Diario Catalano, nella piazza che chiede l’indipendenza
Diario Catalano #day1
Premessa n.1 o del perché sono qui
Sono un turista.
A Barcellona ogni anno ne arrivano circa 32.000.000.
32 Milioni.
Quindi non sono una rarità. Sono pure Italiano e qui ne vivono un mucchio oltre ai turisti. (25.000 circa ma credo sia un dato in difetto.)
Ho una particolarità però: un amico fraterno che ha vissuto qui negli ultimi 7 anni e qui ha comprato casa. Ora vive a Milano ma la casa se l’è tenuta. Questo particolare ha fatto sì che sia venuto a Barcellona un numero non più calcolabile di volte, o con lui o da solo, o con altri amici, approfittando dell’ospitalità. Tanto che ho sviluppato un profilo particolare di turista: gironzolo la città senza bisogno di cartine o indicazioni, ho delle strade preferite, ho dei locali preferiti, una spiaggia preferita. Ho perfino una bancarella del mercato di riferimento e non è nemmeno alla Boqueria (il mercato più famoso).
Conosco delle persone che vivono qui e quando un amico viene in vacanza ho pronta un email con tutti i consigli utili per godersi il soggiorno. Insomma è diventata un poco la mia seconda città. Ma resto un turista. Ero qui anche il 17 agosto. Il giorno della “furgoneta” contro le persone sulla Rambla. Per dire.
Premessa n.2 o delle cose doverose da dire
Non mi sono mai troppo interessato alla questione dell’indipendenza catalana.
Li ho sempre considerati come semi-leghisti preoccupati di tenersi le risorse economiche e tesi a escludere gli “altri” grazie anche a una lingua complicata da imparare e da capire.
Approccio superficiale. A dire poco. Un po’ mi sono documentato, ho letto qualche articolo interessante meno mainstream e con l’occasione del referendum, più o meno a fine agosto, ho preso un volo con l’idea di osservare da vicino un momento storico per la Catalunya. Ancora non c’erano stati arresti, sequestri e prese di posizione dure del governo di Madrid.
Poi tutto è cambiato e oggi sono qui senza sapere bene cosa aspettarmi.
Questo diario dunque non è una cronaca dei fatti, non ha la pretesa di spiegare alcunché. Restituisce un punto di vista parziale, superficiale non esaustivo. Quello che vedreste insomma se voi foste qui.
Day1
Si comincia.
Eseguo la consueta routine: sbarco, aerobus, € 5.90, “merci” (fa tanto catalano), parada Urguell, St.Antoni, Raval, Riera Alta, casa.
Svuoto lo zaino ed esco subito. Voglio sentire l’aria che frizza. Frizza? Vediamo se frizza. Ad oggi (giovedì) non è chiaro cosa succederà domenica: il referendum ci sarà ? Non ci sarà? Cosa farà la polizia? Mi aspetto un clima teso, di mobilitazione permanente.
Il Raval lo storico quartiere popolare (leggi: malfamato) di Barcellona, oggi multietnico, vitale e “riqualificato”, dove per altro ha la casa l’amico mio mi pare il Raval di sempre. Il 17 agosto ero nel Raval. A 700mt dalla Rambla e dal terrore delle persone. E vi assicuro che non era il Raval di sempre. Silenzio, teste basse, strade vuote e negozi chiusi.
Oggi invece siamo tornati all’antico ma le poche bandiere a strisce giallo/rosse con la stella bianca su triangolo blu, non sono una novità. Il fatto che siano poche, intendo. La maggioranza degli abitanti del Raval (come del centro di Barcellona del resto) non è catalana e non mi stupisce che la causa non sia così sentita. O quantomeno non appaia così.
Mi aspetto qualcosa di diverso in centro, nei quartieri del Gotico, nel Borne o la Ribera. In effetti in parte è così. Manifesti, striscioni, volantini. Ovunque c’ il segno di una mobilitazione. Ma di bollicine nemmeno l’ombra, nei quartieri del turismo di Barcellona.
In placa de la seu, la piazza della Cattedrale mi imbatto in una manifestazione. Bene. Ci siamo.
La piazza è piena ma non è una moltitudine. Non sembra una moltitudine. Molte generazioni. Tutti con la bandiera sulle spalle. Il clima è sereno, pochissima polizia. Non più del solito.
Parole che non comprendo e applausi. La piazza si scioglie e io davvero fatico a inquadrare la situazione. Mi par di capire, anche leggendo qualche articolo che in questo momento le cose stanno succedndo altrove. Al chiuso, Nelle mobilitazioni che possano favorire lo svolgimento del referendum. Nelle scuole, nei partiti. Nelle sedi elettorali. A questo si punta.
La piazza forse non serve in questo momento o forse, semplicemente non è questa la piazza e io sono nel posto sbagliato. Un turista a fianco a me, lamenta in romanesco quanto sia faticoso farsi la città a piedi e io ho la sensazione di non cogliere il punto.
Forse dovrei parlare con le persone. Sicuramente dovrei. Ma per questo aspetterò il mio amico nei prossimi giorni, un po’ per la lingua un po’ perché voglio lasciarmi lo spazio per capire delle cose senza farmele raccontare da nessuno. Mi affido a un domani migliore, in tutti i sensi possibili e immaginabili e dopo la consueta caña in un bar del borne, affogo i miei dubbi dentro un curry vietnamita, in uno dei miei ristoranti preferiti nel Raval.
Un commento
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Giusto nel Raval, ieri, hanno occupato una scuola. Per chi vive qui, come me, l’atmosfera in città non è la solita, non è quella di sempre. Non da falneur affezionato come sei tu, cosa si percepisce. Ma da residente, da straniero poi che non vota ed è spettatore, le sensazioni sono molto contrastanti e decise. È qualcosa che non si vede, ma se hai questa città sulla pelle, la percepisci. La piazza verrà dopo secondo me, ed è già venuta, la settimana scorsa. Verrà una volta che il sole avrà tramontato sull’1 ottobre e si dovrà capire cosa fare, nel bene e nel male, si voti o non si voti, vinca il sì o vinca il no.