Finanza
Il ritorno in banca dei guai di fine anno (e Unicredit ci mette il carico da 90)
A ogni chiusura d’anno riemergono i problemi del sistema bancario che tengono tutti con il fiato sospeso. Quest’anno però varrebbe la pena farsi un esame di coscienza e chiedersi a cosa sono dovuti. Se si facesse realmente questo sforzo, potremmo sperare in un’inversione di tendenza per il Natale 2017. A questo giro, invece, rassegniamoci: avremo un dicembre molto movimentato.
Partiamo prima con le buone notizie.
1. UBI e le tre banche. Il 24 novembre il Supervisory board della BCE dovrebbe deliberare sull’offerta da parte di UBI di Banca delle Marche, BP Etruria e CR Chieti. Almeno questa partita dovrebbe chiudersi. UBI farà un modesto aumento di capitale ed aumenterà le coperture. Dei quasi due miliardi investiti dal fondo tornerà indietro un euro. Quindi altri costi da spesare per tutte le banche del sistema
2. Le altre quattro banche commissariate. Voci non confermate danno come possibile un’acquisizione da parte di Cariparma di CR Cesena, di CR Rimini (per precisione di cronaca, non ancora finita nel fondo) e di CR Ferrara. È possibile, e speriamo che i colloqui in atto si concludano favorevolmente. Il problema sembra essere il prezzo per la CR Cesena, visto che Cariparma vuole imitare UBI.
3. CR San Miniato è in attesa di scoprire se il fondo Pve Capital, accompagnato da Vincenzo De Bustis, ha le necessarie risorse finanziarie. De Bustis vuole riprendere il successo di Banca 121 ed in questa avventura vorrebbe affiancarsi anche l’Assicuratrice Milanese di Samorì. La Banca d’Italia, visti i successi fantasmagorici di cui ai punti precedenti, ha capito che forse non è il caso di fare la brutta copia di Atlante con il Fondo interbancario, anche perché lo stesso Atlante non se la passa bene. Le richieste, ancora alte, si sono un po’ calmierate.
Passiamo ora ai guai.
1. Monte dei Paschi di Siena. È stata lanciata l’offerta di scambio sulle obbligazioni, spingendo gli obbligazionisti all’adesione per evitare il bail-in. Si spera nei qatarini (magari il Governo qualche contropartita gliela trova per convincerli) o in qualche altro investitore di rilievo, in modo che generino un effetto traino. Dopo il road show dell’a.d. Marco Morelli, comunque, i fondi vedono più di qualche difficoltà sulla realizzabilità dell’aumento di capitale. Anche a causa dell’aumento di capitale jumbo atteso di Unicredit (che attrae tutti i capitali di chi vuole allocare risorse sull’Italia). Anche a causa del crollo dei titoli bancari in questi giorni.
2. Banco BPM. L’andamento infelice di titoli nel corso dell’ultima settimana potrebbe essere dovuto a voci nella comunità finanziaria su possibili richieste di ulteriore capitale (in barba al diritto di recesso che si andrebbe a far benedire). Questo, se fosse vero, non aiuterebbe in generale l’aumento di capitale di MPS perché l’eventuale richiesta per il mercato dei capitali si andrebbe a sommare. E getterebbe ulteriori ombre sullo stato di salute del sistema bancario italiano. Come ho scritto più volte, ho qualche dubbio sulle coperture e sulla capacità di generazione di utili del Banco (hanno venduto quello che potevano con commissioni upfront ai clienti) e quindi credo che, nonostante l’attuale livello di capitalizzazione, una richiesta della BCE non sia irrealistica. Se una banca non genera abbastanza utili per far fronte al fabbisogno di capitale di domani, deve avere più capitale oggi. Mi chiedo solo, se questo fosse vero, quali gravi responsabilità avrebbe l’amministratore delegato Giuseppe Castagna verso azionisti, clienti e dipendenti di BPM per averli portati in questa situazione, forzando la mano al voto in assemblea e dichiarando che i conti del Banco erano a posto. La terza trimestrale ha evidenziato ulteriori perdite e già qui delle domande da fargli ci sarebbero, ma temo che il peggio debba arrivare con i conti di fine anno. Detto questo, non posso credere che la BCE arrivi a chiedere un nuovo aumento di capitale a distanza di pochi mesi da quello precedente e dall’autorizzazione della fusione. Sarebbe indice anche di una loro deficienza. Quindi, anche per loro senso di preservazione, a breve tenderei a escluderlo.
