Finanza

Bpm, mal di pancia sul listone unitario e il patto delle poltrone con Castagna

31 Marzo 2016

«Se non ci fosse stata l’esplicitazione diretta di un interesse quasi nazionale, non so dire cosa avrebbe deciso il consiglio di gestione». La fusione fra Bpm e Banco Popolare «è stata una scelta incoraggiata dall’orientamento del governo». Queste parole dette oggi nel corso di un convegno Cisl a Milano, da Piero Giarda, presidente del consiglio di sorveglianza della Banca Popolare di Milano, contestualizzano bene il clima da “ragion di Stato” che ha portato alla firma di un protocollo di intesa fra le due banche. Alla luce dello stallo che si era determinato sul fronte della Vigilanza Bce e delle forti perplessità all’interno, infatti, è ragionevole pensare che, senza la spinta politica del Governo Renzi, l’operazione sarebbe stata abbandonata, di sicuro dal lato milanese, dove i dubbi su modalità e convenienza dell’operazione peraltro permangono.

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Le parole di Giarda aiutano anche a inquadrare la paradossale convergenza che si sta realizzando fra soci-dipendenti guidati da sindacati nazionali e soci non dipendenti in vista dell’assemblea della banca del 30 aprile, chiamata ad eleggere un nuovo consiglio di sorveglianza. I due gruppi, da sempre avversari, stanno infatti negoziando un listone unitario di candidati che dovrebbe essere guidato da Piero Lonardi, commercialista milanese esponente ultradecennale dei soci-non dipendenti. Presente negli organi di vertice della banca di Piazza Meda dal 1997, Lonardi può vantare il non trascurabile primato di essere passato indenne dalle ispezioni della Vigilanza di Bankitalia (l’unica sanzione ricevuta, qualche anno fa, è stata poi annullata in appello).

Lonardi si è proposto come candidato unitario per compattare tutto il fronte milanese rispetto alle controparti veronesi, trovando buona accoglienza fra i vertici sindacali nazionali e presso i due grandi artefici della fusione, Giuseppe Castagna, consigliere delegato della Bpm e futuro a.d. del nuovo gruppo, e Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco e numero uno designato della banca post-fusione. Sia Fratta Pasini sia Castagna non sono indifferenti a chi guiderà il consiglio di sorveglianza di Bpm fino alla fusione: per quanto approvata dagli organi gestionali, l’operazione è ancora appesa alle autorizzazioni della Bce e sono molti i passaggi critici da gestire da qui a dicembre. Perciò, con entrambi Lonardi sta cercando di accreditarsi come controparte dialogante, non ostile all’operazione. Ma è un fatto che il suo nome faccia venire l’orticaria ai dipendenti della Bpm: memori delle vecchie battaglie, per molti è un nome difficile da digerire.

A facilitare la convergenza fra sindacati nazionali e soci non dipendenti ci sarebbero i posti nel cda della nuova banca, su cui Castagna e Frattta Pasini giocheranno un ruolo rilevante. Alla parte milanese, ne spettano 7 sulla base del protocollo d’intesa. Di questi, uno a testa andrebbero a esponenti indicati dai sindacati nazionali e almeno uno al gruppo dei soci non dipendenti che fa capo a Lonardi (che però potrebbe preferire la presidenza della Bpm-spa costituita come banca rete), mentre per Marcello Priori, attualmente vicepresidente di Bpm, di area Uil, si pensa alla presidenza del collegio sindacale.

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Un incontro, questa sera, fra i vertici nazionali dei sindacati e Castagna dovrebbe suggellare l’accordo. Ma scommettere sull’esito al momento è arduo. Anche se il traguardo della trasformazione per legge in società per azioni avrebbe già dovuto consegnare al passato le vecchie contrapposizioni, per i soci-dipendenti Lonardi resta tuttora “la bestia nera” della vecchia cooperativa. I segnali che arrivano dall’interno della banca ai vertici nazionali dei sindacati non sono incoraggianti, c’è il rischio che qualcuno  si sfili all’ultimo momento, e allora addio alla lista unitaria.

La decisione andrà presa entro domattina, perché poi servirà qualche giorno per raccogliere le firme per le liste, da depositare entro il 4 aprile. Intanto, il gruppo degli ex dipendenti in pensione si è già tirato fuori, e sembra orientato a presentare una sua propria lista, che dovrebbe concorrere per i 4 posti assegnati alla minoranza, nel segreto dell’urna potrebbe strappare voti anche fra i dipendenti. Molto dipenderà da chi proporranno come presidente. Per ora l’ipotesi di candidare Mario Resca non sembra ottenere consensi, in quanto il manager è ritenuto troppo vicino a Raffaele Mincione, che attraverso il fondo Athena ha più del 5% della banca. In quanto investitore istituzionale, sulla base dello statuto Athena ha titolo ad avere due posti riservati in consiglio di sorveglianza.

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In copertina, la sede centrale di Bpm in Piazza Meda a Milano

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