Finanza

Minenna: «Per essere efficace il Fondo Atlante dovrebbe emettere titoli Abs»

5 Maggio 2016

«C’è un’elevata incidenza dei crediti deteriorati (non performing loans o NPL) che sta portando la Banca centrale europea a chiedere con sempre più insistenza significative ricapitalizzazioni. Il problema è duplice: da un lato smaltire questi crediti e dall’altro trovare qualcuno interessato a entrare nel capitale delle banche in difficoltà». È questo, secondo Marcello Minenna, PhD Lecturer alla London Graduate School of Mathematical Finance, il contesto in cui va collocato il Fondo Atlante, promosso di recente da banche, fondazioni e Cdp, con la regia del Tesoro. Atlante è un fondo mobiliare chiuso con una politica d’investimento ben precisa: fino al 70% del patrimonio può essere investito nella sottoscrizione delle nuove azioni emesse da banche con bassi livelli di capitale e almeno il 30% deve essere invece investito nell’acquisto di non-performing loans di una pluralità di banche italiane, anche garantiti da asset. «Atlante nasce per comprare quello che al momento il mercato non vuole comprare, almeno non direttamente», osserva Minenna, intervistato da Stati Generali.

Non è che l’interesse del mercato manca perché il problema è il valore degli asset in vendita?

Oggi di fatto la domanda di azioni di banche in difficoltà e di NPL non esiste o al più esiste solo a prezzi “da saldo”. Un investitore accetta di comprarseli solo se vengono svenduti ma ovviamente la svendita non aiuterebbe le banche a superare i loro problemi. Ecco perché da diversi mesi si stanno tentando soluzioni alternative con la mediazione/partecipazione del settore pubblico che sono assolutamente realizzabili a condizioni di mercato.

Ci può fare qualche esempio?

L’esempio nazionale è il recente schema della garanzia statale sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS) messo a punto dal Ministero dell’Economia a inizio anno. La GACS è nata per supportare la dismissione delle sofferenze dai bilanci bancari. Parliamo di cifre rilevanti: lo stock di sofferenze nette del sistema bancario italiano gira intorno agli 80 miliardi e le banche che se ne vogliono liberare hanno il problema di non essere costrette a cederle a valori troppo inferiori rispetto a quelli di libro. In caso contrario dovrebbero contabilizzare ulteriori perdite (circa 40 miliardi secondo alcuni centri studi). La GACS doveva servire appunto a supportare le banche nella cessione delle sofferenze a prezzi non troppo penalizzanti. Ma a causa di alcuni limiti architetturali, di cui ho parlato in un mio pezzo su Bruegel, sinora non ha ottenuto i risultati sperati.

E Atlante sarà diverso?

Per Atlante sarà difficile realizzare la sua mission. In primo luogo c’è il problema dimensionale. Attualmente il Fondo ha un capitale di 4,25 miliardi di euro proveniente da 67 investitori istituzionali. Con queste disponibilità – e considerata la sua politica d’investimento – il contributo del Fondo sarà contingentato, specie sul fronte del sostegno alle dismissioni dei NPL. I numeri parlano chiaro: Atlante potrà “assorbire” meno di 1,3 miliardi di sofferenze. Anche assumendo un effetto moltiplicatore legato a una sinergia con la GACS come quello di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni appare difficile superare i 7-8 miliardi. Il resto quindi continuerebbe a zavorrare i bilanci bancari. Ad essere precisi, una delle regole di ingaggio di Atlante prevede che dal luglio del 2017 le eventuali disponibilità destinate agli aumenti di capitale delle banche che dovessero restare inutilizzate andranno reindirizzate all’acquisto di sofferenze, ma anche con questa clausola il Fondo resta incapiente rispetto all’eccesso di offerta di NPL delle nostre banche. Qualche dato può chiarire meglio il punto: l’investimento massimo in capitale di banche in difficoltà sarà di 3 miliardi di euro, di cui 1,385 sono stati già allocati alla Popolare Vicenza. Restano 1,6 miliardi per eventuali partecipazioni agli altri aumenti programmati entro l’anno da vari istituti di credito. Quindi sarà arduo per il Fondo disporre di risorse ulteriori oltre a quelle già stanziate per comprare NPL.

Si potrebbe pensare di aumentare la dotazione patrimoniale del Fondo?

Il tema è controverso perché in finanza non esistono pranzi gratis. Aumentare la dotazione di capitale di Atlante vuol dire chiedere un impegno maggiore agli investitori che ne hanno sottoscritto le quote. E sappiamo benissimo che questi investitori appartengono a 2 categorie: il settore pubblico (tramite la Cdp) e la parte più solida del nostro sistema bancario. In altri termini, ingrandire il capitale di Atlante equivarrebbe ad aumentare il trasferimento endogeno dei rischi a livello del sistema Italia (pubblico e privato) ma il rischio complessivo resterebbe comunque a gravare sul nostro Paese.

