Autorità indipendenti
Corso in pillole di vigilanza per addetti ai lavori…parlamentari
Dall’attacco del PD a Visco alla commissione di inchiesta fino ai tarallucci e vino della sua audizione ho maturato una certezza. La classe politica che vuole processare la Banca di Italia per vestire gli scheletri che ha negli armadi ha una conoscenza della vigilanza più o meno come quella di mio zio. Spero che mio zio non si arrabbi, ma più volte in questo dibattito sulla vigilanza mi è venuta in mente la sua faccia quando da neolaureato gli dissi che non mi sarebbe dispiaciuto neppure un posto in Banca d’Italia, anche in vigilanza. Sembrava che mi volesse dire: ma come, tutti questi anni di studio per indossare un cinturone e una pistola? Ora, dopo molti anni, sono pronto a spiegare meglio di allora, a lui e ai suoi colleghi carrozzieri, ai politici, ma anche ai giornalisti e ai giudici a altre arti e mestieri, cosa fa la vigilanza, e cosa non può fare.
TRIMM, SREP, e altri acronimi che sono noti a chi si occupa di vigilanza per i politici della commissione di inchiesta sulle banche non sono distinguibili da BANG, GULP e altre onomatopee dei fumetti. I più colti le associano alle parole in libertà del futurismo. Però in queste attività si concretizza la vigilanza e sono queste le attività che la vigilanza deve presidiare per salvaguardare la stabilità del sistema finanziario. Spostare le truppe da questo fronte sui fronti dei quali si è occupata la commissione, in larga misura casi di frode o in generale “misconduct”, sarebbe stato come concentrare a Risiko tutti i carri armati sulla Kamchatka. E di Kamchatka si è occupata la commissione di inchiesta.
Il Risiko della vigilanza è un gioco svolto a tre livelli e su tre continenti. Per capire dove sta la Kamchatcka in questo gioco, cominciamo dai continenti. Uno è rischio di credito: il rischio che qualcuno a cui hai prestato i soldi o con cui hai stipulato un contratto fallisca e non ti renda i soldi che ti deve. Attenzione, chi fallisce non è necessariamente un delinquente, e anzi solo molto raramente è un delinquente. Fallisce perché le entrate non coprono le uscite e erodono il capitale. E sia il numero dei fallimenti che la severità (la perdita causata dal fallimento) sono gli elementi da tenere sotto controllo. Nella crisi dei “subprime” queste perdite sono state 500 miliardi di dollari. Il secondo continente è il rischio di mercato: è il rischio che crolli il valore delle attività finanziarie di una banca, e che magari crolli sotto il valore del passivo erodendo il patrimonio. Nella crisi dei “subprime” queste perdite sono state 4 000 miliardi. Il terzo continente è il rischio operativo: il rischio che qualcosa vada male nell’operatività della banca, processi, sicurezza informatica, disastri naturali e…la Kamchatka.
Nel Risiko della vigilanza la Kamchatka è una penisola lontana nel continente del rischio operativo. E’ il rischio di frode: il rischio che un comitato crediti dia credito agli amici degli amministratori, il rischio delle “operazioni baciate” (non sappiamo se con o senza lingua, poiché è un termine “tecnico” dato per scontato da giornali e tv ma che non troverete in nessun libro), cioè prestiti alla clientela l’acquisto del proprio capitale. Esempi di comportamento fraudolento, di cui si è occupata in larga misura la commissione di inchiesta quando non è stata occupata a fare campagna elettorale. Nessuno si è chiesto cosa avrebbe potuto fare la vigilanza su questo. C’erano rappresentanti della vigilanza nei consigli di amministrazione? Se no, come avrebbe potuto la vigilanza intercettare le proposte dei comitati crediti in odore di frode? Su questi temi la vigilanza può solo rinvenire informazione indiretta e a posteriori, durante le ispezioni.
