Giustizia
Il medico se sbaglia paga (e tanto) perché non dovrebbe farlo il magistrato?
Il Ministro Orlando ha spiegato che nell’approvazione della recente legge sulla responsabilità civile dei magistrati il governo si è opposto con forza al criterio della responsabilità diretta e della relazione proporzionale del quantum: «abbiamo manifestato la volontà di preservare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura intervenendo contro chi voleva legare il quantum del risarcimento alla dimensione del danno provocato. Con questa legge il giudice risponderà soltanto in ragione del proprio stipendio e non del danno prodotto. Trovo veramente offensivo l’argomento utilizzato della giustizia di classe».
Del resto è pur vero che nei maggiori Paesi occidentali, a cui siamo soliti guardare per capire se le nostre scelte sono in linea oppure no con il comune sentire, questo principio è tutelato (in linea con un’evoluzione socio-culturale comune che discende dagli albori della cultura classica e dalle solidi radici dell’influenza di pensatori come Locke e Montesquieu sulla separazione dei poteri).
In fondo, però, ciò che interessa a me con questo post non è tanto parlare dei magistrati quanto utilizzare il paragone per deviare la luce ed il clamore sollevato dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati per illuminare di riflesso la sanità e il mondo della professione medica in particolare. Un giorno forse qualcuno sarà in grado di spiegarmi (scrivo questo post con molta umiltà e curiosità) la differenza che sussiste tra chi, come il medico, ha nelle proprie mani la vita di una persona (e se sbaglia paga civilmente e/o penalmente) e chi, come il magistrato, ha nelle mani la sua reputazione (e a volte la vita stessa, intesa come libertà) ma se sbaglia… nessuno paga! O, da oggi per lo meno, paga lo Stato (rivalendosi obbligatoriamente sul magistrato fino a metà dello stipendio).
Un magistrato non deve essere messo nelle condizioni di dubitare della scelta di intraprendere o meno un’inchiesta in quanto rischiosa per sé e la propria carriera. È un criterio razionale e giusto poiché tutelare la garanzia d’inizio e prosieguo delle inchieste è necessario (su quanto ampia e con quali prerogative si potrebbe aprire un dibattito infinito).
Non è giusto, invece, che oggi il medico sia quotidianamente costretto alla trincea della medicina difensiva da un sistema sanitario assolutamente sregolato e carente dal punto di vista di trasparenza e accountability (come raccontato in modo approfondito anche qui su Gli Stati Generali). Non ci fossero passione, etica e codice deontologico un medico, davanti ad un’operazione/trattamento ad alto rischio, dovrebbe probabilmente incrociare le braccia.
Tempo fa AMAMI (Associazione Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente) aveva portato alla cronaca un caso paradigmatico di quanto accadrà se la legge non metterà gli operatori sanitari al riparo dai danni conseguenti alle denunce infondate di malpractice: i medici, impauriti, si asterranno dall’operare cittadini ‘non urgenti’ e a rifiutare gli interventi dei pazienti ‘a rischio-denuncia’. Mi riferisco al caso del dott. Stefano Bottari, primario chirurgo a Roma, che decise di non operare un paziente in elezione (non urgente) che aveva denunciato pochi giorni prima un altro medico. “La persona è venuta a farsi visitare – spiegò Bottari – per un intervento riparatore a seguito di un’operazione, a detta dello stesso, ‘riuscita male’. Con un atteggiamento rivendicativo ha presentato il caso come ‘esempio di malasanità’. In questo contesto poco rassicurante non mi sono trovato nella condizione di serenità giusta per il compimento di un intervento chirurgico. Mi sentivo in tensione e in pericolo per l’eventualità di essere esposto personalmente a ritorsioni legali. La chirurgia deve essere affrontata con la mente libera e con il giusto stato d’animo, e non con la paura di essere denunciati. È necessario un rapporto di totale fiducia tra medico e paziente perché lo stato di paura del chirurgo mette a rischio la buona riuscita dell’intervento. Diventa pertanto un obbligo rifiutare l’operazione per proteggere il paziente”.
