Finanza
Perché l’assedio francese al risparmio italiano è una questione di Stato
L’attenzione mediatica si è concentrata sulla strana scalata del finanziere francese Vincent Bolloré a Mediaset. Strana perché le scalate non si annunciano, si fanno, giocando su incertezza e sorpresa. Soprattutto quando c’è un azionista prossimo al 40% del capitale. Forse i politici nostrani sono preoccupati anche da cosa potrebbe fare un soggetto esterno al loro sistema di potere con televisioni e giornali ad ampia diffusione. La stessa Mediobanca, che probabilmente suggerisce qualche mossa a Bolloré, è interessata in quanto orfana del Corriere della Sera e meno influente.
Nelle istituzioni in pochi badano, invece, al vero pericolo che corre l’Italia: perdere il controllo sul risparmio privato, di cui Generali e Unicredit amministrano una percentuale elevata. È un pericolo strisciante, perché le azioni funzionali al disegno vengono eseguite in modo silente, negando l’evidenza (la disinformazione è anch’essa un’attività). E’ un pericolo estremamente grave, anche se non ovvio. Più grave dell’interesse dei francesi per Finmeccanica che ha preoccupato i nostri apparati (si dice aiutati, in quel caso, dal veto americano).
Vogliamo spiegare perché il pericolo relativo ai servizi finanziari è un pericolo grave, tale da mettere a rischio l’indipendenza sostanziale del paese e quindi i principi fondanti della nostra Repubblica come sanciti dalla Costituzione.
Per farlo bisogna partire dalla crisi dello spread, perché è cominciato tutto da lì. Le crisi, infatti, servono a spingere cambiamenti altrimenti inaccettabili. La crisi dello spread è poi diventata crisi bancaria. Ed in assenza di interventi il copione è destinato a ripetersi in modo più grave, con conseguente deindustrializzazione del paese.
Stati e banche possono fallire
Le moderne guerre si combattono in modo sempre meno convenzionale, più che con le armi tradizionali, con la finanza e con strumenti di manipolazione informatica. Il debito può essere uno strumento di distruzione economica. Ed ancora peggio, uno strumento volto a limitare fortemente la sovranità di un paese e la libertà (e la dignità) dei cittadini, oltre la ragionevolezza e la più basilare solidarietà umana (al di là delle colpe che ci sono per l’accumulo di debito). Per capirlo, basta guardare alla Grecia che di sovranità ne ha ormai poca ed anche se riesce a generare surplus di bilancio superiore agli obiettivi non può acquisire un minimo di flessibilità di spesa per aiutare gli indigenti.
Gli italiani lo hanno scoperto nel 2011, con la crisi dello spread che ha mandato a casa il governo Berlusconi. Si è detto molto sul ruolo delle agenzie di rating ma quello che pochi sanno è come si è avviata questa crisi. Il clima era favorevole alla speculazione perché i tedeschi avevano messo in dubbio il rimborso del debito greco, mentre prima di questo evento gli investitori ipotizzavano che gli stati dell’Unione Europea non potessero essere insolventi/ristrutturare. Mettere in discussione questa ipotesi creava le condizioni per il panico. Quando un primario gruppo assicurativo ha deciso di ribilanciare gli investimenti in titoli di stato proporzione al paese di origine delle riserve, alcune banche d’affari che dovevano assisterli hanno accentuato il movimento al ribasso dei titoli italiani, anticipando la decisione di vendita, vendendo allo scoperto accompagnate anche da fondi hedge a loro vicini. Le vendite rilevanti ed i conseguenti prezzi in rapida discesa hanno generato panico e una spirale viziosa in cui anche gli altri investitori, per il solo movimento di prezzo, hanno cominciato a vendere. Questa storia insegna che il controllo dei flussi di capitali e quindi la gestione del risparmio conta, ed anche tanto. E l’Italia di risparmio ne ha molto (in largo eccesso rispetto al debito pubblico).
Il crollo dei prezzi dei titoli di Stato ha segnato in modo definitivo la psicologia degli italiani. Il vaso di Pandora era aperto: l’incertezza sulle finanze, la consapevolezza che lo Stato poteva fallire ed il rischio di maxi-patrimoniali hanno avviato una progressiva fuga di capitali. Oggi quindi, il controllo dei canali finanziari è ancora più importante, anche se da solo non basta a risolvere il problema. Servono stabilità ed una diversa architettura europea, non funzionale all’instabilità.
