, che a sostenere una tesi strategica così concepita sia quel Fesenko che ha ipotizzato che “le aziende statunitensi potrebbero essere interessate a contribuire al ripristino del settore energetico ucraino, pesantemente bombardato dagli attacchi aerei russi, e alla costruzione di nuove centrali nucleari, comprese le future tecnologie dei piccoli reattori nucleari modulari in fase di sviluppo[65]” in quanto, a suo dire “Trump vorrebbe sapere in che modo gli aiuti statunitensi all’Ucraina sarebbero redditizi per gli Stati Uniti[66]”, è una cosa, ma che a farlo sia un Tymofiy Mylovanov, economista ucraino nonché consigliere dell’amministrazione di Zelensky, ha un ben altro peso e rilevanza soprattutto alla luce di chi è il prof. Volodymyr Fesenko: uno studioso ed attento osservatore ucraino particolarmente apprezzato per la sua imparzialità, direttore del Centro Penta per la ricerca politica applicata, membro del Consiglio Pubblico del Ministero degli Affari esteri dell’Ucraina e del Consiglio consultivo russo-ucraino. Quello di Fesenko, poi, è un curriculum di tutto rispetto: laureatosi presso la Facoltà di Storia dell’Università Statale di Kharkiv, ha completato gli studi post-laurea presso l’Università Nazionale Shevchenko con un dottorato in Filosofia. Tirocinante presso la Columbia University e la Queens University, è stato professore associato e docente presso istituzioni ucraine di istruzione superiore, nonché autore di oltre 80 pubblicazioni scientifiche e didattiche. Tornando a noi va aggiunto che nello specifico della questione trattata va sottolineato che, a quanto pare, Tymofiy Mylovanov avrebbe affermato che la creazione di un buon clima per gli investimenti delle imprese statunitensi potrebbe essere d’aiuto in quanto… “Questo funziona sempre, sia sotto Biden che sotto Trump[67]”. Un’affermazione che non poco fa passare del tutto in secondo piano, per giunta dequalificandola non poco, tutta la retorica della amministrazione Biden sul caso Ucraina, come del resto quella della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, della Premier italiana Giorgia Meloni, dell’ex Premier italiano Mario Draghi, del Presidente francese Macron e via discorrendo. Per somma il fatto che lo stessoTymofiy Mylovanov abbia affermato (con indubbio apprezzabile pragmatismo, sincerità ed onestà intellettuale) “Se creiamo delle condizioni (per le imprese americane), questo è sempre un vantaggio[68]”, deve non poco stimolarci ad una lettura diversa della vicenda ucraina, una lettura più di testa e meno… per così dire “di pancia”. A confermare tanto la bontà di questo assunto strategico, quanto l’implicito giudizio sulla reale ben poca valorialitá etica di certe scelte Occidentali (di quella caratterizzante le scelte della Federazione Russa già sappiamo perché molto è stato detto e scritto anche con oggettività, tanto in positivo quanto in negativo) sono giunte le illuminanti parole dell’ex ambasciatore americano in Ucraina, John Herbst, che ha posto in evidenza che “nonostante tutte le peculiarità del rapporto Trump-Zelensky, Trump riconosce che Zelensky è un grande venditore[69]” e che, anche