Mercati
Le alternative al gas russo
Ad ogni crisi del gas tra Russia e Ucraina, che dal 2006 ha cadenza triennale, gli eventi politici che coinvolgono la Russia vengono interpretati come minacce alla sicurezza energetica europea e tutti si mettono a discutere su come ridurne la dipendenza.
Sul tema l’ OIES di Oxford ha pubblicato un interessante rapporto.
I modelli elaborati portano alla conclusione che, in aggiunta alle forniture di gas previste dai contratti a lungo termine con i Russi, da qui al 2030, l‘Europa avrà bisogno di 100, e forse 200 miliardi di m3/anno.
Con i contratti in essere, i Russi ne hanno forniti 160 nel 2013, ne dovranno fornire 115 nel 2020, e 65 nel 2030. L’estrazione di gas europeo è prevista in costante calo e, solo dopo il 2020, la metà del calo potrà ottimisticamente essere sostituita da gas non convenzionali, biogas, carbone e dalla “eroica” riduzione dei consumi.
L’unico gas da gasdotto, alternativo ai russi e già contrattato, è quello azero attraverso il Trans Anatolian Pipeline (TAP) che aprirà per la prima volta un collegamento diretto tra i giacimenti di gas dell’Asia Centrale e i gasdotti europei.
Il gas che arriverà in Italia andrà a compensare il già previsto calo del gas nordafricano.
La principale alternativa al gas russo, sarà il mercato globale del GNL – gas naturale liquefatto – che comprende molti paesi, tra i quali gli USA; il commercio globale di GNL potrebbe raddoppiare a 700 miliardi di m3/anno entro il 2030.
Con quasi 200 miliardi di m3/anno di capacità di ri-gassificazione – di cui solo il 22% è stato utilizzato nel 2013, rispetto al 48% nel 2010 – è evidente che l’Europa potrebbe importarne volumi considerevoli.
I fattori determinanti la disponibilità di GNL in Europa saranno l’effettiva volontà degli Stati Uniti ad esportare (con conseguente aumento del prezzo del gas per l’industria locale) e la domanda Cinese; nella misura in cui la Cina riceverà grandi volumi di gas dalla Russia, il GNL potrebbe essere liberato in Europa.
Ciò comporta la costruzione, ma non prima del 2020, di nuovi terminali e di svariati gasdotti di connessione, sia nell’area del Baltico, che a sud dell’Europa.
Il rapporto non quantifica il contributo delle fonti rinnovabili e del nucleare, ma afferma che l’Europa, minacciata dal blocco delle forniture russe in caso di nuove tensioni con l’Ucraina, non è assolutamente in grado di diversificare rapidamente le sue fonti energetiche.
Le discussioni sulla dipendenza europea dal gas russo vertono esclusivamente sulleopzioni europee, ma quali sono quelle della Russia, alle prese con i problemi in Ucraina ? Anche la Russia si trova di fronte a una scelta difficile: investire pesantemente nei gasdotti europei, per dare prova della sua affidabilità di fornitore, oppure lasciare l’Europa a se stessa.
Il rapporto fa capire che la reciproca dipendenza ha più vantaggi che svantaggi e che i Russi hanno ampi spazi per mantenere il loro gas competitivo, da qui al 2030. Significativo il prezzo di 20€/MWh (8$/Mbtu) che il rapporto indica per il gas prodotto dal pozzo più caro.
Il prezzo attuale si aggira sui 25€/MWh.
In linea con le conclusioni del rapporto, alcuni osservatori appoggiano da tempo una “politica energetica comunitaria e l’acquisto collettivo di gas” in contrasto con le sanzioni recentemente imposte alla Russia, per i problemi ucraini.
Fino ad ora, la politica di liberalizzazione nel settore energetico, perseguita da più di dieci anni a Bruxelles, non ha avuto successo perché fatalmente assimmetrica: l’apertura al mercato veniva imposta a valle, nella distribuzione, e non a monte dove l’UE è sempre stata costretta a fare i conti con l’oligopolio ( cartello) dei fornitori, del nord africa e della stessa Russia.
Agli choc petroliferi degli anni ’70, le democrazie avanzate dell’Ocse risposero creando riserve strategiche nazionali di greggio e la stessa cosa si dovrebbe fare ora con il gas, su scala molto più vasta di come può fare ogni singolo Paese.
Una riserva strategica dei 28 Paesi, finanziata e gestita da Bruxelles, il cui stoccaggio potrebbe essere assicurato dai giacimenti esauriti del Mare del Nord. Non è un caso, come indica il rapporto, che negli ultimi dieci anni, e partendo da zero, il Regno Unito sia diventato il quarto importatore europeo di gas russo.
Le posizioni di alcuni nostri personaggi di spicco erano : “usciamo da South Stream per fare male a Putin” ( Mucchetti ), “le importazioni dal nord africa si sono dimezzate” ( Descalzi – AD di Eni ), “Eni mai e poi mai potrebbe, con l’attuale situazione, mettere 2,4 miliardi sulla realizzazione di South Stream” ( Descalzi ) – “Faremo dell’Italia un hub del gas” ( Passera ), “perforiamo il paese alla ricerca di idrocarburi” (i Saggi del SEN – documento di Strategia Energetica Nazionale) ” anche se usciamo da South Stream nessun problema per Saipem” ( Descalzi)
Dopo la decisione di Putin di cancellare South Stream: “non è fondamentale per l’Italia ( Renzi ), Saipem affonda in borsa e il TAP diventa fondamentale, ma come fa notare il rapporto dell’Università di Oxford, il gas azero a malapena compenserà il minor flusso dal nord africa.
www.edoardobeltrame.com
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