Finanza
In lode dei fondi speculativi: un’affermazione o una domanda?
La “Finanziarizzazione dell’economia” è ormai un fenomeno popolare, visto da molti come l’origine di tutte le miserie del nostro mondo globalizzato.
Impoveriti, disoccupati, fallimenti, debacle del ceto medio, blocco dell’ascensore sociale, delocalizzazione delle fabbriche, riscaldamento del pianeta, crisi finanziarie, flussi migratori, polarizzazione della ricchezza, perdita di sovranità degli stati nazionali, dittatura dello spread, peggioramento delle pensioni, ridimensionamento del welfare e tante altre disgrazie, tutto si fa risalire alla finanziarizzazione dell’economia ed ai suoi protagonisti: i fondi speculativi.
Ma chi sono i fondi speculativi? Come nascono? Chi li alimenta? Quale è il loro scopo?
Nascono negli anni 50, prevalentemente come risposta del mercato alle esigenze della classe media americana, figlia fortunata del new deal, di assicurarsi una pensione dignitosa, complementare o sostitutiva del modesto sistema previdenziale Usa.
Quindi sono alimentati, all’inizio, ma in gran parte ancora oggi, dal reddito delle famiglie non destinato al consumo.
Dalla fine degli anni ’70, man mano che , nella politica economica dei governi occidentali, le teorie neoliberiste prendono il sopravvento su quelle keynesiane e la creazione di valore si rafforza nell’ area della “commercializzazione del debito-merce”, i fondi, da salvadanai gestiti prudentemente per produrre rendite accettabili per la Middle-class che invecchia, si trasformano in operatori dei mercati finanziari, quotati in borsa, sempre più orientati al profitto speculativo anche perché i loro manager vengono premiati lautamente in base ai risultati di breve e medio termine.
Non vogliamo tediare con i numeri – internet ne è piena – quindi proseguiamo con lo story-telling.
La redditività dei fondi, spinta al rialzo in una logica autoreferenziale basata sul principio neoliberista che “quando la marea sale salgono tutte le barche”, attira sempre più risparmio che passa dai depositi bancari e dai titoli direttamente posseduti dai risparmiatori, ai fondi.
La finanza cresce e diviene sempre più sofisticata. Nel tentativo di rassicurare i sottoscrittori ed attirare anche quelli meno inclini ai rischi di volatilità del valore delle quote, nascono strumenti complicati: fondi di fondi, Cds, cdo, derivati ecc. Lo scopo principale è raccogliere quanto più risparmio possibile per alimentare il fenomeno della finanziarizzazione che ha portato oggi a far sì che gran parte del reddito non consumato delle famiglie ed anche il surplus di liquidità delle imprese sia investito nei fondi.
In linea teorica, tra le varie forme di investimento finanziario, i fondi dovrebbero dare maggiore tranquillità perché i loro impieghi possono essere diversificati su scadenze, debitori, territori, aree tecnologiche, ecc. Chi sottoscrive azioni od obbligazioni accetta la concentrazione del rischio su un unico soggetto e si espone all’andamento di quel settore ed agli errori dell’imprenditore. Se va male a lui andrà male anche per i suoi creditori.
I fondi beneficiano invece della regola della compensazione degli errori: perde qui, guadagna là. Se poi investo in un fondo di fondi, la dispersione del rischio è molto più ampia. Quindi il sottoscrittore è più protetto dalla erraticità dei mercati.
Quindi evviva i fondi!
Questo in teoria. In pratica abbiamo visto ed imparato con la crisi finanziaria del 2007/2008, ma, poco prima, anche con le crisi delle borse asiatiche e degli investimenti “.com”, che i fondi possono fare grandi danni. L'”animus speculandi” è cattivo consigliere e l’effetto alone fa il resto.
