Finanza

Unicredit, fino a che prezzo è un successo vendere “Fino”?

2 Marzo 2017

L’integrale sottoscrizione dell’aumento di capitale da 13 miliardi di euro è stato grande successo per Unicredit ed è anche conferma che gli investitori apprezzano lo stile veni-vidi-vici di Jean Pierre Mustier, sfoggiato già con le cessioni lampo delle partecipazioni, le mega svalutazioni e i fulminei accordi sindacali per l’uscita di 14mila dipendenti.

E la rinuncia appena annunciata allo storico ruolo di vicepresidente da parte di Fabrizio Palenzona, che resta ora semplice consigliere, conferma che davvero i tempi sono cambiati. «Abbiamo voltato pagina rispetto al passato, con la ricapitalizzazione, e stiamo costruendo il futuro», aveva detto giusto ieri Mustier. Del resto, chi ci lavora sa che per l’ex parà francese e trader, amministratore delegato di Unicredit da luglio 2016, “il fallimento non è contemplato”. Come per Gene Kranz durante il salvataggio dell’Apollo 13.

Sarà anche per questo che la perentoria intimazione del mitico direttore di volo della Nasa – “Failure is not an option” – è diventata l’acronimo-etichetta (F.I.N.O.) della prossima missione speciale di Mustier. La più imponente cessione di Npl (non performing loans, ovvero crediti in sofferenza, di difficile recupero) mai avvenuta in Italia, esattamente come l’aumento di capitale è stato il più grande della storia di Piazza Affari.

Entro il 31 luglio la banca conta infatti di completare, tramite cartolarizzazione, la cessione di un portafoglio crediti in sofferenza, denominato appunto “F.I.N.O”, per un ammontare lordo di 17 miliardi di euro. I compratori selezionati tramite asta sono la società Pimco (gruppo Allianz) e il gruppo Fortress. Per ciascuna delle due controparti, un veicolo societario ad hoc (Spv) da un lato comprerà i crediti in sofferenza e dall’altro si finanzierà emettendo di titoli obbligazionari detti Abs (Asset-backed securities). Pimco e Fortress sottoscriveranno il 50,1% di ogni classe di titoli emessi dal relativo veicolo, mentre il 49,9% resta temporaneamente in mano alla stessa Unicredit, per essere poi progressivamente ceduto.

Consapevole o casuale, il richiamo alla missione Apollo 13  suggerisce l’importanza strategica che Mustier attribuisce all’operazione. Che in effetti è un passaggio centrale per il miglioramento gli indici qualitativi del credito, ovvero uno degli obiettivi principali del piano strategico Transform 2019.

Ma a quale prezzo?

Il prezzo della transazione al momento non è ancora ufficiale. È plausibile che sia vicino al valore contabile netto del portafoglio Fino: 2,2 miliardi euro, ovvero teoricamente il 12,94% di quei 17 miliardi lordi. Una percentuale significativamente più bassa del 17,9% (poi  rivisto al 22,3%) registrato nell’ambito della risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti, che contribuì a innescare il calo dei titoli bancari alla fine del 2015. Meno ancora del prezzo pagato da Fonspa per comprare una tranche di sofferenze di Banca Etruria poco prima della risoluzione (14,7%).

Nelle ultime settimane, peraltro, proprio su alcuni crediti originariamente inclusi nel portafoglio Fino, la banca ha registrato incassi pari a 4-5 volte il loro valore contabile netto. È accaduto, per esempio, con un credito verso la società fallita da tempo immemorabile Aeroterminal Venezia.

Forse è un caso, ma di simili ve ne sono diversi, riferiscono fonti vicine al dossier. Per Unicredit non cambierà però nulla: in base agli accordi-quadro firmati con Pimco e con Fortress, i crediti incassati dalla banca fra la data di valutazione del portafoglio Fino (30 giugno 2016) e la data di emissione dei titoli Abs (non oltre il 31 luglio 2017) vanno a decurtare il prezzo complessivo pagato dal veicolo di cartolarizzazione alla banca, come è tipico in queste operazioni.

Quel che è un po’ meno tipico è che la riduzione del prezzo totale sia pari all’ammontare effettivamente recuperato sulla singola sofferenza, anziché al prezzo di acquisto di quest’ultima convenuto fra la banca e Pimco/Fortress. Un dettaglio che da forse la misura dell’abilità di un formidabile negoziatore come Francesco Colasanti di Fortress, che ha avuto la meglio sul team di José Brena, responsabile “dismissioni non performing” di Unicredit.

La previsione di un introito pari a 2,2 miliardi di euro, con una valutazione pari al 12,94% del valore lordo ceduto, potrebbe perciò rivelarsi ottimistica. Nel pacchetto, peraltro, sarebbe inclusa un porzione di “radiato fiscale” (crediti portati a zero formalmente nella contabilità, ma per i quali resta valida la pretesa verso il debitore). Questo particolare farebbe lievitare l’ammontare nominale ceduto a 22 miliardi circa, e quindi la valutazione del portafoglio scenderebbe al 10 per cento.

Sembrerebbero dunque prezzi stracciati. In Italia il tasso storico di recupero delle sofferenze nel decennio 2006-2015 è stato del 43% (fonte Banca d’Italia). Viene perciò da chiedersi se con un po’ più di pazienza e una selezione più accurata dei compratori Mustier non avrebbe potuto ottenere di più. Ma forse il riferimento a una missione spaziale felicemente conclusa con il salvataggio degli astronauti ma rinunciando all’obiettivo primario (lo sbarco sulla Luna), è l’ammissione che Fino era già in partenza una successful failure. Proprio come Apollo 13.

