Mercati
Se a salvare il risparmio fosse il mercato e non Mamma Stato
Premessa: questo intervento ben lungi dall’entrare nel merito delle scelte fatte da chi sta pagando e ha pagato addirittura con la vita le conseguenze dei dissesti finanziari bancari e del decreto Salvabanche, speculando sulle loro sorti, ambisce a condividere nel rispetto e totale solidarietà per coloro che hanno perso tutto, una riflessione sul ruolo del governo e del mercato finanziario in Italia.
Qui infatti non si tratta di giudicare le vittime, ma discutere il sistema che le produce e le possibili soluzioni per evitare di produrne ancora.
I discorsi sulle quattro banche in default sembrano essere dominati dalla questione su chi debba intervenire per salvare i risparmiatori coinvolti. Ciò che pare appassionare maggiormente i media e l’opinione pubblica sembra essere il vestito nero penitenza del Ministro Boschi nel dibattimento sul voto di sfiducia e il potenziale conflitto d’interesse. Lunghe disquisizioni che non affrontano il problema alla radice. Chi deve intervenire per salvare i risparmiatori? Per molti, forse troppi, il salvatore dovrebbe essere lo Stato. Perché ogni qualvolta il mercato chiede conto agli investitori di scelte avventate o sbagliate, o in il governo italiano, indipendentemente dal suo colore politico, dovrebbe intervenire per cercare di metterci una pezza, distorcendo le regole dei mercati e quindi creando diffidenza tra gli investitori internazionali?
Gli interventi a posteriore non risolvono i problemi che vanno affrontati e soprattutto prevenuti. I problemi di fondo sono due. Il primo è la palese (in)capacità dei risparmiatori italiani di scegliere i propri investimenti e di distinguere tra remunerazioni di mercato e remunerazioni gonfiate ovvero quello che gli inglesi chiamano risk adjusted return; il secondo riguarda l’evidente conflitto di interesse che un sistema finanziario quale quello italiano evidenzia ad ogni svolta.
Problemi che periodicamente si ripropongono: basti ricordare che sono passati solo pochi anni dal default dell’Argentina e prima ancora dei bond CIRIO.
Qualsiasi manuale di economia insegna il motto: “there is no free lunch on the marketplace”. Un principio di buon senso che conosce anche chi l’economia non l’ha mai studiata. Se qualcuno per strada vi fermasse per offrirvi del denaro gratuitamente o, com’è accaduto tanti anni fa a mia nonna ottantenne un pezzo d’oro per 50.000 lire, voi ci credereste? Mia nonna, che aveva un diploma di terza media no: tornò a casa dicendo “chissà perché tutti mi prendono per stupida”. Eppure ogni qual volta accade un incidente, parliamo di “risparmio tradito” e ci troviamo a commiserare il povero risparmiatore ignorante, truffato e raggirato dal sistema, dai poteri forti, o semplicemente furbi. E la questione ritorna: chi deve intervenire per salvare i risparmiatori?
Chiunque abbia un gruzzolo non milionario, anche di solo qualche migliaio di euro e si rivolgesse alla banca per chiedere come investirlo, non è necessariamente uno sprovveduto. Se decidesse di investire nei bonds o nelle azioni di banca Etruria o nei bonds argentini anziché lasciare i propri denari sul conto corrente (bancario o postale) è perché è alla ricerca di un rendimento maggiore. Ebbene, come diceva mia nonna, e chiunque sa bene, non solo chi ha un master in economia: nessuno regala nulla. A maggior rendimento corrisponde maggior rischio. Ogni tanto, va bene, ma, quando va male, non si può correre dalla mamma Stato a chiedere di riparare agli errori commessi.
Non a caso in quasi tutti i paesi del mondo finanziariamente sviluppato, sono stati creati fondi di garanzia sui depositi, che esiste anche in Italia, solo fino al limite di 100.000 (dollari o euro). Perché? Perché si presume, a mio avviso giustamente, che mentre nessun correntista medio – appunto sotto i 100 mila euro, sia così esperto da analizzare il bilancio della banca che ha sotto casa, la scelta se investire in azioni, obbligazioni o altro è una libera scelta e da nessuna parte esistono fondi di garanzia sugli investimenti sbagliati.Ciò non nega la possibilità che il correntista possa essere indotto dal direttore della propria banca o da qualche promotore finanziario senza scrupoli, a fare investimenti dal deposito in conto corrente garantito. Ma questo di nuovo non giustifica l’intervento a suo favore della Mamma Stato.
Lo Stato può e deve prevenire le malefatte del direttore o promotore senza scrupoli: da un lato estirpando alla radice il palese conflitto di interesse e dall’altro promuovendo una campagna chiara di informazione sui rischi associati agli investimenti diversi dal conto corrente.
Per minimizzare il conflitto di interessi basterebbe introdurre un divieto assoluto, da parte di qualsiasi banca di proporre ai propri correntisti qualsiasi investimento in strumenti diversi dal semplice conto corrente, se emessi dal medesimo istituto. Nessuno allo sportello di Veneto Banca o di Banca Etruria avrebbe potuto proporre investimenti in azioni della stessa banca. Il divieto in sé è già un deterrente importante sempre che chi lo violi sia perseguito penalmente.
Lo Stato può intervenire anche su altri due fronti fondamentali: il primo, di medio termine, è l’educazione finanziaria. Nel recente studio McGraw – Hill, la “cultura finanziaria degli italiani” si colloca dietro paesi quali il Botswana, il Madagascar, il Togo, il Kenia (con tutto il rispetto che si deve a questi paesi). Una situazione abbastanza incomprensibile visto che l’Italia come ben sappiamo è un paese che vanta ancora un elevato livello di risparmio.
Il secondo è di semplice efficienza amministrativa rendendo effettivamente incisiva la cosiddetta “Class Action”. Anziché cercare di coinvolgere Mamma Stato in annose e costose diatribe su rimborsi come detto non dovuti, la Class Action, figura legale che da qualche tempo esiste anche in Italia, può, se gestita in modo corretto e soprattutto non con tempi biblici, permettere ai risparmiatori truffati o raggirati di rivalersi su coloro che abbiano effettivamente svolto attività illecite. Basterebbe creare corridoi giudiziari efficienti ed efficaci con tempi certi e non dilatabili, coinvolgendo giudici specializzati. Allora, chi deve intervenire per salvare il risparmiatore? In ultima analisi, la legge.
Interventi, quelli ipotizzati, che possono affrontare alla radice il problema e rappresentare un ulteriore capitolo di riforme strutturali, di cui tanto parla il Governo Renzi che, oltre a garantire fiducia ai risparmiatori truffati – e quindi permettere anche di guadagnare consensi elettorali non a scapito del contribuente-, permetterebbe al Paese un ulteriore salto in avanti in termini di competitività ed attrattività per gli investitori istituzionali – che sanno ben distinguere tra un paese in cui le regole funzionano ed un paese in cui lo Stato si deve ogni volta surrogare ad altri – ed in tal modo migliorare la competitività del paese.
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