Finanza

L’a.d. Castagna censurato dai controlli interni Bpm: con il Banco nozze al buio

22 Febbraio 2016

Mentre procedono spedite le trattative sulla fusione con il Banco Popolare, ai massimi livelli della Banca Popolare di Milano esplode il disagio per la gestione del dossier strategico da parte del consigliere delegato Giuseppe Castagna. Fra i consiglieri c’è la sensazione spiacevole di assistere al remake di un film del passato, quando le scelte maturavano nei conciliaboli esterni agli organi gestionali, e le decisioni arrivavano in cda già impacchettate e pronte per una semplice ratifica.

Finisce così che dagli organi del controllo interno è arrivata una censura a carico di Castagna e del consiglio di gestione: assenza di coinvolgimento dei consigli nel processo decisionale e assenza di adeguato dibattito e valutazione, secondo quanto si legge in un documento interno che Stati Generali ha potuto consultare. E soprattutto mancanza di un’informativa adeguata e tempestiva sul negoziato, giunta più dai giornali che attraverso le procedure e i canali societari. «Un combinato disposto che non aiuta la corretta formazione della volontà collegiale in generale, non consente una corretta governance dei rischi e rappresenta un problema non da poco anche per le questioni strategiche sul tappeto in questi giorni», commenta un consigliere di gestione della Bpm, che ha ovviamente chiesto di mantenere l’anonimato, e non nasconde preoccupazione per la piega presa da un’operazione che sembra rispondere più a «volontà esterne». Del resto già nell’incontro che si è tenuto a Francoforte il 10 febbraio, i funzionari della Vigilanza Bce avevano fatto notare con garbata ironia come, grazie a una puntuale rassegna della stampa italiana, fossero già a conoscenza dell’operazione presentata in quella sede da Castagna e da Pier Francesco Saviotti, amministratore delegato del veronese Banco Popolare.

Lo scorso 5 febbraio, in una riunione convocata per trattare anche una comunicazione della Bce sulla governance dei rischi, il comitato controllo interno di Bpm – organo che è costituito in seno al consiglio di sorveglianza – ha rilevato una sempre maggiore concentrazione di poteri nel consigliere delegato Castagna, che è anche direttore generale e ha l’interim della funzione mercato (dal giugno 2015) e degli affari legali (addirittura dal dicembre 2014). Unico organo a poter assistere alle riunioni del consiglio di gestione il comitato controllo interno ha rilevato che «il dibattito sulle tematiche di rilevanza strategica non è stato soddisfacente e che la tenuità delle attività di supervisione strategica svolte dal consiglio di gestione ha, di fatto, ampliato il ruolo del consigliere delegato anche in ambiti tipicamente di competenza dell’intero consiglio». Il consiglio di gestione è l’organo della banca dotato dei poteri amministrativi, anche sulle materie strategiche, ed è composto dal presidente Mario Anolli e da altri quattro consiglieri, fra cui Castagna. Le valutazioni del comitato controllo interno assumono particolare rilievo dopo l’incontro presso la Vigilanza Bce: se da un lato sono emerse alcune forti criticità rispetto all’aggregazione con l’istituto veronese, appesantito da una mole considerevole di crediti deteriorati, dall’altro va ponderato bene il rischio di essere la parte solida di un matrimonio con un soggetto debole, per non doversene pentire in futuro.

Giuseppe Castagna
Il consigliere delegato della Bpm Giuseppe Castagna

 

Dal verbale della riunione, inoltre, viene fuori che stessa scelta di avviarsi alle nozze con il Banco Popolare non scaturisce da un’analisi comparativa approfondita con le altre ipotesi sul campo o anche solo potenziali, a cominciare ovviamente dalla ben più solida Ubi Banca. Con quest’ultima, tuttavia, va detto che i colloqui si sono fermati abbastanza presto perché, in tema di poltrone, le controparti erano disposte a concedere a Bpm, e dunque a Castagna, solo il ruolo di direttore generale della futura banca, mentre secondo le indiscrezioni con i veronesi Castagna avrebbe assicurato il ruolo di amministratore delegato, uno stipendio annuo di 2,2-2,4 milioni, e una adeguata buona uscita in caso di mancato rinnovo.

«Le ipotesi di accordo e/o fusione con altri gruppi bancari sono state oggetto di consiglio di gestione di brevi informative da parte del consigliere delegato senza costituire oggetto di esplicita e formale analisi, dibattito e valutazione da parte del consiglio di gestione», si legge ancora. Va però evidenziato che i componenti di quest’ultimo «si sono dichiarati informati tuttavia non in sede consiliare». La formula dell’autodichiarazione più che chiudere la questione apre nuovi interrogativi: in quali sedi e con quale profondità è stata resa questa informativa? quali valutazioni hanno portato a preferire il Banco ad altre alternative? in che modo può essere tracciato e valutato il dibattito e la bontà della scelta, tanto dagli organi societari quanto dalle autorità di vigilanza, se non vi è nulla agli atti?

Le bacchettate del controllo interno non si esauriscono qui. Toccano anche l’evidenza del ruolo svolto i consulenti della Popolare di Milano, ovvero le banche Lazard e Citigroup. «Alla data odierna – annotano i controllori guidati dal presidente Alberto Balestreri – gli advisor nominati dalla banca nel giugno 2015 non hanno mai partecipato a riunioni del consiglio di gestione». Nel complesso il giudizio è negativo e include anche una stoccata sulla gestione della comunicazione, non dissimile nel contenuto da quale formulata con una battuta dai vigilanti di Francoforte: «Le scarse informazioni in materia di M&A [fusioni e acquisizioni, ndr] fornite al consiglio di sorveglianza, a fronte di ampie notizie riportate dalla stampa, hanno creato insoddisfazione, conseguentemente richieste di approfondimenti da parte di membri del consiglio di sorveglianza anche i temi di rischi delle citate operazioni». Una frase che tradisce il nervosismo e la preoccupazione che circolano nell’organo di sorveglianza, presieduto dall’ex ministro Piero Giarda, e che non lascia tranquilli nemmeno i consiglieri di gestione. La preoccupazione di finire col dare un placet – sia pure non vincolante essendo la materia di competenza del consiglio di gestione – a un’operazione che in futuro potrebbe azzoppare l’istituto come altre operazioni hanno fatto con banche ben più grandi della Popolare di Milano.

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In copertina, il salone della sede centrale di Bpm a Milano

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