I fondi, proprio perché speculativi, tendono a concentrare i rischi li dove intravedono i maggiori guadagni. Ma questa non è una scienza esatta, è fiuto, è fortuna. L’aiuto degli algoritmi di calcolo non è una garanzia assoluta, crea solo accelerazione competitiva e mortifica la meditazione. Emulazione e imitazione accentuano le concentrazioni di rischio su territori, singole aziende, singoli comparti, trend.
È un sistema interconnesso e molto complesso dove, come si dice, “un battito di ali di farfalla a Londra può scatenare un terremoto in Nuova Zelanda”.
Il fenomeno si complica quando, per reagire alla depressione economica post crisi finanziaria, le politiche monetarie dei governi e delle banche centrali diventano “accomodanti”, cioè si riducono i tassi di interesse per stimolare l’economia.
Se il denaro “costa” meno, vuol dire anche che “rende” meno, e siccome le banche guadagnano sul margine di interesse (interessi attivi meno interessi passivi) i depositi bancari vengono remunerati con tassi via via sempre più bassi, fino a meno di zero come è accaduto in Europa negli ultimi anni.
Questo fenomeno ha ulteriormente allontanato i risparmiatori dalle banche e le banche dai risparmiatori spingendo questi ultimi ad accettare ed abituarsi al rischio della speculazione.
Se andate dal direttore della vostra agenzia offrendogli di depositare 1 milione di euro, vi sentirete rispondere “no grazie.” Il direttore vi proporrà in alternativa di sottoscrivere quote di fondi o strumenti finanziari complessi, assicurandovi rendimenti elevati e garantiti. Nessuna delle due cose è certa, ma non avendo alternative, accetterete la proposta del direttore. E poi … chi non conosce almeno un amico che favoleggia di grandi guadagni grazie a questo o quel Fondo che investe in startup della Papuasia?
Questi fenomeni hanno fatto diffondere i fondi anche tra i risparmiatori europei che di norma beneficiano/beneficiavano di trattamenti previdenziali e pensionistici pubblici ben più gratificanti di quelli americani.
Ecco quindi la risposta alla domanda: chi li alimenta? Noi!
I fondi sono alimentati dalla nostra necessità di proteggere i risparmi e dalla nostra ingordigia di guadagno.
Evviva i fondi.
Nella prima metà del ‘900, i governi, compreso quello italiano, avevano fatto di tutto perchè i risparmiatori levassero i loro risparmi dal materasso e li portassero in banca per attivare il “moltiplicatore bancario”, necessario a finanziare gli investimenti industriali e quindi far crescere redditi e Pil.
Per rassicurare i risparmiatori, le leggi avevano garantito la stabilità del sistema bancario divenuto in gran parte pubblico. I risparmiatori si erano fidati e le banche – che non potevano più fallire- erano diventate grandi, potenti e prevalentemente stabili, ma anche di grande supporto alle imprese ed alla spesa pubblica.
L’economia postbellica aveva fatto crescere il benessere in particolare della classe media occidentale. Insomma tutto per il meglio, o quasi.
Dagli anni ’80 in poi le cose, lo abbiamo detto, sono andate progressivamente cambiando ed oggi le banche sono praticamente tutte private, non si sperticano per raccogliere risparmio, ma lavorano per far investire sui fondi, sono sempre meno generose nell’erogazione del credito, perché imbrigliate da regole contabili e di capitale sempre più rigorose, e, cosa veramente inusitata, possono fallire portandosi dietro risparmiatori ed investitori con il bail-in.
Quindi viva i Fondi! Unica alternativa per non tenere i risparmi dentro il materasso come all’inizio del secolo scorso.
Ma i fondi sono più sicuri delle banche? No, anche perché le banche, specie quando erano pubbliche, erano soggette ad un controllo tecnico e politico e, per quanto si possa diffidare della politica, finché ci saranno elezioni e democrazia, i politici dovranno pur fare almeno in parte gli interessi dei loro elettori evitando che le banche siano mail gestite e facciano guai. Ma, sparite le banche pubbliche questo ruolo della politica si è fatto sempre più tenue.