se tutto questo potrebbe essere visto come un peggiorativo, noi tutti sappiamo che “a Trump piacciono le persone di successo e, in ogni caso, Zelensky ha avuto successo come intrattenitore e uomo d’affari, e finora ha avuto successo come Presidente[70]”. Il drammatico quadro che emerge da tutte queste considerazioni poggia su un dato di fatto che il 16 Aprile 2024, il già menzionato politologo ucraino Volodymyr Fesenko ha mirabilmente sintetizzato affermando, con lucido laconico disincanto, che “Half of the ‘Peace plans’ are fake”: una affermazione, quest’ultima, che ha dato lo spunto per il titolo di un interessante articolo “Volodymyr Fesenko: Half Of ‘Peace Plans’ Are Fake[71]” nel quale testualmente si può testualmente leggere: “Metà dei ‘piani di pace’ elencati sono falsi. Ad esempio, non esiste un piano di pace di Trump. Una delle principali testate americane ne ha parlato, ma non si tratta del piano annunciato da Trump. Si tratta di indiscrezioni studiate per giocare contro Trump, sfruttando la sua posizione ambigua sulla guerra russo-ucraina”. Ed ancora “A quanto pare, non esiste nemmeno un piano turco. La Turchia non conferma ufficialmente da nessuna parte che questo sia il suo piano. Ho già espresso l’opinione secondo cui si tratta piuttosto del piano dell’oligarca russo Roman Abramovich, che promuove attraverso la Turchia”. Alla fine la ragione per la quale di recente, a più riprese, si è parlato più o meno a sproposito di così tanti e variegati presunti piani di pace risiederebbe in fattore principale che, sempre a detta di Fesenko, spiegherebbe perché Putin, Lavrov e Zakharova hanno iniziato a sollevare a più riprese questo tema, guarda caso solo dopo che sono  stati resi noti la data (15–16 Giugno 2024) e la località (Svizzera) in cui avrebbe avuto luogo il Vertice Globale sulla Pace. Una pace che, aggiungo io, alla Federazione Russa sembra interessare al momento poco o nulla visto che il protrarsi del conflitto sta aggravando ogni giorno di più la situazione economica e finanziaria dell’Europa, la sua stabilità e pseudo coesione nella EU e pure nella NATO. Per somma, come ci ha tenuto a precisare Fesenko, la cosa appare a maggior ragione strana visto che il programmato vertice non rappresentava in alcun modo un negoziato essendo  “una discussione sulla formula di pace del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sulla posizione dell’Ucraina su come porre fine alla guerra e sul tentativo di trovare una piattaforma comune. Prima di tutto, con i Paesi del Sud globale[72]”. Interessante il riferimento ai Paesi del Sud Globale cui credo sia difficile poter pensare senza tenere in debito conto a chi questi guardano ed al fatto che la cosa, qualora l’obiettivo venisse raggiunto, poco potrebbe piacere a Washington così come a Mosca.
    Non credo sia casuale che Fesenko abbia sottolineato che il modus operandi adottato ha avuto come primo obiettivo l’evitamento che vi fosse solo una posizione dell’Ucraina. Per poter arrivare alla pace serve palesemente (difficile dissentire) “un’opzione di compromesso, forse una tabella di marcia per un intero gruppo di Stati[73]”.

