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Crac bancari, ecco perché la difesa di Bankitalia fa acqua da tutte le parti

18 Dicembre 2015

L’operazione simpatia tentata da Banca d’Italia mandando il suo direttore generale Salvatore Rossi su Rai3 non ha dato gli effetti sperati. Di sicuro, non verso il governo, né tanto meno verso l’opinione pubblica. Ovunque continua a tenere banco la vicenda delle quattro banche fallite e messe in liquidazione con contestuale scorporo della parte sana (ora in attesa di un compratore) e azzeramento di titoli obbligazionari sottoscritti da risparmiatori ignari del rischio assunto.

A parte la difesa d’ufficio del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, le argomentazioni di Bankitalia non hanno infatti convinto molto. Il premier Matteo Renzi – in attesa della commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e sulle autorità di vigilanza – ha confermato la decisione di tenere sia Via Nazionale sia la Consob lontane dagli arbitrati che serviranno a risarcire gli obbligazionisti: «Se possibile vorrei che gli arbitrati fossero gestiti non dalla Consob, non dalla Banca d’Italia, non dal Parlamento, non dal Governo ma dall’Anac (l’Autorità anticorruzione, ndr) di Raffaele Cantone, una autorità terza e autorevole, per la massima trasparenza». Il segnale, come ha detto lo stesso Renzi, è chiaro. E non è un bel segnale. Ma il premier non è il solo a essere scettico sull’auto-assoluzione della Bankitalia, come pure su quella che il presidente della Consob Giuseppe Vegas cerca di far passare.

Per restare all’autorità bancaria italiana, del resto, ci sono cose, o c’erano fino a domenica scorsa, che un banchiere o un avvocato d’affari italiano non avrebbe potuto nemmeno immaginare. Una di queste è che il direttore generale della Banca d’Italia andasse in una trasmissione televisiva a tentare di giustificare l’operato dell’istituto.

Per gli addetti ai lavori la sorpresa di vedere in tv, ospite di Lucia Annunziata nel programma In mezz’ora, il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi è stata presto superata da un sentimento prima di incredulità e poi di ilarità per quanto ascoltato. Si parlava responsabilità della Banca d’Italia, e in particolare dei poteri regolatori sull’emissione di obbligazioni bancarie subordinate.

«Ci siamo interrogati, abbiamo fatto introspezione – ha detto Rossi intervistato da Annunziata – abbiamo fatto ricerca nella nostra documentazione per capire se avevamo agito correttamente. Io sono personalmente convinto che avevamo fatto tutto quello che potevamo date le leggi vigenti al meglio della nostra possibilità e capacità», ha detto Rossi, per il quale è «diventato urgente che prodotti come le obbligazioni subordinate vengano vietate per legge, ne venga vietata la vendita, perché ci vuole una legge per farla, al pubblico al dettaglio… nell’opinione pubblica certe volte i poteri della Banca d’Italia vengono esagerati».

Davvero la Banca d’Italia non aveva alcun potere di disciplinare un’emissione obbligazionaria o di “orientarla” verso investitori professionali? Davvero è come sostiene il dott. Rossi? Vediamo che cosa dice la legge.

Testo unico bancario, articolo 12, comma 7 : «La Banca d’Italia disciplina le emissioni da parte delle banche di prestiti subordinati, irredimibili ovvero rimborsabili previa autorizzazione della medesima Banca d’Italia. Tali emissioni possono avvenire anche sotto forma di obbligazioni o di titoli di deposito».

Poi c’è anche la normativa stabilita dalla stessa Banca d’Italia, in vigore fino a tutto il 2013, e poi in parte sostituita dalle regole europee.

Istruzioni di vigilanza, Titolo IV, Capitolo 1, Sezione 2, paragrafo 4. «Previo nulla osta della Banca d’Italia, tra le componenti del patrimonio supplementare possono essere ricompresi per l’ammontare massimo delle somme effettivamente ricevute dalla banca emittente i seguenti elementi: gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, quali le passività irredimibili e altri strumenti rimborsabili su richiesta dell’emittente con il preventivo consenso della Banca d’Italia; le passività subordinate. In entrambi i casi le passività possono essere emesse dalle banche anche sotto forma di obbligazioni, convertibili e non, e di altri titoli similari. Se la banca appartiene a un gruppo bancario, la richiesta per ottenere il nulla osta della Banca d’Italia va presentata dalla società capogruppo. I relativi contratti devono soddisfare le condizioni indicate nei paragrafi che seguono». Non solo. Le stesse Istruzioni scoraggiano l’acquisto di passività subordinate da parte delle banche.