Altre soluzioni? 

L’idea sottostante il Fondo Atlante è buona. Ricordo che già a febbraio Vincenzo Visco aveva proposto qualcosa del genere suggerendo un intervento della Cdp con la creazione di un apposito veicolo che avrebbe dovuto sottoscrivere l’inoptato degli aumenti di capitale delle banche. Ma il funzionamento del Fondo andrebbe rivisto per aumentare la sua potenza di fuoco. Basterebbe poco. Come ho detto il patrimonio di Atlante rischia di essere inadeguato alla sua mission. Ma se il Fondo si finanziasse anche raccogliendo fondi sul mercato, la situazione cambierebbe.

Atlante ha detto che non ricorrerà alla leva finanziaria, salvo che per esigenze temporanee, e comunque in misura contenuta. 

Corretto. Atlante sostanzialmente non si indebita se non per soddisfare temporanee esigenze di liquidità (può arrivare a una leva massima del 110%). Ma le cose possono cambiare. Oggi Atlante è concepito come un compratore di NPL. E può farlo in vario modo, per esempio, acquistando tranches junior (occasionalmente anche mezzanine) in cartolarizzazioni di NPL. A mio avviso, dovrebbe avere un ruolo più dirompente diventando un venditore di titoli emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione, i cosiddetti Asset-backed securities (ABS). In altre parole Atlante dovrebbe finanziare l’acquisto di NPL non solo usando il capitale di rischio ma anche emettendo sul mercato ABS che impacchettano un mix di crediti in bonis e di crediti deteriorati.

Chi comprerebbe gli ABS emessi da Atlante?

Questo problema può essere risolto, a patto di cercare i compratori nel posto giusto: in Europa. Dopotutto l’Italia non è l’unico Paese il cui sistema bancario è andato in tensione negli ultimi tempi: a livello Europeo i non-performing loans sono a quota 1000 miliardi. Siamo in un’Unione monetaria e per restarci occorre entrare in una logica di condivisione dei rischi (risk sharing). Rispetto al problema dell’enorme stock dei crediti deteriorati una soluzione concreta può venire solo se la BCE scenderà in campo accettando di comprare ABS che impacchettano crediti bancari anche deteriorati.

Quindi, Atlante vende e BCE compra gli NPL?

Esatto. Se Atlante emette ABS che hanno come sottostante crediti bancari (magari col supporto di appropriate garanzie statali) e la BCE se li compra si crea un mercato che ha concrete possibilità di funzionare come teorizzava qualche tempo fa il compianto Giuseppe Zadra.

Ma come si fa a creare ABS che possano essere accettati dalla BCE?

L’ho spiegato in una proposta che ho elaborato partendo da una ricerca svolta con il think tank Astrid e con Antonio Guglielmi di Mediobanca e che ho ripreso recentemente con Silvia Merler su Bruegel. L’idea è quella di confezionare ABS, abbinando opportunamente crediti buoni e cattivi e prevedendo una garanzia statale sulle tranches mezzanine remunerata a prezzi di mercato. In questo modo si riuscirebbe a strutturare dei titoli ABS le cui tranches meno rischiose (i.e. quella senior e quella mezzanina garantita) sarebbero appetibili sia per la BCE – nell’ambito del Quantitative Easing – che per gli investitori istituzionali. Le tranches più rischiose (junior) avrebbero dimensioni contenute e dovrebbero essere acquistate almeno in parte dalla stessa banca che cede i crediti anche per motivi di condivisione dei rischi di valutazione.

Quali sono i vantaggi di questa soluzione?

Innanzitutto, diversamente dalla GACS di recente definita dal Governo, parte dei rischi del portafoglio dei crediti ceduti viene sopportata anche dalla tranche mezzanina garantita. A questo si aggiunge che si permetterebbe alle banche di “spalmare” su un orizzonte pluriennale, quello della durata media del recupero dei crediti ceduti, le perdite su crediti non ancora contabilizzate anziché richiedere alla banca di doverle sopportare tutte subito e in una volta sola. Allo stesso modo verrebbe rateizzato il costo della garanzia statale utilizzata per migliorare la qualità del portafoglio crediti ceduti con evidenti vantaggi finanziari per la banca che lo deve sostenere.

L’investimento in titoli ABS è però penalizzato.