È necessario rimettere mano al concetto di responsabilità medica, non nella prospettiva di favorire una categoria professionale, quanto di incentivare il funzionamento “corretto” del sistema, a maggior tutela di tutti i suoi attori, in particolare dei medici e dei cittadini/pazienti.
Oggi abbiamo una responsabilità penale ridotta al minimo, considerata sempre più come estrema ratio. Molto diversa è invece la questione nell’ambito civilistico dove la situazione è ben più pesante con rilevanti ripercussioni dal punto di vista assicurativo. Il problema principale della mancanza di un “calmiere” alle assicurazioni sta, secondo l’AOGOI (Associazione Ostetrici Ginegologi Ospedalieri Italiani), nella cosiddetta clausola del “claims made” che sta progressivamente soppiantando le clausole delle vecchie polizza professionali basate invece sul “loss occurrence”. In pratica, spiega l’AOGOI in un atto di diffida inviato al Governo, con la “loss occurence” il danno viene coperto dall’assicurazione in corso al momento in cui il danno si è verificato (gli incidenti devono accadere mentre la polizza è in atto, ma possono essere denunciati, quando vengono a conoscenza dell’assicurato, anche in un tempo successivo); con la “claims made”, opera la polizza in corso nel momento in cui si riceve per la prima volta la richiesta di risarcimento del danno. E per garantirsi sia la retroattività sia la copertura postuma con le nuove polizze “claims made” il conto per i medici diventa salatissimo e per molti (soprattutto per i giovani medici) insostenibile. Uno degli aspetti che il regolamento “calmieratore” potrebbe per l’appunto risolvere, impegnando le compagnie a garantire requisiti minimi e costi contenuti e con l’istituzione di un apposito Fondo rischi al quale i professionisti possano ricorrere in caso di premi assicurativi superiori a quelli calmierati (a questo link approfondimento).
Da un lato la definizione dell’atto medico è necessaria per dare respiro ad una categoria professionale stretta tra la morsa di carenze normative ed il clamore crescente della malasanità da prima pagina (che deve essere combattuta anche raccontando la buona sanità, così come fatto dall’Associazione Italiana Giovani Medici SIGM con il proprio video/campagna “Obiettivo #BuonaSanità: mostriamo il volto giovane di quello che esiste ma nessuno racconta”). La sanità, sistema complesso per definizione, è conquista recente e la responsabilità professionale non può essere affrontata oggi con gli stessi strumenti che si sarebbero utilizzati nel secolo scorso con il “medico solista” che operava da solo nel proprio studio all’inizio del secolo.
Molti i progetti di riforma proposti, alcuni molto interessanti come quello elaborato dal Centro studi “Federico Stella” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore incentrato su pochi ma chiari cardini: 1) definizione normativa di trattamento medico-chirurgico, 2) limitazione delle responsabilità penale ai soli casi di colpa grave, 3) previsione dell’effetto estintivo dei reati commessi dal sanitario per colpa grave nel caso in cui si concluda con successo un programma di giustizia riparativa in ambito sanitario.
Quest’ambito non può non essere affrontato senza un approccio proattivo sulla gestione del rischio clinico. Ricorda il Prof. Francesco d’Alessandro, coordinatore del progetto di riforma sopra menzionato, che “le attività di reporting degli errori, base del risk management, possono essere svolte con serenità se, e solo se, il sanitario che segnala ciò che non ha funzionato nella propria attività, o in quella della sua equipe, ha la certezza di non star caricando con questa sua segnalazione una pistola giudiziaria che qualcuno un domani potrà puntare contro di lui. Se non s’inseriscono norme che garantiscano l’inutilizzabilità di queste segnalazioni in contesti giudiziari automaticamente continueremo a disincentivare gli operatori a segnalare, visto che resterà il timore di esporsi a future accuse.” Una mancanza di segnalazione impedirà la correzione di errori e comportamenti potenzialmente pericolosi inibendo in tal modo il miglioramento della qualità delle cure e della sicurezza dei pazienti.
È necessario agire immediatamente, per cambiare oggi i comportamenti e domani la cultura. A politica, professionisti e cittadini la scelta delle proprie priorità.
@drsilenzi
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