Finanza

Unicredit, debutta Mustier ma per la sua rivoluzione ha bisogno di nuovi soci

11 Luglio 2016

Con il cda Unicredit di oggi finisce ufficialmente il mandato dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni e inizia quello di Jean-Pierre Mustier. Inizia con il titolo Unicredit ormai stabilmente precipitato sotto 2 euro per azione e con l’annuncio di una «profonda revisione della strategia», che toccherà «tutte le principali aree della banca».

Le quotazioni erano a 6,3 euro il 13 maggio 2015, quando in occasione del rinnovo del cda gli investitori istituzionali inviarono un primo, pesante avvertimento ai vertici votando in massa quella che doveva essere solo una lista di minoranza, e che invece risultò maggioritaria pur avendo candidato un solo consigliere. Quotava 5,9 euro quando invece – era lo scorso 11 novembre – veniva approvato il piano strategico 2018, con cui Ghizzoni intendeva rilanciare la banca e la sua immagine. E che però non è riuscito ridare fiducia agli investitori. Bersaglio della scetticismo del mercato è stata non tanto la capacità di Ghizzoni di realizzare il piano (semmai, i conti del primo trimestre hanno dato segnali incoraggianti) quanto l’adeguatezza del piano in sé per risolvere i problemi della banca. Problemi che – a giudizio di diversi grandi investitori – sono soprattutto di natura strategica.

Il ritardo con cui il cda ha preso definitivamente atto della situazione ha lasciato campo aperto al crollo delle quotazioni, su cui da ultimo si sono poi abbattute le tensioni innescate dal referendum sulla Brexit. Quello che ci si aspetta da Mustier sono scelte nette e rapide, sul business come sulla struttura organizzativa, dove è atteso un ricambio manageriale severo.

Gli investitori vogliono capire con precisioni in quali business Unicredit impiega il suo capitale, quale è la relativa redditività e quali sono le specifiche azioni che verranno intraprese per migliorarla. L’ad dovrà rimettere in discussione il perimetro del gruppo e rivedere il peso dei vari business in cui Unicredit opera. «Tutti gli asset, nessuno escluso, saranno soggetti alla stessa attenta e disciplinata gestione del capitale e sarà valutata ogni opportunità di generazione di valore incrementale, potenzialmente anche attraverso dismissioni», si legge nel comunicato diffuso dalla banca dopo il cda. Un annuncio che di fatto costituisce un primo segnale di attenzione verso richieste fin qui ignorate.

Si è cominciato subito con il collocamento accelerato del 10% di Fineco, la banca online di cui Unicredit aveva finora il 65 per cento: una mossa che fa incassare circa 335 milioni, libera un po’ di capitale regolamentare (circa 7 punti base a livello di CET1) e non intacca il controllo di quella che è la più promettente partecipata del gruppo, ma allo stesso tempo non cambia granché sul piano strategico. È comunque un segnale del nuovo corso.

Le grandi direttrici della trasformazione prevedono la rivisitazione della rete retail e digitalizzazione dei servizi – già avviate da Ghizzoni – la focalizzazione sulle imprese italiane orientate all’export globale e sulle medie aziende più dinamiche, lo sviluppo della controllata tedesca HVB, delle banche dell’area CEE (Centro Est Europa) e dell’investment banking.

Proprio l’investment banking solleva un punto interrogativo sul rapporto con Mediobanca, istituto che è in concorrenza con Unicredit e di cui quest’ultima possiede una quota dell’8 per cento. Il nodo andrà risolto in una delle due direzioni: o un maggiore avvicinamento (si è parlato di una fusione) oppure un definitivo allentamento dei rapporti, che però aprirebbe a sua volta la questione della partecipazione a cascata nelle Assicurazioni Generali, guidate al momento da un altro francese, Philippe Donnet. Un manager che Mustier conosce bene, visto che poco prima che venisse nominato in Unicredit stava organizzando un incontro di alto livello, presso l’Ambasciata di Francia, fra l’a.d. di Trieste e un campione selezionatissimo della business community italiana.

La risultante di tutte queste azioni determinerà la misura dell’aumento di capitale necessario (fra 5 e 7 miliardi, secondo alcune stime). Al momento Unicredit ha un coefficiente patrimoniale CET1 del 10,85%, superiore al minimo regolamentare ma considerato insufficiente per una banca sistemica qual è l’istituto guidato ora da Mustier. Proprio l’aumento di capitale è una prova di credibilità fondamentale per il manager francese, che viene accreditato di solide relazioni internazionali di alto livello, in particolare fra i fondi sovrani del Golfo. Da notare, peraltro, che proprio un altro fondo sovrano, il Temasek di Singapore, è entrato in Tikehau, la società di investimenti alternativi di cui era consulente Mustier fino all’altro ieri.

Sul mercato la sensazione è che in vista della ricapitalizzazione Mustier voglia portare nel capitale di Unicredit investitori stabili. Eventuali ingressi di questo genere avrebbero l’effetto di ridimensionare l’influenza residua delle storiche fondazioni, da Crt che esprime il vicepresidente Fabrizio Palenzona alla Cariverona dove ancora detta la linea l’ex presidente Paolo Biasi. L’emancipazione definitiva dal condizionamento del passato, del resto, è auspicata anche dalla Vigilanza bancaria europea che ha visto di buon occhio l’arrivo di un banchiere slegato dal mondo delle fondazioni, e che queste ultime, contrariamente a quanto è stato fatto trapelare, hanno dovuto subire. Chissà nella rivoluzione che si annuncia Palenzona riuscirà nell’intento di arrivare all’agognata presidenza della banca, per ora occupata dall’ottuagenario Giuseppe Vita.

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