Anzi, i politici ora debbono fare i conti con i fondi, perché i fondi detengono la gran parte del debito pubblico che serve ai politici per governare il paese.
Abbiamo imparato dallo “spread” quanto pesino le cd. “aspettative” dei fondi nel determinare quanto dobbiamo pagare di tasse, quale debba essere la nostra pensione, quanto possiamo spendere per il sistema sanitario nazionale, quanti soldi pubblici possiamo destinare ad infrastrutture ed investimenti produttivi, ecc.
Ma le “aspettative ” dei fondi hanno anche una funzione “moralizzatrice”? Per certi versi si. Fanno pagare di più alle cicale del debito pubblico (noi, per esempio) e di meno alle operose e disciplinate formiche tedesche.
E questo nell’interesse di chi? Nel nostro interesse di risparmiatori, naturalmente. Perché amministrano i nostri soldi.
Quindi viva i fondi!
Ma c è un altro importante settore in cui i fondi e le loro logiche stanno soppiantando vecchie e polverose culture novecentesche: i crediti deteriorati delle banche.
Ormai è noto che, specie in Italia, la crisi finanziaria di dieci anni fa (ma non l’avevano causata i fondi speculativi sottoscrivendo i titoli subprime?) ha lasciato un tragico strascico di oltre 300 miliardi di crediti difficili da incassare che corrispondono ad altrettanti debiti di milioni di cittadini ed imprese. Questo fenomeno epocale ha messo in difficoltà – ed in qualche caso fatto “risolvere” (rectius: “fallire”) – decine di banche.
Dopo molti tentennamenti su come affrontare il problema, diversi Stati hanno deciso di salvare banche e risparmiatori spendendo alcune centinaia di miliardi pubblici.
In Italia no. Fino al 2014, quando già i crediti deteriorati delle banche italiane superavano i 300 miliardi – oltre 1/3 di quelli totali delle banche europee – ci siamo trastullati sostenendo che le banche italiane erano sane e fuori pericolo. Poi è arrivata la BCE, ha fatto i suoi test (ora si viene a sapere che li commissiona alle strutture tecniche degli stessi fondi speculativi pagando cifre mirabolanti) ed ha stabilito che le banche italiane dovevano sbarazzarsi nel più breve tempo possibile dei crediti deteriorati per non compromettere stabilità ed efficienza del sistema.
Come? Vendendoli sul mercato.
A chi? A chi ha i soldi per comprarli.
Chi li ha? Ma i fondi, naturalmente!
Evviva, ancora i fondi! Salvatori del sistema bancario italiano.
In due anni le banche si sono sbarazzate di quasi 100 miliardi di crediti deteriorati vendendoli ai fondi ed altre vendite sono in programma per il prossimo anno.
Grazie ai fondi le banche si sbarazzeranno, oltre che dei cattivi debitori (le sofferenze), anche di quelli non pessimi, ma solo malandati (gli utp) che avrebbero bisogno di “cure” e non di “macelleria sociale”
Se non ci fossero stati i fondi pronti a comprare (con i nostri soldi), cosa avrebbero fatto le banche?
Ce lo dice la Banca d Italia in un recentissimo studio pubblicato poche settimane fa (Note di stabilità finanziaria e Vigilanza, n 13 – i tassi di recupero delle sofferenze) dove si mette in evidenza che, quando le banche si occupano di recuperare direttamente i crediti cattivi, portano a casa il 44% mentre vendendoli ai fondi ricavano, nella migliore delle ipotesi, solo il 17 % (in lieve aumento sul passato grazie anche alle GACS?) . Per chiarire: i fondi comprano a 17 euro quello che vale 44. Le banche perdono 27 euro ogni 100 e i fondi guadagnano 27 euro ogni 100.
Sembrerebbe un danno? No, perché – si dice- grazie alle perdite da cessioni massive ai fondi, le banche hanno fatto (e continueranno a fare) pulizia nei loro bilanci, quindi possono tornare a erogare credito all’economia, che poi dovrebbe essere proprio il mestiere delle banche: raccogliere risparmio ed erogare credito. A dire la verità questo non è confermato dai dati ufficiali. Il credito alle imprese ed alle famiglie è ancora “centellinato”.
