Finanza

La mossa di Castagna per mettere fuori gioco i soci storici Bpm

10 Marzo 2016

Di fronte al rischio che lo stallo autorizzativo sulla fusione con il Banco Popolare finisca con il mettere in discussione il suo operato, peraltro già censurato dagli organi di controllo interno, il consigliere delegato della Bpm Giuseppe Castagna (nella foto) sta tentando una mossa che potrebbe mettere fuori gioco i soci storici della cooperativa milanese di Piazza Meda, e lasciare a lui e ai suoi alleati la parola finale sul futuro dell’istituto.

L’idea è di anticipare la trasformazione in società per azioni della banca cooperativa, che per legge dovrà avvenire entro il prossimo 12 dicembre. A quel punto tutte le leve per giocare la partita sul futuro della banca sarebbero nelle esclusive mani dell’amministratore delegato, mentre in assemblea si voterebbe per numero di azioni, e non più per teste come è d’uso nelle cooperative. In precedenza, l’istituto di Castagna aveva lasciato intendere che la trasformazione non sarebbe avvenuta prima di giugno, termine entro cui si pensava di avere già incassato l’ok all’operazione con il Banco. Questo lasciava supporre che sia il cambio di forma societaria sia la fusione sarebbero stati votati in assemblea secondo il meccanismo del voto capitario (un socio, un voto), in contemporanea o a stretto giro.

Con lo stallo in Bce, l’agenda potrebbe cambiare. Castagna sa che dopo l’assemblea del 30 aprile il nuovo consiglio di gestione potrebbe cambiare composizione, e lui potrebbe ritrovarsi a essere marcato stretto da nuovi consiglieri. Perciò, anticipare la trasformazione diventa fondamentale, anche se una mossa del genere verrebbe chiaramente accolta come una sfida da soci-dipendenti, pensionati e esterni. Proprio questi ultimi hanno più volte lamentato la mancanza di un confronto chiaro sul tema e la criticità dell’operazione dal lato milanese.

Le mosse di Castagna si scopriranno probabilmente già oggi, dopo la prevista riunione del consiglio di gestione. Fonti vicine alla banca hanno però smentito che la trasformazione in S.p.A. potrebbe essere nell’agenda dell’assemblea ordinaria del 30 aprile, sessione in cui sarà presentato il bilancio 2015. Nella stessa sede sarà eletto un nuovo consiglio di sorveglianza. Quello in scadenza è presieduto da Piero Giarda, che però potrebbe non essere confermato. Al suo posto si fa il nome del vicepresidente Marcello Priori.

Nel capitale di Bpm, accanto agli investitori puri – come Blackrock, il Canada Pension fund, Standard Life, la banca centrale norvegese Norges Bank – già oggi nel capitale di Bpm c’è anche un operatore attivista come Raffaele Mincione, che con il suo Athena Capital detiene circa il 5,7% per cento. Sul mercato Mincione è sempre stato considerato piuttosto vicino ad Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, che a sua volta è advisor di Banco Popolare, anche se storicamente è sempre stata più attiva su Bpm. Lo stesso Castagna, dopo l’uscita da Intesa Sanpaolo, restò temporaneamente parcheggiato in Mediobanca, fino a quando i buoni uffici di quest’ultima riuscirono a insediarlo al vertice operativo di Piazza Meda. Secondo quanto si raccoglie sul mercato, negli ultimi mesi diversi investitori si sarebbero posizionati su Bpm, rastrellandone silenziosamente i titoli. Secondo alcuni si tratterebbe di mani vicine a Mediobanca e al Banco, ma si tratta solo di voci e non ci sono ovviamente conferme ufficiali.

Allargando lo sguardo anche a Verona, dove ha sede il Banco Popolare, è ormai chiaro che una decisione dovrà essere presa: o si accettano le condizioni della Bce sulla fusione oppure bisognerà buttare nel cestino il progetto. Secondo un consigliere di gestione, sentito dall’Ansa al termine del consiglio, «non ci sono scadenza… si lavora auspicabilmente fino a quando non si troverà una soluzione». L’incontro di ieri a Francoforte non ha portato infatti ad alcun passo avanti: la Vigilanza europea ha ribadito la sua posizione su governo societario semplice, una struttura organizzativa efficiente e la cessione entro tempi precisi dei crediti in crediti sofferenza, con conseguente potenziale necessità di un aumento di capitale, che Castagna e Saviotti non vogliono fare, se non altro perché sanno che rischierebbero di trovarsi il mercato contro. La sensazione è che i margini negoziali con il regolatore bancario siano ormai al minimo.

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