Certamente sarebbero necessarie alcune revisioni alla disciplina prudenziale che attualmente penalizza l’investimento in ABS in termini di assorbimento di capitale. Dopotutto quest’anno il Governo tedesco ha saputo bene come aiutare la sua banca più grande (Deutsche Bank), ottenendo un rinvio al 2018 delle nuove regole di Basilea sul trattamento dei derivati! Trovo francamente incredibile che invece di trattare, quale “tema di sistema” per l’Eurozona, quello “fisiologico” della disparità di trattamento a parità di rischi per l’assorbimento di capitale per banche e assicurazioni degli ABS rispetto ad altre obbligazioni, si continui invece a discutere di come variare tale assorbimento in relazione alla “patologia” rappresentata dalla diversa rischiosità dei titoli di Stato dell’Eurozona.

Come funziona l’emissione di titoli ABS ?

Le variabili in gioco nella definizione di un’operazione di cartolarizzazione (così si chiama la strutturazione di un ABS) sono tante. Sono come gli ingredienti di un cocktail. Solo dopo un opportuno mix ed un adeguato “shakeraggio” si realizza un buon cocktail. Per esempio, l’orizzonte temporale dei titoli ABS deve essere determinato tenendo conto della durata media del portafoglio dei crediti conferiti e, quindi, anche dei loro tempi di rientro. A loro volta i tempi di recupero dipendono dalla qualità dei crediti, che sono dilatati per i crediti deteriorati. In più serve un’analisi dettagliata dei valori di recupero dei crediti conferiti nell’ABS; mi riferisco al calcolo delle probabilità di insolvenza e dei flussi di cassa attesi dai crediti nei vari scenari possibili. In questo modo è possibile stimare i flussi di cassa futuri che quei crediti saranno capaci di generare in modo da stabilire se e come sono compatibili con le cedole che dovranno essere corrisposte agli investitori delle varie tranches di ABS. In relazione poi a quanti rischi di quel portafoglio crediti vengono trasferiti nella tranche mezzanina garantita e in relazione al merito di credito dello Stato sovrano garante, si può definire il costo della garanzia. E ovviamente in questo processo pesa quanto il prezzo di cessione dei crediti dista dal valore di mercato degli stessi; in altri termini quanto delle perdite su crediti la banca non ha ancora contabilizzato al momento della loro cessione alla società veicolo che si occupa della cartolarizzazione. Tutti questi fattori interagiscono e qualificano la dimensioni delle varie tranches di ABS e il livello di interessi che le tranches devono riconoscere agli investitori quale remunerazione a mercato del premio al rischio.

Qual è l’obiettivo primario di questo strutturazione? 

Il fine ultimo di questo shaker è garantire nel tempo l’equilibrio finanziario tra entrate e uscite della società veicolo. Per aiutare il barman possono essere previsti anche contratti derivati accessori (e.g. swap facilities e liquidity facilities) che servono a gestire in modo ottimale tempi ed entità dei flussi di cassa della cartolarizzazione. Insomma si tratta di un lavoro tecnico abbastanza complesso ma le assicuro che per noi quantitativi è il pane quotidiano.

Un’altra delle misure varate proprio lo scorso 29 aprile dal Governo  riguarda una serie di interventi intesi ad accelerare sensibilmente i tempi di recupero dei crediti. Questa misura potrà aiutare?

Senza dubbio un intervento sui tempi di recupero andava fatto, almeno per allineare il dato medio italiano (7-8 anni) a quello europeo (4 anni). Tuttavia occorre fare attenzione a non passare da un estremo all’altro. Imprimere un’accelerazione eccessiva alle procedure di recupero dei crediti problematici potrebbe trasformarsi in un boomerang rispetto alle esigenze sia delle banche sia delle piccole-medie imprese che compongono la nostra industria manifatturiera. E poi faccio notare che il tempo partecipa ai vantaggi finanziari di una operazione di cartolarizzazione visto che serve a rateizzare i costi della garanzia e delle perdite non contabilizzate da parte delle banche al momento della cessione del portafoglio crediti alla società veicolo. Minore il tempo e minori saranno i vantaggi finanziari su queste due voci per le banche. Su questo punto insiste peraltro il fatto che i tassi sono praticamente a zero, cioè a dire che rateizzare un costo non costa poi così tanto in termini di oneri finanziari. A questo si aggiunge il problema per le banche di cercare il giusto equilibrio tra rapidità del recupero e valore medio di recupero; altrimenti c’è il rischio di costringerle a sopportare perdite maggiori e, peraltro, concentrate in un breve lasso temporale. Quanto alle PMI bisogna evitare che i vincoli più stringenti cui saranno chiamate per onorare i loro impegni di pagamento in tempi più rapidi non si trasformino in un cappio troppo stretto che rischia di estrometterle definitivamente dal mercato.

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