Geopolitica
Dove sono i pacifisti
«Non possiamo più inchiodarci a recitare la parte dei pacifisti che sbucano fuori solo quando ci sono i rumori di guerra. Sventolare bandiere arcobaleno, lanciare appelli, fare manifestazioni, marce straordinarie, raccogliere firme, è pure cosa giusta ma ora sarebbe assolutamente inadeguato. Serve dare una risposta spiazzante alla domanda “dove sono i pacifisti?”: non ci troverete nelle piazze dove ci cercate, perché siamo dove la pace si costruisce, dove la non violenza si organizza. Siamo dove ci sono le vittime della guerra, siamo dove c’è la resistenza civile, siamo dove si pratica il disarmo. Non ci troverete, perché siamo in luoghi reali che non conoscete» (Mao Valpiana).
C’è un mantra che oggi tutti ripetono: fermiamo le armi, la pace si costruisce con la politica.
Tranne dimenticarsi poi di dire come si fa. Magari anche prima e oltre i momenti di emergenza quando sono le bombe a dettare legge.
Si potrebbe apprendere dalla lunga storia del pacifismo italiano.
Ad esempio. Quando Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e deputato, capì negli anni 50 che la guerra fredda avrebbe condannato la politica internazionale ad un’ingessatura che non avrebbe lasciato spazio per uscire dalla logica della deterrenza, inventò un’azione politica che ignorasse stati e governi per coinvolgere invece le città. Eccolo in un discorso del 1967: «C’è una cosa che le città intendono fare in questo Congresso di Parigi: collaborare alla unità del mondo, alla unità delle nazioni: esse vogliono unirsi per unire le nazioni; per unire il mondo.
Vogliono creare un sistema di ponti -scientifici, tecnici, economici, commerciali, urbanistici, politici, sociali, culturali, spirituali- che unisca le une alle altre, in modo organico, le città grandi e piccole del mondo intero. Se l’unità delle nazioni non è ancora possibile noi pensiamo che sia possibile l’unità delle città, il loro collegamento organico attraverso l’intero pianeta. Questa idea semplice può diventare un tessuto unitivo destinato a fasciar di pace e di progresso le città, le nazioni ed i popoli del mondo intero».
Ma possiamo arrivare ai nostri giorni e pure trovare qualcosa di assai interessante parlando di impegno per il disarmo nucleare.
Quasi una prosecuzione del progetto di La Pira perché le bombe nucleari sono urbicide e si dirigono non a colpire eserciti, ma a distruggere città e sterminare civili.
E’ ciò che racconta, a proposito di impegno antimilitarista, il libro di Francesco Vignarca, IL DISARMO NUCLEARE. E’ l’ora di mettere al bando le armi nucleari. Prima che sia troppo tardi, Altreconomia.
Vi viene narrato l’impegno di una caparbia società civile globale, con il supporto di alcuni Paesi, che ha permesso un percorso di “iniziativa umanitaria” che nel 2017 ha portato alla stesura di un Trattato di proibizione delle armi nucleari, prima norma internazionale di messa al bando di queste armi di distruzione di massa, entrata in vigore nel gennaio 2021 con l’adesione di 60 Paesi. La campagna, con caratteri inclusivi e ampi, è stata coordinata da ICAN una coalizione di organizzazioni non governative di cento paesi che ha promosso l’adesione al Trattato con una struttura composta da organizzazioni partner, da un gruppo direttivo internazionale e da uno staff internazionale con sede a Ginevra dal 2011. In Italia partner di ICAN è Rete pace e disarmo che oggi sostiene e promuove la campagna ITALIA RIPENSACI.
Ecco dove sono i pacifisti.
E chiedono a noi quale responsabilità vogliamo mettere in campo per cercare di mettere le armi nucleari e tutte le altre armi, fuori dalla storia.
Vignarca nelle parole finali del libro: «Gli strumenti per farlo sono tanti, le campagne della società civile sono pronte con i loro percorsi efficaci a cui tutti possono accedere facilmente per dare il proprio contributo. Le motivazioni etiche, morali ma anche politiche di queste campagne sono chiare ed esplicite. Cristalline e oneste. E riescono a smontare tutte le false teorie che danno falsamente un valore positivo all’arma nucleare, invece nata e utilizzata per un mantenimento tossico del potere e per una “finta” sicurezza, in realtà basata sulla minaccia di distruzione totale. Possiamo accettare una simile connivenza per rimanere nelle nostre condizioni tranquille e privilegiate? Tocca a noi cercare di realizzare un risultato inedito nella storia politica e militare del mondo: rimettere questo male assoluto nel vaso di Pandora nucleare. Decidere insomma di privarci di uno strumento distruttivo già inventato togliendolo dal novero delle possibilità per un bene comune maggiore. Solo cosi saremo davvero in grado di ricordare, ma, soprattutto, onorare la nostra umanità: camminando insieme sulle strade del disarmo nucleare».
ICAN ha ricevuto nel 2017 il premio Nobel per la pace. Alla cerimonia di consegna ha preso la parola Setsuko Thurlow (ibakusha cioè sopravvissuto ai bombardamenti atomici del Giappone), leader della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari e ha detto: «Io ripeto le parole che mi furono dette tra le rovine di Hiroshima: “Non arrendetevi! Continuate a spingere! La vedete la luce? Strisciate verso di essa”.
Questa sera, quando marceremo per le vie di Oslo con le fiaccole accese, lasciate che ciascuno segua l’altro fuori dalla notte oscura del terrore nucleare. Non importa quali ostacoli ci attendono, noi continueremo a muoverci e continueremo a spingere e continueremo a condividere questa luce con gli altri. Questa è la nostra passione e questo è il nostro impegno perché questo prezioso mondo, l’unico che abbiamo, possa continuare ad esistere».
I proventi da diritti d’autore del libro verranno destinati alla Rete Pace Disarmo.
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