Finanza

I problemi di Atlante in compagnia coi tacchini di BPM e Unicredit

8 Novembre 2016

Stiamo attendendo di vedere se si accenderà il forno per tanti tacchini a Natale.  La prima occasione saranno i risultati di oggi per il Banco Popolare. Se fossero sostanzialmente negativi, magari guidati dalla manina della BCE che chiede più rigore sui crediti, le scuse per maggiori tagli di costi e forse un nuovo aumento di capitale al Banco BPM ci sarebbero. A noi i dubbi vengono perché ieri era in vendita un grosso blocco di titoli BPM ed i titoli delle due banche in borsa hanno sostanzialmente sottoperformato negli ultimi giorni. Certo, si rumoreggia che questa sarebbe un’occasione ghiotta per Giuseppe Castagna per far fuori Carlo Fratta Pasini e il duo Pierfrancesco Saviotti – Carlo Bianchi che si sono occupati dei crediti al Banco.

Ma lo stesso Castagna rischierebbe qualcosa, visto che, dichiarando alla stampa che i conti del Banco Popolare erano a posto prima dell’assemblea per la fusione (per convincere i tacchini a votare sì), avrebbe qualche significativa responsabilità legale, se i conti oggi stupissero in negativo. Ora questa è una società per azioni, non più una popolare. Non ho una visione chiara sui risultati del terzo trimestre, ma se dovessi fare una scommessa, scommetterei che a fine anno la perdita del Banco sarà significativamente superiore a quella del semestre. I tacchini finiranno in forno. Ma rischiano di finire fregati anche tutti gli azionisti che vogliono esercitare il recesso, perché a questo punto il loro sacrosanto diritto (che avrebbero potuto esercitare, visto l’eccesso di capitale della BPM, in caso di trasformazione precedente alla fusione) non potrebbe essere esercitato a causa dei problemi del Banco. Mi va bene limitare il diritto di recesso per legge per la trasformazione coattiva, ma dove c’è scritto che va limitato perché c’è una fusione coattiva? Va prima tutelato il recesso per la trasformazione coattiva della BPM. Ce n’è di che chiedere conto agli amministratori della BPM, che la due diligence avevano il dovere di farla per bene.

Il forno sembra riscaldarsi anche per tacchini di ben altra stazza in Unicredit, dove un cuoco francese di ben altra fama si prepara, secondo Andrea Greco di Repubblica, a fare fuori nientepopodimeno che Fabrizio Palenzona e Luca Cordero di Montezemolo. Il film che si proietta prevede la creazione della bad bank con cessione del 20% ad un partner (in corsa ci sarebbero Fortress, di gran lunga favorita visto che gestisce la metà del portafoglio in vendita, PIMCO e Cerberus non si sa se reali concorrenti) che poi potrebbe salire al 51%.

Il problema non è su questi crediti, visto che Unicredit le sofferenze le ha ben coperte (salvo qualche regalino lasciato da Capitalia), quanto dal riflesso che una maxi cessione comporterebbe in termini di maggiori coperture per incagli e crediti in bonis. MPS aveva chiesto un’esenzione sui modelli che comportavano questo effetto perverso ma non credo che gli sia stata data, Unicredit di Jean-Pierre Mustier non credo neanche l’abbia chiesta. Quello sarebbe l’effetto quantitativamente più rilevante e potrebbe comportare un significativo aumento di capitale per Unicredit , che spazzerebbe via i tacchini V(I)P. Vista l’esperienza dei soggetti in esame con potere e poltrone, sono curioso di vedere come se la caveranno con il cuoco francese. Non capisco perché gli azionisti Unicredit dovrebbero regalare le sofferenze ai fondi americani prendendosi in cambio un maxi aumento di capitale. Né perché tutti i consiglieri di Unicredit (con l’eccezione di Lucrezia Reichlin e di Sergio Balbinot appena arrivato) dovrebbero fare una figura così meschina. Meglio sarebbe dare le junior notes a valori più in linea con il bilancio agli stessi azionisti di Unicredit che sarebbero felicissimi di prendersele. Le sofferenze di Unicredit fanno tanta gola, molto più di quelle di MPS. Se poi i fondi americani le vogliono, possono lanciare una bella OPA, più trasparente anche in termini di prezzi. Questo non creerebbe neanche buchi contabili a Unicredit per la valutazione degli altri crediti (visto che le coperture sono in linea con quello che la banca recupera).