Il trasferimento all’estero di capitali e della residenza di imprenditori e manager (tra cui anche qualcuno in vista che lavora a Mediobanca) implicano che questo timore rende più probabile l’evento temuto. Gli economisti le chiamano profezie auto-avveranti: minori capitali significano minori investimenti, meno consumi, meno crescita del PIL. E l’economia langue. Anche grazie all’intervento del governo Monti che ha terrorizzato i consumatori/investitori ed ha tagliato la spesa privata in luogo di quella pubblica. Risultato pratico: l’economia italiana, a differenza delle altre principali, non si è ripresa.
E la ricchezza pro-capite è al livello di venti anni fa.
La causa di questo rischio di insolvenza è aver aderito a un’unione europea con un’architettura imperfetta: aderendo alla moneta unica, lo Stato può fallire perché non può stampare moneta per pagare il debito. Non sarebbe un problema se vi fossero unione fiscale, solidarietà finanziaria e meccanismi di ribilanciamento ma, in assenza di questi meccanismi necessari, i paesi più deboli sono vulnerabili ai vincoli di politica economica posti dall’esterno, alle scelte squilibrate apparentemente virtuose (ridotta spinta dei consumi ed elevato surplus commerciale in Germania), agli shock economici. Vi era consapevolezza di questi rischi, ma si decise di proseguire nell’integrazione europea per la priorità politica e perché questo avrebbe portato a una maggiore integrazione in seguito, altrimenti difficilmente realizzabile per la volontà di non perdere potere.
Dopo la crisi del 2011, per ottenere uno scudo temporaneo sui titoli di Stato, abbiamo aderito a un’unione bancaria imperfetta. La crisi è stata utilizzata come catalizzatore di rinuncia ulteriore a sovranità. Perdendo la vigilanza sulle banche, ma senza beneficiare dell’assicurazione sui depositi europea, che era l’unica ragione per aderire ed è essenziale per stabilizzare la raccolta, tranquillizzando (temporaneamente) i risparmiatori. E quindi si è lasciata aperta la principale vulnerabilità delle banche (che muoiono, ricordiamolo, per fuga di liquidità).
Banca d’Italia ha perso le leve per gestire le crisi bancarie e la vigilanza europea, a guida francese, è andata con lo spillone a far scoppiare i bubboni dovuti a qualche banchiere briccone ma soprattutto alla crisi dell’economia generata dallo spread e dalle conseguenti politiche economiche. Il salvataggio sbagliato delle quattro banche (Etruria, Ferrara, Marche e C.R. Chieti) è stato un ulteriore shock del sistema, dopo quello dello spread. Le banche erano viste come sicure. Invece i risparmiatori hanno scoperto che le banche potevano “fallire” e loro potevano perdere i loro soldi. Questo ha generato ulteriore fuga di risparmio e, in assenza di rapidi interventi governativi, l’avvio di una crisi bancaria (le banche venete, MPS e qualche altra in arrivo).
Maggiori livelli di capitalizzazione e di copertura delle sofferenze imposti a livello europeo, assieme a un’economia sofferente hanno comportato perdite economiche e forti necessità di capitale per il sistema bancario. Vista la fuga di capitali in corso e timori verso l’investimento in banche, si sono determinate significative difficoltà per trovare il capitale che serviva alle banche.
Se il problema del capitale per le banche è evidente, non si percepisce invece quello sulla liquidità, grazie al finanziamento della BCE. Il finanziamento della BCE è temporaneo e non si percepisce il rischio crescente cui è soggetto il paese. Infatti le banche sono sempre più dipendenti dalla BCE, che non le finanzierà in eterno e queste sono sempre più vulnerabili perché con la fuga dei risparmiatori, le emissioni obbligazionarie si sono ridotte fortemente ed i depositi pure. I clienti portano capitali all’estero direttamente o investendo in prodotti di risparmio gestito.
L’instabilità descritta ha comportato una significativa fuga di capitali, che continua ancora oggi, come si vede da Target 2 (semplificando, Target 2 è il saldo del debito verso il resto della UE):
Reinhart C., Fleeing from Italy, Project Syndicate, 23 Nov. 2016
Draghi ha ricordato che per uscire dall’Euro questi debiti vanno pagati, dichiarazione strana in questo periodo e che nega la posizione ufficiale di irreversibilità dell’euro. Un messaggio a qualche debitore?
Quando la BCE ridurrà il QE, le tensioni sui titoli di Stato riprenderanno e le banche saranno più vulnerabili di prima, a causa della fuga di liquidità verificatasi (e poco percepita dai banchieri grazie alla morfina del QE, che non si preparano) ed al trasferimento della vigilanza a livello europeo.
