Finanza

Salvataggi bancari all’italiana, troppe domande senza risposta

11 Dicembre 2015

[*] Sulla soluzione adottata per salvare le ormai famose quattro banche italiane pesa un dubbio. L’onere del salvataggio è stato equamente ripartito tra detentori di obbligazioni subordinate, investitori al dettaglio e banche che hanno finanziato il fondo di risoluzione? Le domande senza risposta.

Perché non è un bail-in

Con la “Comunicazione sul settore bancario” dell’agosto 2013 l’Unione Europea chiude la stagione di interventi dello Stato a supporto delle banche: 250 miliardi di euro in Germania, 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, 40 in Grecia, 20 in Belgio, Austria e Portogallo. Da quel momento, l’intervento dello Stato nel salvataggio di una banca è ammissibile solo dopo che patrimonio netto e passività subordinate sono stati azzerati. In continuità con la posizione espressa nel 2013, nel gennaio 2016 entra in vigore il bail-in e il principio per il quale la copertura delle perdite risale dal patrimonio netto sino ai depositi.

A fine novembre Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca Popolare dell’Etruria e Banca Marche vengono escluse nella sostanza dal bail-in di prossima adozione con l’intervento immediato del “fondo di risoluzione” secondo i seguenti passaggi principali:

  • Costituzione di quattro Nuove Banche corrispondenti alle quattro preesistenti.
  • I crediti dubbi per circa 8,5 miliardi di euro sono ceduti ad una Bad Bank neocostituita al valore di 1,5 miliardi (i.e. 17 su 100 di nominale) stimato provvisoriamente da Banca d’Italia.
  • Le quattro Nuove Banche iscrivono crediti verso la Bad Bank per 1,5 miliardi.
  • Le quattro banche preesistenti cedono la raccolta (i.e. depositi e obbligazioni senior) nonché prestiti in bonis e altre attività alle quattro Nuove Banche.
  • Il Fondo di Risoluzione assorbe la perdita di 1,7 miliardi derivante dalla svalutazione dei crediti dubbi e fornisce 1,8 miliardi di euro per il capitale che costituisce le quattro nuove banche e 140 milioni per il capitale della Bad Bank.
  • Il Fondo di Risoluzione viene finanziato per 3,6 miliardi di euro da Intesa, Unicredit e UBI di cui 400 milioni assistiti da una garanzia della Cassa Depositi e Prestiti.

La ricostruzione contabile dettagliata si può leggere qui.

Le principali conseguenze di questo schema sono:

  • le quattro banche compensano la svalutazione dei loro crediti dubbi a 17 centesimi, contabilizzando perdite su crediti per circa 1,7 miliardi e azzerando patrimonio netto e passività subordinate;
  • la cassa delle quattro banche, divenuta di circa 1,8 miliardi, viene conferita nelle costituende nuove banche;
  • la cassa complessiva delle quattro nuove banche diviene quindi pari al valore dei prestiti conferiti dai tre istituti bancari intervenuti nel salvataggio (Intesa, Unicredit e UBI), cioè 3,6 miliardi di euro;
  • la componente a rischio dell’impegno finanziario delle tre banche che hanno erogano il prestito è costituita dagli 1,7 miliardi di euro con cui si assorbono le perdite delle quattro banche in ristrutturazione. Non vi sono rischi per la restante parte del prestito (1,9 miliardi di euro) in quanto coperti interamente dal corrispettivo della vendita sul mercato delle quattro nuove banche.

A ben vedere, però, anche la componente a rischio è comunque coperta: dalla garanzia di 400 milioni di euro di Cassa depositi e prestiti; da un possibile recupero dei crediti ceduti alla bad bank a un valore superiore a 17 centesimi; dal valore di dismissione delle quattro nuove banche laddove lo stesso dovesse risultare superiore a 1,9 miliardi di euro.

Le domande per ora senza risposta

Pur riconoscendo che la disciplina comunitaria non consente alternative, sulla soluzione adottata pesa un dubbio sostanziale, che sta inquinando anche il confronto politico: la scelta effettuata ha consentito di ripartire equamente l’onere del salvataggio tra i detentori di obbligazioni subordinate, gli investitori al dettaglio e le banche intervenute a finanziare il fondo di risoluzione? Ciò a prescindere da qualsiasi preventiva criticità sulle modalità di collocamento e sul prezzo di vendita delle obbligazioni subordinate.
Per superare un simile dubbio è fondamentale comprendere se il prezzo complessivo dell’operazione sia stato equo in termini di binomio rischio-rendimento, nelle sue varie componenti e per i vari soggetti economici che hanno condiviso i danni.

Per farlo, si dovrebbe colmare il divario informativo sui seguenti aspetti:

  • chi ha identificato i crediti dubbi che le quattro banche hanno ceduto alla bad bank? Sono state escluse dal processo di selezione le tre banche finanziatrici, che sarebbero state in palese conflitto di interesse? Una parere di congruità indipendente pare indispensabile.
  • Qual è il tasso di interesse del prestito delle tre banche finanziatrici al fondo di risoluzione? Considerato che i rischi sono alquanto limitati e tenuto conto della circostanza che sul mercato i tassi correnti sono pressoché nulli o negativi per prestiti privi di rischio, un tasso fuori mercato qualificherebbe un improprio trasferimento di ricchezza a danno dei titolari delle passività subordinate.
  • Secondo quale principio Cassa depositi e prestiti (e quindi de facto lo Stato italiano) è chiamata a prestare una garanzia per 400 milioni di euro per un impegno finanziario di tre banche private che ricevono una remunerazione per i rischi sostenuti? Quale prezzo è stato pagato a Cdp a fronte della garanzia? Laddove non sia stato pagato alcun prezzo per “l’opzione put” venduta da Cdp, tale prezzo è stato scontato in un minor tasso d’interesse sul finanziamento concesso dalle tre banche rispetto a quello di mercato?
  • Qualora la stima definitiva della svalutazione dei crediti dubbi fosse più elevata di 17 centesimi perché è previsto che il profitto vada direttamente al fondo di risoluzione? Perché invece non si è ipotizzata una procedura per ripristinare una corretta redistribuzione dei rischi tra i vari soggetti economici, ivi inclusi i titolari di prestiti subordinati?

Sulla verifica di questi aspetti – che qualificano l’equità dell’operazione rispetto agli interessi in gioco – si dovrebbero concentrare i prossimi approfondimenti tecnici e politici, che potrebbero stabilire definitivamente la qualità dell’intervento.

 * Articolo di Marcello Minenna e Roberto Tasca originariamente pubblicato sul sito lavoce.info

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.