I tre livelli del gioco sono i famosi pilastri (famosi per chi conosce il risk management e la vigilanza). Il primo pilastro riguarda l’accantonamento del capitale per i tre rischi descritti sopra. Il secondo pilastro riguarda invece l’intervento della vigilanza, per rischi non coperti dal primo pilastro e per verificare i sistemi di controllo del rischio. Centrale è la verifica dei sistemi di controllo del rischio, e il cosiddetto SREP, il processo annuale di valutazione del rischio di ciascuna banca. E qui i carri armati devono essere messi dove è maggiore il pericolo di guerra, cioè nel rischio di credito e di mercato. Il terzo pilastro riguarda il controllo da parte del mercato attraverso la pubblicità dei dati della banca, in modo che sia sottoposta in piena trasparenza al controllo del mercato.
La commissione di inchiesta si è soffermata ampiamente sulla crisi del credito come un portato naturale della corruzione e della frode, e non come un fenomeno naturale legato all’evoluzione delle sorti dell’economia e del mercato. Non stiamo dicendo (perché non abbiamo i dati) che la frode sia necessariamente un fenomeno periferico nella crisi italiana. Possiamo però senz’altro affermare che il rischio di frode è, e non può non essere che periferico nell’attività di vigilanza. Il motivo è che questo rischio è fortemente legato alla “governance”, e la vigilanza ha pochissimi poteri sulla governance e nel passato non ne ha avuto nessuno. E tutti conosciamo l’influenza della politica sulla governance del sistema bancario italiano.
Per rendere chiaro quanto è assurdo il dibattito sull’insufficienza della vigilanza nella crisi, almeno nei termini in cui si è svolto, basta considerare che vicino alla Kamchatka, nel continente del rischio operativo, ci sono altre province, una delle quali è quella delle rapine in banca. Non può essere anche questo attribuito alla vigilanza? Anche su questo, probabilmente, la vigilanza può avere un impatto in ispezioni sulla misurazione e gestione del rischio operativo, ma siamo lontani da un controllo diretto. Come per tutte le altre forme di rischio l’attività di vigilanza mediante ispezione è un lavoro di controllo e collaborazione con i presidi di risk management e auditing interno.
Per concludere, attribuire la natura della crisi bancaria solo alla frode e alla mancanza di vigilanza è un po’ come attribuire la responsabilità della crisi del 29 ad Al Capone. La guerra della vigilanza si combatte su altri fronti, che non possono essere sguarniti. E su questi fronti, le ispezioni TRIMM, i risk manager delle maggiori banche ci dicono concordemente che la vigilanza italiana sta facendo un lavoro egregio. Sul presidio della trasparenza si è fatto molto meno, ed è stato il risultato di una gestione della CONSOB da parte di un politico.
La vera differenza tra la nostra crisi e quella americana è stata che le funzioni di controllo del rischio e la vigilanza stessa non è mai potuta irrompere in un consiglio di amministrazione di una banca e dichiararla fallita. E’ rimasta questione di pura “compliance”, anche per la qualità della nostra governance. Manca un insieme di norme che faccia sì che alla guida delle banche siedano banchieri e non persone inadeguate per formazione culturale: da questo punto di vista il padre di Maria Elena Boschi è solo un esempio di provincia, ma ce ne sono di più preoccupanti anche in banche sistemiche.
E forse c’è un problema anche nel potere giudiziario. E’ passata sotto silenzio, ai tempi della mozione PD contro Visco, un’intervista del Procuratore di Milano Greco, che avanzava la tesi che per paura di rischi sistemici la vigilanza avrebbe chiuso un occhio e alla fine i nodi passerebbero a lui e ai suoi colleghi. Stesso concetto che ho sentito ribadire in questi giorni da un giornalista a commento della deposizione di Visco. Il fatto che nessuno si sia scandalizzato di fronte ad affermazioni di questa gravità significa che una larga fetta delle professioni che contano colletti bianchi e toghe, devono fare ancora molta strada per conoscere la vigilanza.
E mentre ognuno spara a volontà sulla vigilanza per ignoranza o per doppi fini o per entrambi, nessuno sa che la vigilanza italiana sta giocando una partita delicatissima in BCE in vista dei prossimi stress test. Mi diceva un rappresentante della vigilanza che il fine è quello di riequilibrare l’esercizio di stress in modo da tenere conto dei titoli tossici e dei derivati che inquinano le banche tedesche e francesi. Se questo fuoco amico ne indebolirà la reputazione, il sistema bancario italiano potrà essere discriminato nel prossimo stress test come è successo nel precedente. E la colpa sarà ancora una volta della politica.
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