L’unico comparto del credito bancario in netta crescita è quello del credito al consumo ‘, il più scellerato perché induce le persone meno accorte ad indebitarsi per finanziare, di solito, il superfluo (vacanze, viaggi, cose inutili, finta ricchezza, capi griffati, ecc.). Contenti loro… tanto poi, quando non ce la faranno più a pagare e diventeranno cattivi debitori, le banche li cederanno ai fondi, noti per non essere così delicati nelle azioni di recupero. Altro ruolo educativo dei fondi? E la giostra continua a girare.
Per completezza è giusto sottolineare, come fa Banca d’Italia da qualche anno, che quando le banche vendono massivamente i crediti deteriorati registrano gravi perdite ( i 27 euro ogni 100, sopra citati) che rendono necessarie ingenti ricapitalizzazioni.
Chi interviene per ricapitalizzare le banche?
Sempre i fondi, che, guadagnando i 27 euro di cui sopra prendono il controllo delle banche che li hanno persi. (È una forte semplificazione, ma rende l’idea del meccanismo).
Ma poiché i soldi dei fondi sono i nostri, siamo noi che, grazie ai fondi, ridiventiamo “padroni” delle banche di cui eravamo già azionisti prima che le perdite, dovute alle cessioni massive ai fondi, azzerassero quasi i nostri risparmi precedenti.
D altra parte se la Banca di cui eravamo azionisti è andata male, è stata anche colpa nostra che, come azionisti, avevamo nominato amministratori non adeguati.
Quindi, evviva i fondi che ci consentono di correggere gli errori passati e mettono nei consigli di amministrazione loro uomini, adeguati, in sostituzione di quelli precedenti responsabili delle perdite.
Evviva i fondi.
Insomma i fondi hanno anche un ruolo moralizzatore.
Forse è proprio per questa loro funzione che quando hanno detto alla Politica che per salvare le banche lo Stato doveva garantire i profitti dei sottoscrittori dei bond delle cartolarizzazioni (cioè i fondi stessi), la Politica ha prontamente risposto con le GACS.
Se lo Stato avesse impiegato gli stessi soldi per garantire, almeno fin dove possibile, il ripianamento delle esposizioni da parte dei cattivi debitori delle banche, avrebbe ottenuto alcuni buoni risultati:
-le banche non avrebbero dovuto ricapitalizzarsi,
-non si sarebbero sbarazzate, oltre che dei crediti cattivi, anche delle professionalità interne che si occupavano egregiamente di questa attività (anche queste comprate dai fondi insieme ai crediti a prezzi di saldo),
-migliaia di famiglie ed imprese indebitate si sarebbero salvate,
-il gettito fiscale non sarebbe stato eroso dalle perdite delle banche e dal fallimento di migliaia di imprese,
– lo Stato non avrebbe favorito la mancata tassazione di alcuni miliardi di profitti, quelli dei fondi residenti all’estero, praticamente tutti.
– si sarebbe evitato il depauperamento della ricchezza immobiliare nazionale a causa delle centinaia di migliaia di esecuzioni immobiliari sui patrimoni dei debitori.
Quando qualcun’ altro ha chiesto questo, la Politica ha fatto orecchi da mercante. Mentre ai Fondi a detto subito si.
Evviva ancora i Fondi che riescono ad ottenere dai politici quello che viene negato ai cittadini.
Onore al merito!
Inoltre c’è anche un aspetto etico. I debitori delle banche debbono pagare i loro debiti. Se non si rispettano le regole non c’è più ordine nella società.
Quindi ben venga che i fondi, i quali non hanno alcun interesse alle vicende di imprese, territori, categorie, intere comunità nazionali, ecc, mettano in atto azioni vigorose e indifferenziate per costringere i debitori, fedifraghi della fiducia loro accordata a suo tempo dalle banche, a pagare il dovuto o, se non ci riescono, a perdere patrimoni, aziende e, cosa più importante di tutte, il futuro.
