Finanza
Perché il primo banchiere d’Italia sprizza baldanza da tutti i pori
«L’Italia è il posto dove essere, nella comparazione con altri paesi è il posto dove sviluppare la propria attività». Una dichiarazione di fiducia così solida nell’Italia di questi tempi si sente a stento pure in campagna elettorale. E a pronunciarla, infatti, è stato ieri non un politico ma il primo banchiere d’Italia, Carlo Messina, 56 anni amministratore delegato di Intesa Sanpaolo.
Fresco di risultati di bilancio apprezzati alla Borsa pure in una giornata in cui il segno meno accumunava tutti i listini europei, Messina sprizzava baldanza da tutti i pori di fronte a analisti e investitori. Aveva le sue ragioni. Il banchiere, 56 anni, dal 2013 alla guida della banca, ha appena portato a termine il suo piano industriale triennale (2014-2017), centrando tutti gli obiettivi.
L’ultimo anno, in particolare, si è chiuso con 3,8 miliardi di utili netti (7,3 miliardi includendo il contributo pubblico sulle due ex banche venete), patrimonio più robusto, maggiore copertura dei rischi su crediti. Gli affari stanno andando gonfie vele e premiano la scommessa di fiducia nell’economia reale del paese fatta dal manager quando nel 2013 venne promosso ai vertici del gruppo. Solo nell’ultimo anno, i clienti hanno pagato alla banca 7 miliardi di interessi netti e altrettanti in commissioni, record assoluto di sempre, grazie alla vendita di prodotti finanziari e assicurativi.
Nell’arco del triennio ha messo nelle tasche dei soci 10 miliardi di euro in dividendi, altrettanti nelle casse del fisco italiano, 200 miliardi di nuovo credito a medio-lungo termine erogato a famiglie e imprese, 21 miliardi sono finiti ai dipendenti, 11 miliardi ai fornitori: «[Siamo] una delivery machine di successo», una macchina che consegna risultati, «resa eccellente dalle persone e dal digitale», è il vanto del manager.
Con questi risultati alle spalle, e senza contare eccessivamente sulla futura crescita dell’economia italiana (viene ipotizzata una media annuale dell’1,3%) , Messina conta di arrivare a 6 miliardi di profitti netti nel 2021, combinando una significativa riduzione dei rischi, la riduzione dei costi operativi (con un obiettivo di rapporto costi/ricavi al 45%dall’attuale 55%) e la crescita dei ricavi, facendo leva sulla vendita di polizze assicurative e prodotti di risparmio in Italia e all’estero. Nel frattempo la banca assorbirà 12 controllate, tra cui Carifirenze, Carisbo, Banca Prossima, Banco di Napoli, Banca Imi.
L’ambizione è di diventare la banca numero uno in Europa «su basi solide», ovvero per profilo di rischio ed efficienza. Non solo. Raccogliendo, oltre che la buona eredità manageriale della banca, anche il lascito valoriale di Giovanni Bazoli, presidente emerito della banca e da sempre promotore della responsabilità sociale d’impresa, Messina ha annunciato che Intesa Sanpaolo «vuole diventare un punto di riferimento per la società con il nuovo piano», agendo su quattro filoni.
«Intendiamo lanciare un Fondo “ISP Fund for Impact” di 250 milioni di euro che consentirà l’erogazione di prestiti per 1,2 miliardi di euro a categorie con difficoltà di accesso al credito diventando la prima Impact bank al mondo», ha detto il banchiere. «Oggi Intesa Sanpaolo è il più importante finanziatore del Terzo Settore. A questo di aggiungeranno attività di filantropia per i più bisognosi. Intendiamo inoltre intervenire a sostegno della Circular economy con l’allocazione di uno specifico plafond di finanziamenti e il lancio di un fondo di investimento dedicato». Chiude il cerchio l’ulteriore spinta alla valorizzazione del patrimonio artistico della banca, attraverso la costituzione di un’unità specializzata nella gestione pro-attiva delle oltre 20 mila opere dell’istituto.
E poiché ogni epoca vuole i suoi simboli, a consacrare il tutto verrà eretto un nuovo grattacielo a Milano (in collegamento rapido con quello di Torino). Meglio ancora, nell’area Expo, sorgerà una cittadella del gruppo: la “ISP City”, dove saranno centralizzate tutte le attività al momento dislocate in varie sedi milanesi, consentendo, peraltro, un risparmio di costi immobiliari di circa 100 milioni.
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