Mercati
Inflazione, i costi delle materie prime scendono ma le imprese ci marciano
I prezzi delle materie prime e dell’energia stanno scendendo ma quelli dei prodotti finali restano alti: a rimetterci sono le famiglie e a guadagnarci le imprese, tanto da far dire agli esperti che siamo di fronte a una sorta di “inflazione da profitti”. Meno ristoranti, meno viaggi, un italiano su tre ha dovuto tagliare le spese mediche o l’acquisto di carne e pesce. Ma se al supermercato il prezzo di un chilo di pasta resta raddoppiato e nel frattempo i costi della materia prima stanno scendendo, vuol dire che il produttore o il commerciante incamerano più utili.
Nel mese di maggio 2023, per le stime dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività ha registrato un aumento dello 0,3 per cento su base mensile e del 7,6 per cento su base annua. Ma non sarà che alcune aziende continuano a scaricare i rincari sul consumatore finale, anche se oggi non è più necessario? Secondo la presidente BCE Christine Lagarde, in alcuni settori, le aziende hanno tenuto artificialmente alti i prezzi, che erano stati alzati quando energia e materie prime costavano di più, proprio per proteggere intatti i loro profitti.
I margini di profitto delle aziende, infatti, con il 40,8% del valore aggiunto lordo alla fine del 2022, sono in media aumentati di 0,6 punti percentuali, con l’Italia (44,8 per cento) e la Spagna posizionate davanti alla Germania e alla Francia. I due settori che hanno contribuito in maniera massiccia all’aumento dei prezzi dal 2021 in poi sono sicuramente i servizi di trasporto e l’energia ma gli altri si sono aggregati. I dati emergono da uno studio realizzato da Allianz Trade che conferma come il rialzo dei prezzi oggi non sempre sia giustificato dai costi.
I rivenditori dell’agroalimentare, per esempio, sono stati in grado di aumentare i propri margini di profitto al 78,6% negli ultimi tre mesi del 2022. Si tratta di ben 12,3 punti percentuali in più rispetto a prima della pandemia. Nelle costruzioni, la quota dei profitti è del 54,4 per cento, 9,3 punti percentuali in più. Guardando al settore manifatturiero, la Spagna rimane nella migliore posizione, data la sua competitività e le riforme attuate. Nell’industria alimentare, il margine dei profitti in Francia è ora ben al di sopra della sua media pre-pandemia, con il 48,1 per cento di profitti nei primi tre mesi del 2023. Prima della pandemia la media era del 40 per cento. I costi di produzione, compresa l’energia, stanno diminuendo, gli attori del settore però stanno aumentando i loro prezzi di vendita. In Germania i prezzi di vendita in molti settori sono aumentati molto più di quanto sarebbe stato giustificato dall’andamento dei prezzi di acquisto.
Sempre in Germania le imprese edili hanno sfruttato la tendenza generale al rialzo dei prezzi per aumentare notevolmente i loro profitti. Oltre al settore agricolo, l’edilizia ha registrato in media il maggiore aumento dei margini di profitto, anche rispetto agli paesi europei. Il numero degli ordini in attesa di essere portati a termine nel settore dell’edilizia, già considerevole prima della pandemia e della guerra in Ucraina, è stato amplificato dall’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione e dai relativi colli di bottiglia nelle consegne, mentre i salari sono rimasti bassi. Allo stesso modo, il settore delle costruzioni in Italia è stato in grado di aumentare i prezzi grazie alla ripresa della domanda negli ultimi due anni. Il super bonus e le agevolazioni fiscali hanno infatti aumentato la domanda ma al contempo hanno gonfiato i prezzi legati all’edilizia.
Nel settore dei servizi, invece, i margini di profitto aziendali sono stati sottoposti a forti pressioni. Mentre energia e trasporti sono settori oligopolistici con un forte potere di determinazione dei prezzi sul mercato, il comparto degli altri servizi, compresi l’hospitality, i servizi B2B e le telecomunicazioni hanno avuto difficoltà, con margini ben al di sotto delle loro medie pre-pandemia. Inoltre, questi comparti hanno risentito dell’accelerazione dei salari e dei costi dei fattori di produzione.
Il decennio prima della pandemia non ha permesso alle aziende di aumentare i prezzi in un regime di produzione globalizzata. Lo shock dei prezzi delle materie prime che ha seguito la pandemia, la crisi energetica e i colli di bottiglia della catena di approvvigionamento (chip, trasporto merci) hanno permesso alle aziende dei settori a valle delle catene del valore una sorta di monopolio per sostenere un’inflazione da profitti. Anche diversi settori a monte hanno acquisito rilevanza nel sistema complessivo, come la logistica e l’autotrasporto. Tuttavia, spiegano i ricercatori, gli ultimi indicatori sul potere di determinazione dei prezzi suggeriscono che una certa decelerazione sta prendendo piede.
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