Cancellare le eredità del passato

Un punto fermo della vicenda è la determinazione di Mustier a sbarazzarsi di tutte «le eredità negative del passato» in tempi brevi e il progetto Fino è un momento chiave di “Transform 2019”, il piano strategico presentato dal banchiere a dicembre. «Uno degli obiettivi della “fase 1” del “Progetto Fino” è l’ottenimento della cancellazione contabile dei crediti ceduti», si legge nel prospetto informativo del recente aumento di capitale. Un passaggio regolamentare che non discende automaticamente dalla vendita del portafoglio.

Spetta infatti alla Vigilanza bancaria verificare che ci sia stato un effettivo trasferimento del rischio e consentire la cancellazione dei crediti in questione dal bilancio. Qualunque clausola che argini i rischi dei compratori, anche mediante compensazione commissionale o di altri costi, potrebbe costituire un ostacolo all’ottenimento di tale via libera. Per questa ragione il lavoro di cesello sui contratti fra Unicredit e ciascuna delle due controparti è complesso, come del resto la stessa banca ha segnalato nel prospetto informativo dell’aumento di capitale.

Mancare l’obiettivo della cancellazione contabile, dice la banca, «non consentirebbe la riduzione dei crediti deteriorati, con impatti negativi sul raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico 2016-2019, oltre che sui giudizi di rating». Questo spiega molto dell’importanza strategica di Fino, e del perché “il fallimento non è contemplato”, meno di alcune scelte compiute in fase di preparazione dell’operazione, in particolare nel processo di selezione delle controparti acquirenti.

Asta poco competitiva

All’asta per la vendita del portafoglio Fino, infatti, hanno partecipato solo tre offerenti: oltre ai due vincitori Fortress e Pimco (che ha acquisito una parte minima del portafoglio), anche il fondo Cerberus, che però si è chiamato fuori alle prime battute, senza poi presentare un’offerta. Tenuto conto della capacità di Mustier di mobilitare i grandi investitori internazionali, peraltro ampiamente dimostrata nell’aumento di capitale appena concluso, come è possibile che un’operazione di questa portata abbia raccolto così poco interesse?

Come spiegava quest’articolo prima che si conoscessero i risultati della gara, la scarsa partecipazione è dovuta alla strutturazione del processo competitivo, dove uno degli offerenti partiva già molto avvantaggiato. Nel 2015, infatti, Fortress ha rilevato da Unicredit la Uccmb (ora “DoBank”), ovvero la banca del gruppo specializzata nella gestione e recupero di crediti. DoBank, che da qualche settimana è sottoposta a una ispezione di vigilanza della Banca d’Italia dopo una lunga assenza durata quasi 20 anni, gestisce già oggi una parte del portafoglio Fino in via di cessione. Perciò, grazie alla controllata Fortress disponeva di informazioni molto più puntuali di qualsiasi altro concorrente sul valore di buona parte dei crediti.

In questa situazione, studiata nella letteratura economica, il processo competitivo risulta distorto e i potenziali concorrenti “svantaggiati” o offrono meno di quanto avrebbero offerto a parità di informazioni oppure si tengono fuori dalla gara, come è accaduto nell’asta su Fino. A meno che il venditore non predisponga dei correttivi adeguati.

Che l’accesso immediato a informazioni di prima mano sull’andamento del recupero crediti faccia la differenza è dimostrato anche da una clausola di tutela ottenuta da Pimco, che fissa a 100 milioni di euro la decurtazione minima del prezzo totale a fronte dei crediti incassati direttamente da Unicredit prima della cartolarizzazione. Una garanzia non necessaria a Fortress, che conosce bene i crediti ceduti e perciò è in grado di elaborare valutazioni più affidabili.

Anche il successo ha i suoi rischi

Per quanto paradossale possa sembrare, infine, il successo dell’operazione Fino potrebbe aprire dei rischi su altri fronti. In via generale, la cessione dei crediti deteriorati influenza il calcolo statistico della loss given default (Lgd), ovvero il tasso di perdita del credito in caso di default. Si tratta di un parametro rilevante ai fini della determinazione del rischio di credito (anche dei crediti in bonis) e del calcolo del patrimonio di vigilanza. Prezzi di cessione degli Npl bassi alzano la Lgd, e quindi inaspriscono i requisiti patrimoniali.

Mustier ha cercato di correre ai ripari. Perciò, in relazione a un vecchio portafoglio crediti in sofferenza (Aspra), di cui 4,9 miliardi sono confluiti in Fino, Unicredit sta cercando di convincere la Bce ad autorizzare un aggiustamento della Lgd, argomentando la natura eccezionale e non ripetibile dei (bassi) prezzi di cessione.

Al momento non vi sono notizie definitive sull’esito delle discussioni con i regolatori. Secondo fonti non ufficiali, in sede Bce prevale una certa prudenza, ma si fa notare che richieste simili di altre banche sarebbero state accolte. Nel suo piano strategico Unicredit ha assunto che l’aggiustamento venga autorizzato. Se invece la risposta della Bce fosse negativa, ci sarebbe «un impatto negativo sui coefficienti patrimoniali futuri dell’Emittente, con conseguenti effetti negativi sui risultati operativi e sulla situazione economica, patrimoniale e/o finanziaria dell’Emittente e/o Gruppo UniCredit». Dopo l’aumento di capitale, il coefficiente patrimoniale primario del gruppo (Cet1) è sopra l’11 per cento, con una previsione del 12,5% a fine 2019.

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