Finanza

La Spagna adotta il Giubileo bancario che in Italia non ha trovato cittadinanza

La Spagna adotta il Giubileo bancario, una soluzione al grave problema dei crediti deteriorati bancari. Una norma nata in Italia ma i disegni di legge non superarono mai il vaglio delle commissioni parlamentari coinvolte

7 Dicembre 2024

Il disegno di legge predisposto dal Governo spagnolo per il recepimento della direttiva 2021/2167 (SMD), emanata allo scopo di sviluppare il mercato secondario degli NPL, prevede l’introduzione di una norma, che in Italia  era stata oggetto tempo fa di numerosi disegni di legge, giornalisticamente definita “Giubileo bancario”.

La norma spagnola prevede che il venditore di crediti “dubbi“ (di norma una banca) è tenuto ad offrire al mutuatario insolvente la possibilità di rimborsare il credito “applicando una cancellazione o una transazione parziale in linea con l’importo stimato della vendita del credito“ (nostra traduzione da un commento di elDerecho.com al progetto di legge). Questa previsione è consentita per i mutuatari in situazione di vulnerabilità economica: cioè i titolari di reddito minimo vitale e per le persone che si trovano al di sotto di una soglia minima di reddito.

Si tratta di una norma non presente nella SMD e deve quindi essere qualificata come una determinazione governativa volta evidentemente a lenire, per quanto possibile, le difficoltà dei debitori più poveri. Analogamente a molte di quelle presenti nei disegni di legge italiani, la ratio della norma  parte dal presupposto logico che, se un creditore è disposto a vendere in perdita un proprio credito ad un investitore che ritiene di recuperare più del prezzo pagato per l’acquisto di quel credito, detto creditore rinuncia di fatto ad una parte (spesso cospicua) del suo diritto. In presenza di questa rinuncia, altrettanto logico appare che al debitore sia data la possibilità di pagare il suo debito per  più o meno il prezzo offerto dall’investitore.

I primi disegni di legge italiani (XVII Legislatura) erano orientati ad evitare che le banche registrassero perdite da cessione anche in quei casi in cui il debitore insolvente fosse in grado di pagare almeno una somma pari al prezzo offerto dal cessionario. Lo scopo era di riportare in bonis il numero maggiore di debitori insolventi, ma anche di ridurre, per quanto possibile, le perdite delle banche e l’ erosione del gettito fiscale conseguente.

Tali disegni di legge, tra loro molto simili, furono presentati  da quasi tutti i gruppi parlamentari, compreso , da ultimo, anche il PD che con un testo leggermente modificato che  ne depotenziava  l’impatto. Fratelli d’Italia e Forza Italia non presentarono inizialmente propri testi. Se non che, nella XVIII Legislatura anche  Fratelli d’Italia si determinò a presentare un suo disegno di legge che aveva, però,  un difetto di fondo: intervenire sui crediti già ceduti prevedendo che il debitore avesse diritto di “riscattare“ il proprio debito pagando una somma di poco superiore al prezzo di acquisto sborsato dal cessionario. Evidente la impraticabilità della soluzione perché sarebbe andata ad incidere negativamente su contratti di cessione già perfezionati con grave nocumento per gli investitori.

Questa sgradita conseguenza non caratterizzava i primi disegni di legge che prevedevano, di regola,  interventi  solo su crediti ancora da cedere.

In tutti i casi, nonostante l’ampia convergenza parlamentare, sicuramente maggioritaria, probabilmente per la netta contrarietà degli operatori di mercato, specie dei fondi d’investimento interessati, contro la quale le stesse banche, che pure avrebbero tratto vantaggi non trascurabili, non intesero agire.

Stesso disinteresse è stato però riservato anche agli ultimi disegni di legge presentati nella XIX legislatura nonostante in alcuni di essi fossero state introdotte    norme di vantaggio fiscale, qualificabili come di  “moral suasion rafforzata”,  volte ad indurre banche e debitori a valutare favorevolmente accordi transattivi analoghi a quelli ora in via di applicazione nella normativa spagnola.

Quelle norme, se prontamente adottate quando lo stock di NPL  in Italia era ancora di circa 360 miliardi, probabilmente avrebbero  contribuito ad accelerare lo sgravio di crediti in sofferenza da parte delle banche italiane che non hanno avuto altre soluzioni se non quella di vendere le loro sofferenze con gravi perdite e conseguente erosione del gettito fiscale.

Oggi la situazione è completamente diversa. Lo stock di NPL  in carico alle banche si è ridotto a circa 50 miliardi, meno di quanto avessero in carico nel 2007 all’inizio della crisi dei subprime. Il flusso di cessioni attuale e prospettico è molto ridotto e le criticità si sono spostate sui conti degli investitori cessionari che, complice la pandemia e le successive crisi macro economiche e geopolitiche, non riescono a gestire efficacemente una massa di NPL  che, ormai endemica, ammonta ancora a quasi 300 miliardi. Le difficoltà di questo mercato sono ormai evidenti.

Se, malauguratamente, il sistema bancario italiano dovesse ritrovarsi a gestire una massa cospicua di sofferenze, potrebbe essere opportuno rispolverare quelle disposizioni che, neglette nella natia Italia, sono ora in corso di applicazione in Spagna.

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