3. Unicredit. Questa è la situazione più preoccupante, e per assurdo anche la più gestibile. Sembra che Jean Pierre Mustier come tutti i bravi manager voglia fare tanti accantonamenti su crediti, per poi mostrare risultati brillanti in futuro, quando questi accantonamenti determineranno un reddito maggiore. Lo fanno tutti i nuovi manager, quando arrivano. Se però si esagera, si genera un problema. Qui rischia di generarne diversi:
– agli azionisti di Unicredit, che finiscono asfaltati da un maxi-aumento di capitale, in parte forse non necessario, e vedono il prezzo dell’azione depresso;
– alle altre banche italiane, che verrebbero messe sotto pressione per raggiungere gli stessi livelli di copertura, forse eccessivi, e quindi di conseguenza potrebbero vedersi costretti ad aumenti di capitale conseguenti;
– alla Vigilanza italiana, che di guai ne ha già troppi e dovrebbe evitarne di non necessari;
– alle banche di cui sopra che il capitale devono andare a raccoglierlo.
Tutto questo si svolge nell’indolenza dei tacchini V(I)P – essendo il primo il Vice Presidente Fabrizio Palenzona –, che pensano di essere tutelati nella loro sedia e non fanno nulla per evitare questo disastro. In questa loro tranquillità si sbagliano perché Mustier li aveva già tranquillizzati a suo tempo che non avrebbe fatto maxi aumenti di capitale, intanto che voci amiche sussurravano al mercato dell’importo di aumento di capitale di cui parlano guarda caso i giornali. Il problema arriverà quando, dopo tutte le cessioni, anche Unicredit avrà un posizionamento strategico debole, crescita negativa degli impieghi e capacità di reddito (normalizzata per i recuperi di cui sopra) menomata. I tacchini perderanno la sedia prima di quello che pensano, soprattutto se viene tirato fuori ad arte qualche file che li riguarda e che giustifica la rimozione.Vista la nostra capacità previsionale comprovata, i tacchini V(I)P farebbero bene a non stare tranquilli, perché altrimenti faranno la fine che fece Cesare Geronzi a Generali. Lo stesso Geronzi che oggi osserva sornione le mosse del bretone su Mediobanca e Generali e aspetta il grande tacchino di Unicredit fare la fine che lui gli fece fare a sua volta. Caveat emptor.
4. Popolare di Vicenza, Veneto Banca. I bond delle due banche venete segnalano una situazione di forte stress finanziario. Gli investitori avranno paura di vedere una riedizione del piano di conversione dei bond di MPS. La situazione preoccupa sul piano commerciale e industriale, prima ancora che finanziario. Aver perso un banchiere come Beniamino Anselmi, che andava in giro per le filiali a risolvere i problemi (quello che serve in questi casi per non far sentire abbandonata la rete), è sintomatico di una situazione preoccupante. Non vorrei che Gianni Mion ripetesse con gli investitori di cui si dice gli stessi errori superficiali fatti con Cattolica Assicurazioni: a Vicenza avevano trattato con sufficienza l’assicurazione veronese, forse sperando nell’arrivo di qualche grossa compagnia, che, visto il disastro commerciale di BpVi, si è defilato. Ora nei confronti di Cattolica sembra che il clima sia cambiato: ed è quello di una resa incondizionata.
Quello che si impara guardando queste situazioni è che molte avrebbero potute essere evitate con un po’ di buona gestione e di buon senso. Altre si possono risolvere evitando che i manager facciano quello che vogliono nelle banche, grazie a Consigli di Amministrazione più attenti agli interessi degli azionisti e meno alle poltrone, più preparati e pronti alla dialettica, meno supini rispetto alle scelte dell’esecutivo. Finché non arriveremo a questa attenzione, le cose non potranno che andare peggio. Inutile lamentarsi con Mario Monti che ha ingegnerizzato una recessione da riduzione della spesa privata con conseguente depressione in Italia. Senza uno sforzo comune e un po’ di senso civico non se ne esce. Quello che in situazioni di crescita e di abbondanza non si nota, oggi non è tollerabile, perché mina alle basi la stabilità del sistema.
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