Riepilogando: 1) la legge, che c’è già, delega a Bankitalia il compito di disciplinare l’emissione di obbligazioni subordinate 2) Senza il nulla osta di Bankitalia, una banca non può includere un prestito obbligazionario subordinato nel proprio patrimonio, cioè non se ne fa nulla perché senza computabilità nel “patrimonio supplementare” un’emissione subordinata non ha alcun senso per la banca che la emette.

Dopo aver sentito il dott. Rossi dire quello che ha detto, banchieri e avvocati si sono fatti una crassa risata. Chi nella vita ha avuto a che fare con Via Nazionale per ragioni professionali sa perfettamente come la Vigilanza bancaria fa e disfa come crede. Può trovare mille motivi per dire no senza bisogno di scriverlo da nessuna parte. Con tutti i cavilli che ci sono nei regolamenti non c’è possibilità di scampo. «Se non gradiscono – racconta un banchiere che ovviamente si guarda bene dal dirlo pubblicamente – cominciano a chiedere mille documenti, chiarimenti, precisazioni: possono tirarla in lungo quanto vogliono. E non c’è appello. «Alla fine o capisci o capisci», ci racconta un avvocato d’affari che ha seguito in prima persona alcune emissioni di obbligazioni, anche lui rigorosamente sotto anonimato. La chiamano moral suasion. Se non vuoi proprio capirla, si passa alle maniere forti ed è anche peggio (si veda per esempio il caso della Bpm nell’ultima periodo della stagione dei sindacati interni).

Per farla breve, in nome della stabilità del sistema bancario la Banca d’Italia può autorizzare o non autorizzare come meglio crede, e così ha sempre fatto. Sulla vicenda delle quattro banche e più in generale nel caso di tutte le emissioni d dii obbligazioni subordinate collocate presso un pubblico di investitori strutturalmente inadatto, il punto è se la specifica strada avallata dalla Vigilanza bancaria (rafforzare le banche a scapito del risparmio delle famiglie) sia stata la più opportuna rispetto al fine superiore della stabilità bancaria, e se nell’esercizio delle sue funzioni la Banca d’Italia ha tenuto in adeguata considerazione un altro bene costituzionalmente tutelato, cioè il risparmio.

La risposta ce l’ha data lo stesso Rossi in televisione: prima dicendo fuori tempo massimo che “è necessario vietare i prodotti come le obbligazioni subordinate”; poi, rimarcando che «occorre vigilare sul fatto che le banche agiscano con correttezza, quello è un pezzo della loro solidità, se si comportano male con i loro clienti, si indeboliscono».

La necessaria conseguenza di queste due affermazioni di Rossi è che Banca d’Italia ha sbagliato due volte e proprio rispetto al bene superiore della stabilità del sistema bancario 1) a livello macro, nel non disciplinare adeguatamente le obbligazioni subordinate facendo sì che fossero collocate presso un pubblico di investitori adeguato allo strumento 2) a livello micro, nel non vigilare sui comportamenti delle banche verso i propri clienti, sempre rispetto al bene superiore della stabilità del sistema bancario (altro, e distinto, discorso è quello della tutela dei risparmiatori affidato alla Consob).

Su una cosa si può essere d’accordo con il dott. Rossi, e cioè che occorrerà spiegare tutto davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta. La quale, operando con i poteri ordinari della magistratura, ha anche facoltà di chiamare i testimoni. Sarebbe opportuno che fra questi ci fossero i molti banchieri e avvocati d’affari che si sono occupati del collocamento di obbligazioni subordinate. Magari racconteranno anche come negli anni scorsi il collocamento delle obbligazioni subordinate agli investitori professionali comportasse due ordini di problemi: primo sarebbe costato di più alle banche; secondo, ci sarebbe stato comunque un problema oggettivo difficilmente superabile per un fondo d’investimento, ovvero l’assenza di adeguata liquidità sui titoli in questione nel mercato secondario, soprattutto per le emissioni di taglio più piccolo. La soluzione trovata fu quella che conosciamo.

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