Finanza

Il peana mediatico su Atlante ha il fine di piazzare azioni bancarie?

16 Aprile 2016

 

Più che Atlante il fondo che dovrebbe risolvere i problemi del sistema bancario italiano dovrebbe chiamarsi Archimede: datemi una leva e vi solleverò il mondo. Infatti l’unico modo in cui anche questa iniziativa possa avere un effetto è che Atlante si gonfi come un “hedge fund” con una enorme leva finanziaria. Mentre sulle prime il mercato ha espresso dubbi, sulle dimensioni, in questi giorni abbiamo assistito a una guerra di persuasione di quelle in cui non si fanno prigionieri. Da ogni parte da qualche giorno giungono parole di lode. Da tutti i mezzi di comunicazione arrivano messaggi di rassicurazione, orgoglio e perfino di vendetta. Padoan che parla di un effetto leva di 50 miliardi, Guzzetti che da Milano pronuncia il “dagli all’untore”, nella veste degli speculatori. Insomma, chi meno ne sa più si pronuncia. Chi invece ne sa, ed è alla testa della società di gestione del risparmio che farà l’impresa, Alessandro Penati, tace. Il suo silenzio è il mistero di questa operazione.

Per la precisione, oggi i giornali riportano una dichiarazione di Alessandro Penati, che rivendica la riservatezza, almeno fino al primo intervento, che sarà sulla Popolare di Vicenza: prima di allora “qualsiasi comunicazione da parte di Quaestio non è possibile, né opportuna”. Riservatezza legittima, visto che si tratta di un fondo riservato a investitori istituzionali, un club privée come i fondi speculativi. Probabilmente, ma qui sconfino nel campo giuridico, Penati potrebbe anche non parlarne mai, se non con gli aderenti al fondo. Il problema è che il confronto con dichiarazioni passate dello stesso Penati, il contrasto con i peana che vengono invece dagli altri e le domande sull’effettiva forza di Atlante diffondono un forte senso di mistero e incertezza, e una domanda: chi vogliono convincere le lodi di Atlante?

La riservatezza è senz’altro dovuta, e una cosa è l’attività professionale e quella pubblicistica, ma qui le due attività si scontrano naturalmente e ognuna invade e disturba l’altra. Per esempio, nel luglio del 2012 Penati in un’intervista al Fatto Quotidiano dichiarava: “il mercato sconta che nei conti delle banche ci siano molti più crediti in sofferenza, cioè di difficile recupero, di quanto non dichiarino. È una bomba a orologeria pronta a esplodere da qui al prossimo anno.” Chapeau, parole sante.  Ora la bomba è scoppiata, ora sappiamo tutti che si tratta di 200 miliardi, che il valore di mercato è del 20% a fronte di accantonamenti fatti dalle banche intorno al 40%. Sappiamo tutti della cura ricostituente di capitale che questo comporta. Siamo per questo tutti stupiti che si possa chiudere la partita con 6 miliardi.

La prima domanda che viene in mente a un tecnico, come Penati e come me, e che non è stata sollevata nel dibattito è: perché un fondo che svolge entrambe le funzioni di sostenere gli aumenti di capitale e ripulire i bilanci? C’è un problema di capienza del capitale: sembra che questo Atlante, mentre sorregge sulle sue spalle il mondo (bancario) ha una scopa infilata in qualche posto con cui lo ripulisce. Può forse anche esserci un problema di opportunità: intervenire sulle sofferenze invece che sul capitale può far rimanere al comando banchieri incapaci. Il fondo si occuperà solo di portare giù l’immondizia, o si preoccuperà di ridurne la produzione? Infine, su quale livello il fondo vorrà stabilizzare il sistema bancario? Ad esempio, al prossimo Ecofin di Amsterdam i tedeschi proporranno di attribuire un peso per il rischio ai titoli di stato. Se il mercato anticipa che questa linea prima o poi passerà, con bisogno di nuovo capitale, Atlante si caricherà anche di questo?

Mentre non sappiamo dove sarà messa la linea del Piave della garanzia ai collocamenti bancari, sappiamo per certo che il Fondo perderà soldi se rileverà le sofferenze al valore in cui sono iscritti a bilancio. Le speranze nella riforma delle procedure di escussione delle garanzie e nel valore segnaletico di un fondo che compra uno o due miliardi di tranche junior (il rifiuto tossico) di una cartolarizzazione di sofferenze non hanno alcun senso. In primo luogo, infatti, viene sbandierato ai quattro venti che è un segnale. In secondo luogo, il mercato di chi smaltisce questi rifiuti tossici è molto tecnico, e avvezzo più a dare che ricevere segnali. Un fondo avvoltoio ne sa più di Atlante: a quale segnale potrebbe mai abboccare?

Per questi motivi, Atlante è un mistero. E’ come un progetto che pretenda di usare qualche sacco di sabbia per fermare l’avanzata dei mari. Non sappiamo se Alessandro Penati sia alla guida di una missione suicida o se tutto si spieghi con un: “business is business”. Ma in fondo è un mistero che riguarda gli investitori istituzionali, più che noi. A noi resta la domanda del perché di tutto questo bailamme a senso unico di glorificazione di Atlante. La prima impressione è proprio quello di un’operazione per pasturare il mercato, e il mercato è quello dei possibili sottoscrittori di azioni bancarie. Il fatto poi che nessuno degli attori principali mostri interesse a schierarsi rafforzi il sospetto che in fondo tutto sia destinato al vecchio parco buoi. Se questa è la spiegazione, questa senz’altro riguarda ognuno di noi, ed il diritto alla trasparenza e a un’informazione imparziale.

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