 

  1. 3)  La posizione di Trump e quella dell’establishment USA (quindi dell’accoppiata Biden–Harris) sulla questione Gaza, che ci ha già mostrato una Harris oltremodo contraddittoria ed in palese imbarazzo

 

A questo punto non resta che attendere con pazienza il corso degli eventi di una vicenda elettorale che sicuramente rappresenta uno spartiacque nella storia dell’intero Occidente e della cui portata pochi paiono essersi resi pienamente conto soprattutto in Europa.

 

 

 

 

[1] “AFT endorses Joe Biden and Kamala Harris in 2024 Democratic primary” https://www.aft.org/news/aft-endorses-joe-biden-and-kamala-harris-2024-democratic-primary
[2] “AFT endorses Joe Biden and Kamala Harris in 2024 Democratic primary” https://www.aft.org/news/aft-endorses-joe-biden-and-kamala-harris-2024-democratic-primary
[3] “AFT endorses Joe Biden and Kamala Harris in 2024 Democratic primary” https://www.aft.org/news/aft-endorses-joe-biden-and-kamala-harris-2024-democratic-primary
[4] POLITICO, 20 Luglio 2024 https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[5] POLITICO, 20 Luglio 2024 https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[6] POLITICO, 20 Luglio 2024 https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[7] POLITICO, 20 Luglio 2024 https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[8] https://italian.cri.cn/2024/08/20/ARTIMMt7DpC2JfRFzUT4CaeY240820.shtml
[9] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[10] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[11] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[12] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[13] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[14] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[15] https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[16] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[17] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[18] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[19] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[20] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[21] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[22] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[23] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[24] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[25] https://www.nytimes.com/2024/08/23/us/politics/kamala-harris-speech-transcript.html
[26] https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/estero/politica-internazionale/18859-biden-unuscita-di-scena-strategica-quale-futuro-per-lunione-europea.html
[27] https://www.politico.com/news/2024/07/20/democrats-harris-biden-elections-00169908
[28] https://www.bbc.com/news/articles/cged20l3nq8o
[29] https://www.bbc.com/news/articles/cged20l3nq8o
[30] https://www.corriere.it/esteri/24_agosto_20/kamala-il-super-finanziatore-i-sondaggi-non-sono-buoni-come-sembrano-9915223e-0b51-4512-900b-1f49d1dd6xlk.shtml
[31] https://www.corriere.it/esteri/24_agosto_20/kamala-il-super-finanziatore-i-sondaggi-non-sono-buoni-come-sembrano-9915223e-0b51-4512-900b-1f49d1dd6xlk.shtml
[32] https://projects.fivethirtyeight.com/2024-election-forecast/
[33] https://www.corriere.it/esteri/24_agosto_20/kamala-il-super-finanziatore-i-sondaggi-non-sono-buoni-come-sembrano-9915223e-0b51-4512-900b-1f49d1dd6xlk.shtml
[34] https://www.270towin.com/2024-presidential-election-polls/
[35] https://projects.fivethirtyeight.com/2024-election-forecast/
[36] https://projects.fivethirtyeight.com/2024-election-forecast/
[37] https://www.corriere.it/https:/www.corriere.it/esteri/24_agosto_17/kamala-harris-vara-il-piano-contro-il-carovita-e-ritrova-biden-fd65aeab-a5e3-4e53-8308-b337e06e9xlk.shtml
[38] https://www.ilsole24ore.com/art/trump-molla-taiwan-e-affossa-settore-chip-crolla-nvidia-brilla-intel-AF8W01uC
[39] https://www.ilsole24ore.com/art/tsmc-boom-ricavi-ma-pesano-parole-trump-AFFYSnvC
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[46] https://it.wikipedia.org/wiki/GlobalFoundries
[47] https://edition.cnn.com/2024/07/19/politics/donald-trump-zelensky-phone-call-2024/index.html#:~:text=Zelensky%20concluded%2C%20
[48] https://edition.cnn.com/interactive/2019/12/politics/trump-ukraine-impeachment-inquiry-report-annotated/
[49] https://www.rainews.it/maratona/2024/07/guerra-in-ucraina-trump-zelensky-mettero-fine-alla-guerra-e4a78487-2787-4793-b515-c2f7ce7e9ddd.html
[50] https://www.rainews.it/maratona/2024/07/guerra-in-ucraina-trump-zelensky-mettero-fine-alla-guerra-e4a78487-2787-4793-b515-c2f7ce7e9ddd.html
[51] https://www.rainews.it/maratona/2024/07/guerra-in-ucraina-trump-zelensky-mettero-fine-alla-guerra-e4a78487-2787-4793-b515-c2f7ce7e9ddd.html
[52] https://edition.cnn.com/2024/07/19/politics/donald-trump-zelensky-phone-call-2024/index.html#:~:text=Zelensky%20concluded%2C%20
[53] https://edition.cnn.com/2024/07/19/politics/donald-trump-zelensky-phone-call-2024/index.html#:~:text=Zelensky%20concluded%2C%20
[54] https://edition.cnn.com/2024/07/19/politics/donald-trump-zelensky-phone-call-2024/index.html#:~:text=Zelensky%20concluded%2C%20
[55] https://edition.cnn.com/2024/06/28/politics/foreign-diplomats-biden-debate-reaction/index.html
[56] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[57] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[58] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[59] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[60] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[61] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[62] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
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[68] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[69] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[70] https://kyivindependent.com/as-trumps-victory-becomes-more-likely-efforts-underway-to-sway-him-to-ukraines-side/
[71] https://charter97.org/en/news/2024/4/16/591725/
[72] https://charter97.org/en/news/2024/4/16/591725/
[73] https://charter97.org/en/news/2024/4/16/591725/

TAG: Biden, Kamala Harris, Presidenziali Usa 2024, Trump
CAT: Geopolitica

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