Finanza
Gli arbitrati di Cantone sono l’ultima offesa della giustizia alla logica
In un suo recente intervento a Bologna, Mario Draghi ha parlato del sistema giudiziario come uno dei principali problemi aperti della nostra economia, che limitano la propensione all’investimento e le prospettive di crescita. Mentre l’argomentazione di Draghi riguardava il diritto civile e quello fallimentare, sul quale riconosceva progressi fatti con la recente riforma, il problema del diritto resta all’ordine del giorno, e in modo molto più pervasivo di quanto accennato nelle sue parole. Oggi riguarda il risparmio quanto e forse più degli investimenti e non riguarda solo l’Italia. E anche la vicenda delle quattro banche è finita con il ricorso alla magistratura, ormai personificata da Raffaele Cantone, anche in questo caso con una logica che sfugge a ogni logica.
Lo spaccio e l’uso eccessivo di Cantone per lenire ogni problema dell’economia italiana pare essere una questione generazionale. Più volte ho sentito il Presidente del Consiglio affermare: “siamo la generazione che si è iscritta a giurisprudenza colpita dall’esempio di Falcone e Borsellino”. Questione di generazioni. Io faccio parte della generazione che scelse di studiare economia sull’esempio di Fausto Vicarelli e gli economisti di quell’epoca, che dalla cattedra ci dissero, scherzando: “avete letto che siamo stati convocati dal magistrato, ci vedremo alla prossima lezione…forse”. E vennero tutti convocati dal magistrato perché avevano firmato una lettera di solidarietà a Baffi e Sarcinelli, rispettivamente Governatore e direttore generale della Banca d’Italia, arrestati su ordine di un altro magistrato, per questioni che ora potete leggere sui libri di storia. Leggemmo sui giornali del vilipendio che i magistrati fecero ai nostri maestri. Sulla scelta della disciplina scherzo, ovviamente. Noi non abbiamo scelto una disciplina o l’altra per esempi forniti dall’attualità o dai telegiornali. Io ho scelto economia per la logica chiara che traspariva dalle parole di Fausto Vicarelli. E i miei rapporti con la giurisprudenza fanno scintille ogni volta che vedo questi nessi logici violati, irrisi, e ridotti al loro contrario: la “logica giuridica”, appunto.
Il risarcimento ai risparmiatori che dovrebbe essere deciso da Cantone è solo l’ultimo esempio di queste offese alla logica, per i motivi che esporremo. Ma per non sembrare troppo legati all’attualità dei nostri giorni e del nostro giardino, merita inserire questa violazione della logica in contesto più ampio. Riporterò un esempio internazionale ormai famoso, che riguarda la finanza, ma il campionario degli esempi potrebbe essere vastissimo. Oggi i magistrati giudicano di finanza e derivati, di scelte e tecniche sanitarie e di previsioni dei terremoti senza avere la minima idea dei temi di cui si trovano a decidere. E l’antinomia insanabile è che si trovano a decidere, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di questioni di scienza, che per loro natura sono costruite sul dubbio.
Per non essere provinciali partiamo dall’America. Sulla questione del rimborsi dei bond argentini, l’ormai famoso giudice Thomas Griesa del tribunale di New York ha prodotto l’esempio più nitido e puro di inversione della logica, con un decreto che in difesa di un principio attuava esattamente il suo opposto. Il principio in questione è noto come : “pari passu”. Significa che in caso di fallimento tutti i creditori dello stesso livello (subordinati e senior) devono subire la stessa perdita percentuale del loro investimento. In nome di questo principio il governo argentino aveva proposto un concambio del vecchio debito offrendo a tutti i creditori la stessa perdita di circa il 70% del capitale. In nome dello stesso principio, il giudice di New York ha bloccato con ogni mezzo questa iniziativa fin quando non fossero stati pagati integralmente gli hedge fund, i fondi speculativi che a lui si erano appellati. Apprezzate l’eleganza di questa violazione della logica. La logica dell’uomo comune sarebbe stata di imporre anche ai fondi speculativi la stessa perdita degli altri, e invece no: per salvaguardare la libertà di scelta dei fondi (la scelta di “hold-out”, stare fuori), si impone al debitore di risarcirli integralmente prima di infliggere le perdite agli altri. Il ribaltamento di logica diventa poi farsa se si aggiunge il colpo di scena finale: quei fondi speculativi cui il giudice ha fatto la grazia di riavere i titoli al loro valore nominale di 100 euro in realtà li avevano comprati dopo il default dell’Argentina per un valore di 20. Un bel guadagno, ma è noto a tutti, meno che ai magistrati, che lo sfruttamento delle gabole legali è uno dei terreni di caccia preferiti dai fondi speculativi.