Hanno sbagliato! i fondi, in funzione catartica, costringono i debitori alla espiazione, ma non al ravvedimento. Mai sia che i cittadini perdano l’abitudine di indebitarsi. La giostra si fermerebbe ed i fondi resterebbero disoccupati.
Poco conta che l’indebitamento delle famiglie e delle imprese sia sempre stato meno diffuso e profondo da noi che in altri paesi, specie di cultura anglosassone. Poco conta anche che a causa di politiche economiche sbagliate per decenni il nostro sistema produttivo sia più bancocentrico di altri e che quindi le imprese siano più piccole, più indebitate e meno capitalizzate delle loro concorrenti estere.
Poco conta che le banche fino al 2010, abbiano spinto famiglie ed imprese ad indebitarsi, a volte anche oltre misura e spesso con forme tecniche inadatte. Poco conta che queste strategie commerciali denominate “originate and distribuite” fossero basate sulla possibilità che, erogati i crediti, i relativi rischi sarebbero stati riallocati sul mercato proprio ai fondi speculativi con le cartolarizzazioni.
Dì tutto questo nessuno si fa più carico nè si cercano responsabilità. L’importante e che i Fondi guadagnino anche sulle situazioni drammatiche essendo gli unici in grado di mobilitare risorse finanziarie (i nostri risparmi) alla raccolta delle quali le banche hanno colpevolmente rinunciato da tempo.
Evviva i fondi.
In conclusione.
I fondi speculativi sono dei grandi fluidificatori dei flussi finanziari e gestiscono i soldi dei risparmiatori ( cioè i nostri soldi) per guadagnare ovunque sia possibile in modo del tutto indifferente rispetto alle esigenze delle persone (cioè alle stesse nostre esigenze).
In buona sostanza in un mondo circolare ed integrato come quello in cui viviamo, quello che guadagniamo come sottoscrittori dei fondi, lo paghiamo in maggiori tassi d’ interesse, maggiore indebitamento pubblico e privato, minor benessere diffuso, aumento degli impoveriti e dei poveri, minore autonomia della politica sia nazionale che sovranazionale, ecc, ecc.
Sembra un gioco a “somma zero”: si guadagna da un lato quello che si perde dall’altro.
Ma non è così.
Grazie alla finanziarizzazione la ricchezza si redistribuisce in modo ineguale, anzi si polarizza e si concentra in poche mani.
Il vero problema è quindi politico.
La finanza globale appartiene al mondo dello “shadow banking”, un mondo dove la politica non può dettare regole come fa con i soggetti (le banche ad esempio) che operano nei mercati regolamentati, anzi oggi iperegolamentati nei minimi dettagli tanto da diventare sempre meno efficienti.
Di questo passo, la disintermeduazione delle banche, cui le stesse banche partecipano attivamente vendendo sempre più quote di fondi ai risparmiatori, ormai ex clienti depositanti, e sempre meno credito e mutui, renderà progressivamente tutto il sistema economico soggiogato ai Fondi, unici o quasi detentori della liquidità e del controllo del mercato del debito-merce.
Ma i fondi non sono facilmente assoggettabili ai governi democraticamente eletti, anzi, giocando sul campo planetario – ambito di conflitti, non di governo, della politica – per lo più li condizionano.
Forse anche da questo fenomeno nasce la conclamata crisi delle democrazie occidentali?
Forse il luddismo populista – a dir la verità più proclamato che praticato – trae origine anche dalla consapevolezza degli elettori che la politica ha raggiunto “il limite della sua incompetenza ” di fronte allo strapotere della finanza e dei suoi interessati protagonisti?
Argomento di riflessione che ci costringe ad aggiungere un punto interrogativo alla frase tante volta qui ripetuta: Evviva i fondi speculativi?
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