Tasse
Attenti alle foto finte sui social: i controlli fiscali arrivano davvero!
Tema delicato e sempre più attuale è il peso che i social network hanno assunto nella quotidianità di ciascuno. Un’attività che, sebbene pochi oggi ci pensino, rischia di avere per gli utenti conseguenze fiscali ed economiche affatto secondarie.
I social racchiudono le aspirazioni, i desideri e i sogni a occhi aperti che la tecnologia permette di realizzare, e sono quindi una fonte inesauribile di dati e informazioni che parlano di coloro che li utilizzano. Ebbene, in un’epoca in cui il Fisco manifesta una sempre crescente esigenza di controllo della collettività in nome della “guerra santa all’evasione fiscale”, è interessante domandarsi che uso possa esser fatto nel corso delle verifiche da parte della Guardia di Finanza dei dati condivisi sui social network
Sappiamo che il Fisco dispone di molti strumenti per controllare i contribuenti e per riscontrare, in sintesi, che quanto dichiarato rispecchi realmente il tenore di vita goduto.
E se fosse tutto un bluff? È vero che i social parlano (e tanto!) della nostra vita, ma siamo sicuri che i racconti siano sempre attendibili?
Poniamo il caso che la Guardia di Finanza per verificare la situazione di un contribuente decida di avvalersi anche della moltitudine vorticosa e compulsiva di “pubblicazioni” sui social; fenomeno, questo, che, secondo la stessa Guardia di Finanza, sarebbe in atto dal 2018.
In questi contenitori virtuali i membri della collettività – in maniera spesso superficiale – postano e, quindi, ostentano in rete macchine, moto, viaggi, vacanze da sogno, soggiorni in alberghi da mille e una notte (naturalmente sui social è sempre tutto stellare oltre che stellato!) e danno libero sfogo alla nuova malattia del millennio il presenzialismo – virtuale – ossessivo a eventi selettivi in ambienti ricercati e sfarzosissimi.
Attenzione: è piuttosto importante ridimensionare la portata delle informazioni ritraibili dai social, ponendo la giusta attenzione al valore probatorio dei dati pubblicati, nonché all’attendibilità e alla veridicità degli stessi.
Se, infatti, è vero che i social sono una grande fonte di informazioni, è del pari vero che debbono essere – giustamente – considerati per ciò che sono realmente: un gioco.
Occorre non dimenticare mai che ciò che viene pubblicato è spesso lontano anni luce da ciò che realmente è posseduto. Si pensi al risultato che si ottiene dall’utilizzo alterato della funzione di registrazione in una località e il sapiente impiego di programmi come photoshop, fruibili da tutti: un soggetto comodamente seduto sul divano di casa propria può collocarsi, documentandolo e diffondendo la notizia, in un posto che sogna, che non ha mai visto e che forse non vedrà mai. Ad esempio, potrei “localizzarmi” allo stadio per la finale di Champions pur essendo realmente dal vicino di pianerottolo.
Insomma, il grado di attendibilità delle pubblicazioni sui social, nella maggior parte dei casi, è risibile.
Inoltre, la verifica sulla veridicità dei contenuti virtuali è decisamente complicata. A questo profilo, che già pone in evidenza limiti non indifferenti all’uso in sede di controllo di informazioni virtuali, è connesso, poi, il problema della corretta attuazione dell’onere della prova.
Se, a esempio, la Guardia di Finanza, durante una verifica da cui emergono incongruenze, decidesse di valorizzare le foto di viaggi e di auto postate in rete, certamente al contribuente non potrebbe essere chiesta la prova negativa (o diabolica), e cioè la dimostrazione di non essere mai stato nel luogo dove si è registrato, oppure di non possedere la macchina postata (anche perché una crisi di identità virtuale lo attanaglierebbe in un attimo). Incombe, infatti, sul Fisco l’onere positivo della prova di quanto valorizzato con strumenti specifici e costosi in termini di tempo e di risorse economiche.
Il tema è stimolante, le criticità non mancano, ma occhio perché c’è un serio rischio che alla fine vanità e presenzialismo virtuali ci seppelliscano sotto un mucchio di tasse reali!
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