Finanza
Renzi non si protegga con i suoi simili, scelga persone come Giorgio Ambrosoli
Ho provato una sensazione particolare leggendo il pezzo del professor Zingales domenica sul Sole 24 Ore, che racchiudere semplicemente in un brivido di commozione sarebbe forse banale e anche paradossale dal momento che si parlava di banche e responsabilità. Ma quello scritto, che metteva il dito in molte piaghe del sistema italiano, richiamando l’America e il gigantesco crac Madoff poneva l’attenzione sul diverso modo di procedere dei due Paesi, Usa e Italia, in un ambito, diciamo così, abbastanza simile pur con le inevitabili proporzioni. «Dopo la colossale truffa di Madoff – scrive Luigi Zingales -, il governo americano non ha indennizzato le vittime, ma ha nominato un avvocato famoso per la sua aggressività, Irving Pacard, per recuperare la maggior quantità di denaro possibile da chi avrebbe dovuto controllare e non l’aveva fatto. Picard ha fatto causa a tutti i responsabili, senza guardare in faccia nessuno. Il risultato è che le vittime hanno recuperato oggi il 60% delle perdite. Lo stesso dovrebbe fare il governo italiano, invece di usare il fondo di garanzia interbancario. Affinché questa azione abbia qualche possibilità di successo, però, il governo non deve nominare un avvocato amico degli amici. Ci vuole qualcuno che venga da fuori e non guardi in faccia a nessuno».
È in questo ultimo passo che ho avuto un sussulto, e qui sì, anche un attimo di commozione, richiamando alla memoria una storia che ha cambiato la vita di noi ragazzi di quel tempo: la storia dell’avvocato Ambrosoli. L’ho scritto di getto nel resoconto dalla Leopolda per Stati Generali e poi in un semplice tweet («Se interpreto bene @Zingales.it sul Sole 24 Ore per la storia banche ci vorrebbe avvocato probo e amico di nessuno come l’avvocato Ambrosoli»). Dall’America Zingales ha rituittato e questo mi autorizza a portare un nome e una storia straordinari come quella di Giorgio Ambrosoli all’interno della nostra vicenda politica.
C’è bisogno di spiegare cosa vuole dire l’espressione “non guardare in faccia a nessuno», applicata a un professionista, a un civil servant, insomma a uomini investiti da una responsabilità pubblica? Sembrerebbe tutto chiarissimo, parrebbe la sintesi virtuosa di società avanzate, l’avamposto di una decenza collettiva, il luogo dove nessuno avrà più buona udienza degli altri, dove tutti saranno trattati alla stessa maniera, con educazione e massima fermezza, dove amicizie e conflitti di interesse, nel qual caso esistano, andranno risolti prima di cominciare il lavoro e se sono inestricabili quel lavoro non si prenderà, “non guardare in faccia a nessuno” non significa per nulla essere cattivi ma solo (cercare di) essere giusti ed cercare di essere giusti significa esattamente depurarsi dai pregiudizi e guardare alle situazioni con la massima serenità possibile. Si potrebbe continuare all’infinito ma forse ci siamo capiti. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, appunto, non guardò in faccia a nessuno.
Non guardare in faccia a nessuno significa prima di tutto scontentare. Scontentare in Italia è operazione complessa, spesso inestricabile, molto spesso impossibile. Si scontrano sentimenti diversi, da una parte c’è la disabitudine al conflitto, che è entrata pienamente a far parte del nostro tessuto sociale, che si è formata in tutti gli anni in cui merito e valore personale di studi e di pensiero si sono affievoliti sino quasi a scomparire, affossati da quello “slancio” al compromesso (al ribasso) che è diventato ormai un nostro prodotto dop, dall’altra il non guardare in faccia nessuno mette in gioco la catena perversa degli interessi e questo è esattamente il luogo dove la nostra politica ha lavorato senza un attimo di tregua.
«Ci vuole qualcuno che venga da fuori e non guardi in faccia a nessuno», scrive il professor Zingales. È un appello al governo, a questo governo Renzi, che onestamente potrebbe fare molto sotto questo cielo (volendolo). Potrebbe davvero rivoluzionare il nostro modo di intendere le cose, rilanciare finalmente verso l’alto il compromesso, come richiede la vera politica. “Ci vuole qualcuno che venga da fuori” è espressione felicissima. Significa altro da noi. Non perché noi si sia persone non a modino, ci mancherebbe, ma perché nella continua e costante ricerca solo dei nostri simili, di quelli che la pensano incessantemente come noi, avremo sempre, inevitabilmente, davanti solo uno spicchio modestissimo di mondo. Mancherà il confronto, mancherà la durezza degli altri, dove per durezza si intendano dignità, competenza, decoro in un’unica soluzione. Mancheranno, appunto, quelle persone non riconducibili per nulla al nostro mondo, che in certi momenti di emergenza del Paese potranno diventare un approdo sicuro, autorevole, soprattutto spendibili all’esterno, di cui menare vanto persino una volta che il lavoro sarà completato in maniera buona e giusta.
Sentiamo immensamente la mancanza di queste persone. La sentiamo adesso nel governo Renzi, ma la questione è ben precedente al governo Renzi, ci mancherebbe. La sentiamo da troppo. Perché proprio Lei, presidente Renzi, non dà la scossa? Ci permetterà di dirle che le sue mosse in questo anno e passa inducono a dubitare di una vera volontà rinnovatrice e per un motivo che non ci porta affatto sul terreno delle malizie e delle insinuazioni a lei purtroppo così care in questi giorni, ma più modestamente nelle pieghe del suo carattere assai poco incline al confronto e molto invece allo scontro. La tiritera della spending rewiev con relativi commissari fucilati sul campo uno dietro l’altro ne sono la rappresentazione più piena. Aprirsi al confronto e poi dare vera, ripetiamo, vera carta bianca: le costa così tanto?
Ciò che chiede il professor Zingales, e che più modestamente le chiederemmo noi, è l’essenza della democrazia. Persone che abbiano assolutamente a cuore la cosa pubblica, competenti, disinteressate, dall’animo sereno ed equilibrato, persone che possano dire dei no grandi come una casa e non debbano temere perché quei no magari rimpallano sul governo, su persone del governo, su amici del governo. Persone, appunto, che “non guardano in faccia a nessuno”. Esattamente come fu Giorgio Ambrosoli.
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