Non gestire più buona parte del sistema finanziario rende più difficile controllare i flussi di risparmio per poter rendere il sistema finanziariamente stabile e poter almeno provare a negoziare le modifiche all’architettura europea necessariamente per evitare una nuova crisi, altrimenti inevitabile per come stanno le cose, e peggiore di quella del 2011. Senza controllo del sistema finanziario non si negozia nulla, si ubbidisce. Con la prossima crisi, si rinuncerà alla parte residua di sovranità che rimane, come scelta imposta e non deliberata democraticamente.
Sistema finanziario e industria
Se è vero che l’Italia ha molto debito, è anche vero che ha un risparmio particolarmente elevato (circa 8 mila miliardi al netto del debito, di cui 3 mila miliardi di ricchezza finanziaria) rispetto al debito pubblico (circa 2 mila miliardi). Il fatto che il debito sia in larga parte posseduto a livello domestico riduce i rischi di uno shock.
Se però questo risparmio viene gestito in buona parte da soggetti esteri, abbiamo visto che una riallocazione violenta dello stesso può avere effetti in grado di mettere in difficoltà qualsiasi governo, a prescindere dalla bontà dell’operato dello stesso. Ha quindi un potere ben superiore a quello di qualsiasi mezzo di comunicazione.
Il controllo del sistema finanziario, oltre a ridurre la vulnerabilità dello Stato, è essenziale per la crescita dell’economia ed il controllo delle aziende.
Per quanto riguarda l’economia, è noto che la moneta è in grado di influenzare la crescita. La dottrina economica riconosce ormai che le banche hanno un rilievo primario nella creazione di moneta e quindi nell’andamento del PIL, come ha scritto Mervyn King, ex governatore della Bank of England in The Alchemy of Money e come pubblicato nelle stesse ricerche della banca centrale britannica.
Per quanto riguarda il controllo delle aziende, in un sistema bancocentrico come quello italiano, in cui le aziende sono molto indebitate, il controllo del sistema bancario può spingere alla cessione in mani amiche di aziende strategiche ed alla chiusura di altre. O ne può preservare la continuità nei momenti di crisi.
Il sistema finanziario quindi ha un ruolo fondamentale nel governo dell’economia e del controllo del sistema industriale del paese. Ciò vale ancora di più, ove si consideri che una parte non trascurabile del sistema bancario è in difficoltà (a partire da MPS, BP Vicenza e Veneto Banca), che Crédit Agricole e BNP-Paribas controllano già parti rilevanti del sistema bancario.
Conclusioni
La Francia ha un disavanzo più che doppio rispetto a quello italiano, ma non è mai stata sanzionata per aver sforato i vincoli di bilancio (12 anni su 16). L’Italia l’ha fatto solo una volta ed è stata trattata come un soggetto deprecabile. La Francia ha un deficit commerciale pari all’incirca al surplus italiano e spende il 5% del GDP in più dell’Italia come spesa pubblica.
Se non ci si pone su un piano paritario con gli altri paesi dell’Unione Europea, se non si ha un disegno industriale per il paese, se si subiscono passivamente gli effetti negativi di un’architettura europea volutamente sbagliata e funzionale alle crisi e se non si razionalizza il bilancio dello Stato, si condanna il paese alla perdita di sovranità, al declino e alla povertà.
Quindi rinunciare a difendere il sistema finanziario dalla colonizzazione, in assenza di una reale integrazione economica e politica europea, rischia di rendere il paese vittima di un saccheggio che parte dalla finanza e si propaga all’economia reale, dopo che questa è stata devastata. Comprando le società più interessanti e facendo chiudere le altre.
Non si può quindi supinamente consegnare le chiavi del sistema finanziario ad altri paesi europei e pensare che questo comporti un sacrificio definitivo, necessario per un equilibrio. Si pongono le premesse per una successiva deindustrializzazione del paese che dal punto di vista di tanti dovrebbe essere utilizzato solo per turismo, per i pensionati d’Europa. Deindustrializzazione cominciata con la crisi della lira e la gita sul Britannia.
Oggi, invece, con il pericolo esterno creato dalla Russia anche in funzione di un possibile disimpegno americano, ci sono le ragioni e le basi per riprendere in modo sano la creazione degli Stati Uniti d’Europa, riformando l’architettura sbagliata. E l’Italia può avere più peso in questo quadro, a fronte di una crescente necessità tedesca, in modo da rendere non necessario di diventare una colonia francese sul continente per poter sperare di sopravvivere.
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In copertina, Paolo Gentiloni e François Hollande nell’incontro del 10 gennaio 2017 all’Eliseo
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