Ed eccoci all’operazione Cantone. Anche qui la questione è chi deve avere il rimborso o no. E anche qui la violazione della logica ci viene sbandierata in faccia da ogni politico e su ogni giornale. Si dice che è stato stanziato un fondo, e che i risparmiatori truffati riavranno parte dei loro soldi, se sono in condizioni di indigenza. Valuterà Cantone i casi in cui i malcapitati (due volte, con la banca e con la giustizia) potranno avere il rimborso di una parte del loro investimento. Dov’è la logica in tutto ciò? Si ha diritto al risarcimento se si è truffati e se si è poveri? Allora è lecito truffare i ricchi?
Lo scenario è talmente confuso che è il caso di mettere un po’ d’ordine. Se i titoli di debito subordinati sono stati piazzati alla clientela con l’inganno, un risparmiatore ha diritto al risarcimento qualunque sia la posizione sociale, il suo conto in banca, la sua altezza e il colore dei suoi occhi. Questo riguarda la legge. E affinché la legge non generi incentivi perversi a ogni rimborso ottenuto deve essere associato un procedimento penale contro il funzionario che ha venduto il titolo aggirando la legge. La responsabilità di chi ha disegnato la politica di collocamento di questi titoli infatti non esclude infatti quella di chi l’ha attuata. Il rimborso solo parziale di questi investitori truffati infliggerebbe loro, e solo a loro, una punizione ingiusta rispetto agli altri creditori della banca. Sarebbe una violazione della “pari passu” rule simile a quella operata dal giudice di New York per il malcapitati (due volte anche loro) investitori nei bond argentini.
Lo scenario alternativo è che l’intervento sia di tipo sociale. Se questo è il senso, l’intervento non ha niente a che vedere con la truffa e l’ignoranza. Anche geni della finanza possono aver sottoscritto questi titoli ed essere in miseria, e se quelli in miseria, geni o ignoranti, sono tanti da poter contagiare il territorio, il governo potrebbe volere intervenire con un rimborso parziale, come interviene su un territorio colpito da una calamità naturale. In questo caso, però, cosa c’entra Cantone? Cosa c’entra il meccanismo giudiziario dell’arbitrato? E perché condizionare un intervento umanitario alle lungaggini della giustizia?
Intanto mentre scrivo questo pezzo, su Teletruria mandano in onda una conferenza stampa di Roberto Nicastro, insieme ai nuovi vertici di Nuova Banca Etruria, che riferisce di attenersi alla linea del Governo con l’istituzione di una task force per il censimento dei malcapitati sottoscrittori di titoli subordinati. Ha anche suggerito un perimetro secondo il quale questi meritevoli di tutela (“sul lastrico”nelle sue parole) sarebbero 683 per circa 17 milioni di euro. A un giornalista che chiede, Nicastro risponde con i parametri dell’individuazione di questi sventurati, e dice che è un modo per sbrigare il lavoro preparando tutte le carte per Cantone. In questo modo l’abile banchiere fornisce anche un precedente e magari un consiglio non richiesto a Cantone su una tecnica per definire il perimetro dei disgraziati.
In conclusione, mischiare l’azione umanitaria con la giustizia sta generando un intervento senza logica (la logica normale) sotto il profilo giudiziario e sterile e tardivo sotto il profilo dell’intervento umanitario. Tutto questo su una vicenda nella quale tutta l’Europa (che noi Italia dovremmo tornare a guidare) ci osserva, perché è la prima applicazione delle nuova disciplina di “risoluzione”.
Come andrà a finire? La cosa è complessa. Un’evoluzione lineare della vicenda vorrebbe che questi creditori truffati ritornassero insieme agli altri nelle nuove banche, condividendo con gli altri il loro diritto sull’attivo. Un giornalista contestava a Nicastro il fatto che non ci fosse continuità aziendale tra vecchia e nuova banca Etruria, e la risposta è stata che lo richiede la normativa europea. Risposta posticcia: la normativa del “bail in” non lo richiede affatto, e, soprattutto, la manovra delle quattro banche è stata attuata per evitare la direttiva europea. In più, è di questi giorni la notizia di un intervento, in Portogallo, della banca centrale che ha imposto ai bond senior del Novo Banco le perdite del vecchio Banco Espirito Santo, salvato con la stessa strategia della divisione tra vecchio e nuovo. Quindi non è affatto detto che con il 2016 e l’avvio del “bail in” le vecchie perdite vengano buttate dalla finestra e dimenticate per sempre. Può essere che ritornino nei bilanci delle nuove banche come è successo in Portogallo, e se i tempi sono quelli del sistema giudiziario italiano potrebbero continuare a emergere per anni. Cattive notizie per chi deve fare un prezzo e vendere sul mercato le quattro banche.
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