Risparmio

Perché ci vuole un po’ di concorrenza tra fondi pensione e piani individuali

21 Marzo 2015

Il diritto alla portabilità del contributo datoriale alla previdenza complementare introdotto dall’art. 15 del Ddl Concorrenza ha scatenato la contrarietà dei fondi pensione negoziali, che temono un assalto dei consulenti finanziari ai propri iscritti analogo a quello che si verificò tra gli anni ’80 e ’90 nel Regno Unito.

Condivido il fatto che una maggiore concorrenza nel settore del risparmio, soprattutto di quello previdenziale, sia auspicabile solo se vengono tenute presenti le endemiche distorsioni cognitive e la valenza sociale che lo caratterizzano. Un conto è ampliare la libertà di scelta della compagnia telefonica, eliminando costi e altre barriere all’uscita, un altro è fare la stessa cosa con i fornitori di servizi di gestione dei risparmi previdenziali.

Ciò detto, credo che siano proprio le endemiche distorsioni cognitive di cui sopra a rendere in molti casi necessaria l’azione di un professionista qualificato per indurre i lavoratori a pianificare il proprio futuro pensionistico. L’evidenza empirica mostra che i lavoratori, spontaneamente, hanno una tendenza vicino allo zero a occuparsi del proprio futuro previdenziale. Negli ultimi anni sono stati i PIP (piani individuali pensionistici) collocati dalle reti bancarie, finanziarie e assicurative a guidare la raccolta previdenziale, mentre i fondi pensione negoziali hanno rallentato.

Le campagne informative sono meno efficaci della consulenza personalizzata di un professionista nel diffondere la necessità di accantonare risorse a scopi previdenziali, e la congiuntura economica avversa e l’inevitabile aumento delle conflittualità hanno fatto probabilmente perdere ai sindacati l’iniziale, encomiabile entusiasmo verso i fondi pensione della fine degli anni 90. A ciò va aggiunto che alla parte datoriale, di fatto, non è mai convenuto spingere i lavoratori verso l’adesione ai fondi pensione, per ovvie ragioni (risparmio contributivo e mantenimento del TFR in azienda).

L’asse tra sindacati, ora distratti da altre priorità, e datori di lavoro (mai stati veramente in partita) si è dimostrato inadeguato ad incrementare le adesioni ai fondi pensione. In una logica sistemica, credo che non sia un sacrilegio a questo punto dare campo libero agli intermediari, la cui attività merita una remunerazione (che deve essere equa e trasparente) che si può tradurre in costi maggiori rispetto ai fondi negoziali, collocati in assenza di consulenza professionale (mutuando dal linguaggio MIFID, in execution-only). La vera tutela per i lavoratori si ottiene con un sistema sanzionatorio rapido e severo da applicare ai casi di malaconsulenza, non creando recinti che odorano di paternalismo.

(da youinvest.org)

 

In alto, “Quattro pensionati”, foto tratta dal profilo Flick di Giovanni, Creative commons

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