Sicilitudine
Mi chiedo spesso quale sia l’ingrediente fondamentale per far si che un’immagine possa essere intrisa di forza narrativa. Come può un fotografo attraverso uno scatto far rievocare ricordi ed emozioni in chi lo guarda? Nella foto del fotografo catanese Turi Calafato, vincitrice del Sony World Photography Awards 2015 nella categoria Mobile, vi è tutto questo. Osservandola si percepisce sulla pelle il calore del sole rovente siciliano in un qualunque giorno d’Agosto. Vibrano dentro l’anima di ogni isolano dei ricordi che riportano a quando da fanciulli si passavano le giornate al mare. Tipiche erano queste scene: dalla signora che taglia una fetta d’anguria al marito che si sollazza all’ombra, alla pace, al rumore silenzioso delle onde del Mare Nostrum, al giallo della sabbia colore della paglia, come la definì Quasimodo, che quasi abbaglia la vista. Tanti infatti sono stati gli artisti che hanno parlato nel passato di Sicilia, della sua forza e della sua storia , patendo come tutti gli isolani la sicilitudine. Turi Calafato è riuscito a trasmettere questo, quella sicilitudine che alla fine accomuna noi isolani, quel sentimento che tiene ancorati culturalmente e fisicamente a quest’isola che tanto ha da raccontare attraverso la sua storia e le sue genti. L’immagine, come quasi fosse uno Stargate, ci catapulta agli anni ’70: i soggetti sembrano statici, annoiati, astenici, deteriorati, ma in realtà chi almeno una volta ha passeggiato tra le nostre spiagge, può capire che invece sono scene senza tempo, perché ieri, come oggi e domani, la Sicilia e i siciliani sono riusciti a mantenere la loro identità, le loro tradizioni, abitudini e quella forte personalità che non si lascia scalfire dai tempi moderni.Calafato è riuscito a smuovere quel senso primordiale di appartenenza che identifica ogni individuo, che spesso a causa della frenesia e della pochezza con cui si vive il proprio tempo libero, dà tutto per scontato. In tutta la sua produzione fotografica si può captare un’innata empatia nei confronti dei soggetti immortalati, con un linguaggio ben definito.
“Un’immagine per funzionare oltre un certo livello non si può limitare a rappresentare l’autore o una situazione, ma deve avere all’interno degli elementi che fanno scaturire un qualcosa nell’osservatore.
La fotografia è un dialogo fra chi fotografa, i soggetti fotografati e chi osserva; questo dialogo per funzionare appieno deve avere degli elementi universali ed inconsci molto forti.
Le foto sono solo delle porte verso sensazioni, emozioni e ricordi.”
(cit. Turi Calafato)
2 Commenti
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La foto è impietosa, ritrae dei poveri popolani in disarmo. Non vi vedo alcun elemento identitario, piuttosto uno strazio dell’anima nel cogliere gente inavvertita in un momento di abbandono. Per la sicilitudine, da siciliano, pensa che sia una malattia tossica quando giustifica l’esistente; amo a tal proposito sempre avvertire con le parole di Brancati: “Occorre amarsi di meno”. E’ l’unico modo per accedere alla modernità, che, in fondo, è la cosa più urgente da fare, se possibile portandosi appresso la propria identità (come hanno fatto i giapponesi in cui tradizione e modernità convivono) altrimenti dismettendola per sempre, perché forse è il primo ostacolo alla modernità stessa.
cara Roselena Ramistella, a parte che questa immagine mi fa tenerezza e anche un po’ invidia, ritengo che sia sminuente considerarla emblema di sicilitudine. Capisco l’emozione che può suscitare, ma la Sicilia che io ho conosciuto non la riconosco in questa foto, o quantomeno non solo…..