Il povero prof. Alessandro Penati sta superando tutti i record. Non ascoltando i nostri umili consigli come temevamo, Atlante si è trasformato in Atlantide. Sinceramente lo temevo (un noto broker è scappato dalla presentazione ufficiale del fondo perché temeva che partisse l’interrogazione del professore ai presenti), ma mai avrei pensato ad un problema simile di distruzione di valore in tempi così rapidi. È ovvio che con risultati così si faccia fatica a raccogliere nuovi capitali (a parte Poste e CDP). Poco ha da arrabbiarsi Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, con il Governo che gli aveva promesso supporto. Va cambiato approccio nella gestione di Atlante. Oggi invece lo scenario è triste.

Sulle due Venete, in assenza di idee, la spinta di Gianni Mion (che trascinerebbe con sé rilevanti capitali, vista la credibilità dell’uomo, e beneficia del supporto della politica locale e nazionale) verso la fusione ha comportato le dimissioni di Beniamino Anselmi, che pure era stato portato lì da Guzzetti. Questo deve far riflettere. Non sono aziende industriali in cui i ricavi non vengono influenzati dallo stato delle banche. Invece di pensare alla fusione, spinta da pesanti tagli di costi, si pensi a rilanciare commercialmente queste due banche invece di andare in vacanza alle Maldive. L’aggregazione di due banche comporterebbe un allungamento del periodo di confusione ed incertezza, con estensione degli effetti negativi per il rilancio commerciale: è vero che i costi si dimezzerebbero, con effetti da macelleria sociale, contro cui protesta Anselmi, ma non è detto che i ricavi sarebbero la somma dei due. Si rischierebbe di perdere i pochi clienti buoni rimasti. Un bravo manager navigato come Mion ascolti un banchiere di lungo corso come Anselmi, non i consulenti che fanno piani sulla carta ma poi non devono realizzarli (già ne hanno sostituito uno sul piano).

L’effetto deteriore di cui parlo si è già visto sulle  quattro banche cosiddette salvate, in cui i clienti migliori sono scappati ed alcuni i debitori filibustieri che avevano perso il banchiere di riferimento hanno cominciato di proposito a non pagare. Tanto con quella banca non pensavano di lavorare più e se potevano era meglio negoziare un taglio alle esposizioni. Questo spiega una parte del significativo deterioramento delle posizioni (cosiddette) in bonis e l’ingenuità di quanti vogliono portare banche operative verso il fondo interbancario. Conseguenze non previste né dalla Vigilanza, né dai celebri consulenti utilizzati. Il fallimento del salvataggio è evidente dalle cronache oggi, visto che a fronte di un patrimonio di oltre un miliardo, verranno cedute a zero. Se così è, un po’ di prudenza non farebbe male, invece di partire con tracotanza ad implementare soluzioni studiate solo sulla carta, finanziate con i soldi degli altri.

Sulle Venete e MPS assistiamo ad una riedizione del piano di Fonspa per Banca delle Marche, che cercò di separare tutti i crediti non performing che voleva gestire come master servicer, dalla cosiddetta good bank. Nessuno voleva investire nella good bank (che poi così good non era) ad un valore pari al patrimonio netto, lasciando a Fonspa l’affare delle sofferenze (si vocifera di 240 milioni di euro di commissioni e rendimenti garantiti dal fondo interbancario agli investitori portati da Fonspa). Sappiamo come è andata a finire: male.

Ora su MPS si rivede la stessa storia, solo che invece che al patrimonio netto si cerca investitori a 0,5 volte il patrimonio netto, quando le banche in borsa quotano a multipli inferiori. Come sta andando? Male, tanto che le banche di investimento stanno cercando i soldi dagli obbligazionisti subordinati. E se non bastassero questi dagli obbligazionisti ordinari. Non contenti di questo, ritroviamo lo stesso schema in Veneto Banca e BpVi.

Chi ci guadagna? Chi gestisce le sofferenze (a quali condizioni le gestiscono?). Chi ci perde? Chi investe nel capitale di rischio e gli obbligazionisti. Non ha funzionato e ci si riprova. Non sarebbe ora di cambiare schema visto il disastro delle quattro banche? Come fa Guzzetti a stupirsi che a Penati nessuno voglia dare i soldi se poi questo è il modello che si adotta? Forse un gentiluomo come lui dovrebbe pensarci meglio.

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Nella foto in alto, Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e grande ispiratore del Fondo Atlante

 

 

 

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